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Nessuna fedeltà ai militari: Aung San Suu Kyi non siede in Parlamento

Di Anna Foti il . Internazionale

Orchidee tra i capelli, un corpo minuto ma uno spirito fiero e forte, un cuore coraggioso. Nessuna paura per lei che tutti ricordano come l’orchidea d’acciaio, il volto della Speranza in Birmania. Non siede al suo scranno Aung San Suu Kyi, nobel per la Pace 1991, leader della Lega nazionale per la Democrazia (LND), eletta ad inizio aprile dopo decenni bui di brogli elettorali e dopo 14 anni di arresti domiciliari. Non siederà fin quando non sarà modificata la formula del giuramento alla Costituzione. Non siederà per non giurare fedeltà ai militari.

Ha disertato, dunque, la seduta del Parlamento, con sede nella capitale Naypyidaw, con altri deputati per non giurare fedeltà alla Costituzione figlia di un regime militare ultradecennale che non ha consentito elezioni democratiche  libere da brogli e condizionamenti. Il presidente Thein Sein, al quale la Lnd ha presentato una petizione per la modifica, al momento in Giappone, non si è ancora pronunciato. Un boicottaggio per la modifica della Costituzione ed una revoca delle sanzioni (ad eccezion fatta per l’embargo di armi) da Bruxelles per la Birmania. Per dodici mesi, infatti i ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno revocato le sanzioni economiche relative al blocco dei visti e dei beni contro 491 personalità, legate alla vecchia giunta militare, e contro 59 società ed organizzazioni, e quelle relative alle restrizioni commerciali imposte ad almeno 800 imprese, attive soprattutto nei settori del legno, delle pietre preziose e delle miniere.

Così si apre quella che potrebbe essere una nuova era per il paese. Una vita al servizio del paese, quella di San Suu Kyi. Figlia di Aung San, capo della fazione nazionalista del Partito Comunista della Birmania ucciso nel 1947, dopo avere negoziato l’indipendenza dal Regno Unito, San Suu Kyi rimase orfana del padre molto piccola. Da allora sempre al fianco della madre, Khin Kyi, ambasciatrice in India nel 1960 e divenuta, dopo la morte del marito, una delle figure politiche di maggior rilievo in Birmania.

Nel 1967, presso il St Hugh’s College di Oxford, Aung San Suu Kyi, conseguì la prestigiosa laurea in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia, quindi il trasferimento a New York dove nel 1972 cominciò a lavorare per le Nazioni Unite. Fu allora che conobbe uno studioso di cultura tibetana, Micheal Aris, che sarebbe diventato suo marito e padre dei suoi due figli, Alexander e Kim. Un legame profondo. Michael Aris sposando Aung San Suu Kyi sposò la Birmania e la sua causa di libertà e di difesa dei diritti umani, come testimonia la loro storia, trasposto anche nella pellicola cinematografica di Luc Besson ‘The lady’ (2011).

Nel 2010, dopo aver compiuto 65 anni, sempre agli arresti domiciliari, Aung San Suu Kyi, privata della libertà dal momento del golpe che rovesciò la democrazia liberamente eletta nel 1988, viene liberata.

Dal 1988 la Birmania, ex colonia inglese, terra stupenda, acquisì il nome di Myanmar e iniziò l’ennesima epoca buia di dittatura e negazione dei diritti umani. Una violenza del potere che ha fatto scendere in piazza i monaci buddisti per una protesta non violenta nel 2007; una protesta che sarebbe, invece, stata repressa con abusi e arresti.

Oggi, dopo venti anni di democrazia negata, nonostante le liberazioni nel 2011 e la tregua siglata tra i ribelli nel gennaio 2012, in Myanmar ci sono ancora migliaia di prigionieri di coscienza, detenuti in carcere per opinioni non gradite al regime militare birmano e manifestate pacificamente. Un dato allarmante ed emblematico di un regime in cui l’espressione pacifica del dissenso politico viene repressa, gli arresti degli oppositori politici avvengono spesso senza mandato e i detenuti sono costretti a trascorrere lunghi periodi d’isolamento, la tortura è praticata regolarmente nel corso degli interrogatori, i processi nei confronti dei prigionieri sono iniqui e inosservanti delle procedure previste dalle norme di diritto internazionale, agli imputati viene frequentemente negato il diritto a scegliere o addirittura ad avere, un avvocato. Migliaia di arresti sono stati eseguiti negli ultimi anni, a seguito delle nuove ondate di repressione.

 Una di queste, nell’agosto del 2007 quando dimostranti pacifici protestano contro il regime militare e vengono aggrediti da gruppi parastatali e dalle forze di polizia. Centinaia di persone vennero arrestate senza processo e detenute a rischio di tortura. Prima di questi arresti già più di mille erano i prigionieri di coscienza, detenuti per avere manifestato senza violenza il proprio dissenso rispetto al regime. Durante il successivo mese di settembre, mentre le proteste proseguirono e con esse l’attività repressiva del regime, Amnesty International dichiarò le persone arrestate prigionieri di coscienza e ne chiese il rilascio immediato, chiedendo, altresì, la missione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e un embargo di armi.  Nel mese di ottobre 58 mila firme vengono inviate da tutti Italia alla Farnesina e all’ambasciata del Myanmar per chiedere il rilascio dei prigionieri di coscienza.

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La storia del paese delle pagode più celebri al mondo, infatti, è scandita da parentesi di democrazia smentite da golpe militari. L’ultimo nel 1988, quando Aung San Suu Kyi, leader della Lega per la Democrazia vinceva le prime elezioni libere del paese prima di essere destituita e arrestata a seguito di un colpo di stato nell’ex capitale Yangoon. Oggi se ne potrebbe aprire un’altra. Oggi che la libera elezione di Aung San Suu Kyi non è stata delegittimata.

Nonostante la restrizione della libertà, in tutti questi anni, Aung San Suu Kyi è rimasta e rimane la voce della Speranza perchè come ella stessa ha scritto: “Le schegge di vetro, le più piccole con la forza tagliente e luccicante di difendersi contro le mani che cercano di frantumarle, possono essere indispensabili per chi vuole liberarsi dalla morsa dell’oppressione”.

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