Ma la memoria di Don Diana nemmeno la camorra può rubarla
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A scoprire il grave gesto un volontario che stava accompagnando una scolaresca in visita alla tomba. Come accade quasi ogni giorno. Scuole, gruppi scout, associazioni vengono da tutta l’Italia a incontrare il sacerdote. Una tomba piena di colori, le sue foto sorridenti, i fazzolettoni scout (don Peppe era un capo dell’Agesci), piccoli oggetti e bigliettini lasciati dai ragazzi. E i fiori che portano ogni giorno mamma Iolanda e i fratelli del sacerdote.
La cappellina, che da otto mesi accoglie anche papà Gennaro, è in fondo al cimitero di Casal di Principe. Per arrivarci si passa accanto a cappelle ben più grandi e ricche, di “famiglie” tristemente note, quelle che hanno voluto la morte del giovane parroco. Ma queste non sono state toccate. E nessun altra. Solo quella del sacerdote. La conferma che non si trattasse solo di un furto è arrivata alcune ore più tardi, quando in parrocchia è stata scoperta la scomparsa di tre calici, razziati l’altra notte. Chi ha commesso questi gesti sapeva benissimo dove stava rubando.
«È gravissimo, qualunque ne sia la matrice – ha commentato il magistrato della Dda di Napoli, Cesare Sirignano, uno dei più esperti nel contrasto ai clan casertani –. Don Diana infatti è un simbolo di riscatto per una terra martoriata; è una figura che a distanza di 18 anni dà ancora molto fastidio». Anche perché i semi gettati da don Peppe stanno dando buoni frutti. E cominciare da una Chiesa sempre più presente e attiva. Lo scorso 19 marzo, anniversario dell’omicidio, proprio nella sua parrocchia ieri sfregiata (e certo non è un caso…), il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, davanti a tantissimi cittadini di Casale, ha presentato un importante documento che rilancia e rinnova quello che don Diana e gli altri parroci della zona elaborarono venti anni fa e che diede molto fastidio alla camorra e ai suoi alleati. Il vescovo ha definito quell’omicidio «una violenza disperata contro chi è visto come ostacolo per le logiche dell’interesse e del profitto».
Forse ancora oggi, in una terra che sta davvero cambiando. Il prossimo 17 maggio avvierà la produzione il caseifico sorto sui terreni confiscati ai clan, dove lavora la cooperativa “Le terre di don Peppe Diana”. E sono centinaia i giovani che da tutto il Paese nella prossima estate verranno qui a svolgere campi di lavoro. Qui e nelle altre realtà che operano con volontà di cambiamento nei beni strappati alla camorra. Segni di speranza e di vita. Troppo per clan profondamente colpiti negli ultimi mesi dalle forze dell’ordine, basti ricordare gli arresti dei superlatitanti Iovine e Zagaria. E che con gli scioglimenti di alcuni Comuni, compreso Casal di Principe, vedono incrinarsi pure le coperture politiche.
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