Di Pio La Torre, ucciso trent’anni fa dalla mafia, si e’ parlato come di un esempio di ”onesta’ e serieta’ politica”. La sua ragione di vita era la lotta ai poteri criminali, la difesa della democrazia, il riscatto della Sicilia. Per questo la mafia lo ha ucciso, la mattina del 30 aprile 1982, assieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo. Si sa tutto, o quasi tutto, degli esecutori: tutti uomini della cupola e sicari di Cosa nostra. Ma non si puo’ dire che processi e condanne abbiano scritto tutta la verita’. Nell’inchiesta, sempre aperta, si proietta l’ombra di altre entita’ – poteri occulti, servizi segreti internazionali – che rendono piu’ fosco il quadro di quello che e’ stato qualificato come un ”delitto politico”.
La Torre era infatti impegnato in un’opera di rinnovamento e di rigenerazione morale che aveva molti punti di contatto con la storia di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione amico di Aldo Moro ucciso due anni prima. E tre anni prima, nel 1979, il ciclo era cominciato con l’eliminazione del segretario provinciale della Dc, Michele Reina, dal quale erano venuti segnali di apertura per una nuova stagione di ”solidarieta’ autonomistica”, versione siciliana della solidarieta’ nazionale. Nel caso di La Torre, che aveva cominciato l’attivita’ politica nel dopoguerra guidando le lotte contadine, la ricerca di un movente complesso non poteva che cominciare dal suo lavoro parlamentare. Prima di tornare in Sicilia nel 1981 con l’incarico di segretario regionale del Pci, aveva firmato nel 1976 la relazione di minoranza della Commissione antimafia, nella quale aveva, ricostruendo il sistema di relazioni e di scambio tra la mafia e la politica, muoveva un atto d’accusa contro la Dc di Salvo Lima e di Vito Ciancimino.
Poi aveva concepito norme che avrebbero colpito duramente Cosa nostra con il nuovo reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni. Anche se il suo disegno di legge, condiviso con Virginio Rognoni, sarebbe stato approvato dopo la sua morte, l’iniziativa veniva comunque percepita dalla mafia come una minaccia da fermare subito. Ma intanto La Torre aveva promosso in Sicilia una campagna contro l’installazione a Comiso dei missili Cruise. Opponendosi a un ritorno del clima della guerra fredda, aveva pero’ attirato su di se’ l’attenzione dei servizi di sicurezza: dal processo sono emerse le tracce di una prolungata attivita’ di ”osservazione”. A lungo l’esponente comunista era stato considerato informatore del Kgb, amico dei cinesi, soggetto ”pericoloso”. Poi le note informative ne avevano ”declassato” il ruolo. Ma continuo’ a essere ”osservato” fino a una settimana prima di essere ucciso. La Torre aveva intuito il peso di strutture segrete come Gladio che in quegli anni avevano creato centri in Sicilia per operazioni nell’area mediterranea. Una lettura della catena di delitti cominciata nel 1979 lo aveva portato a confidare a Emanuele Macaluso: ”Ora tocca a noi”. Che non fosse solo un delitto era anche l’idea di Giovanni Falcone ma il suo progetto di allargare lo spettro dell’inchiesta si scontro’, scrisse nel suo diario, con l’ostilita’ del procuratore del tempo Pietro Giammanco. Il processo si e’ quindi concentrato sugli aspetti esecutivi dell’agguato svelati soprattutto da Salvatore Cancemi e Francesco Marino Mannoia.
Dal giro della politica, si legge nella sentenza, Toto’ Riina e gli altri boss ”avevano avuto netta percezione” che l’attivita’ antimafia di La Torre, ”lungi dall’essere mero esercizio linguistico, era reale e concreto e rischiava seriamente di compromettere i loro interessi
* portale ANSA legalita’