Palermo, Piero Longo:”Noi operatori tv rischiamo e siamo una specie in estinzione”
Gli operatori video che fanno le riprese di cronaca per le emittenti televisive dovrebbero essere più rispettati e protetti, dovrebbero avere lo status di giornalisti, dice Piero Longo, 31 anni, cameraman freelance di Palermo che il 22 marzo scorso è stato picchiato e ha avuto la telecamera danneggiata da alcuni manifestanti infuriati con lui perché aveva ripreso alcuni tafferugli durante il corteo di protesta dei dipendenti della Gesip.
Longo segue gli avvenimenti di cronaca per Rai, Sky, Mediaset, Antenna Sicilia, Tgs e Telecolor. Non è la prima volta che viene aggredito. Lo considera quasi una prassi. Anche altri operatori che conosce sono stati aggrediti. “Quello che faccio è un mestiere pericoloso”, dice in questa intervista in cui descrive con amarezza i problemi e le difficoltà della sua categoria che, spiega, ormai è in via di estinzione. Non è la prima volta che si trova coinvolto in episodi di violenza. Nel 2009 aveva già denunciato un’aggressione mentre riprendeva un grosso incendio ad un deposito di autobus nella zona di Brancaccio a Palermo. I problemi che descrive sono gli stessi per i fotoreporter.
“Molte volte – racconta Piero Longo – noi operatori dobbiamo seguire gli avvenimenti di cronaca senza che ci sia un giornalista ad accompagnarci, a difendere il diritto di documentare i fatti anche con le immagini. Siamo noi che rischiamo e facciamo un lavoro da giornalisti. Questo non viene riconosciuto nemmeno in termini di rispetto per il nostro lavoro. Spesso abbiamo problemi, a volte non ci fanno neanche scendere dall’automobile. C’è gente che ci minaccia, che prende il numero di targa, ci riga la carrozzeria. Non è facile fare questo lavoro, specialmente quando c’è tensione, quando c’è gente addolorata e arrabbiata. A volte le forze dell’ordine ci mandano via. Siamo solo delle persone con una telecamera in mano. Se ogni operatore avesse la tessera di giornalista sarebbe diverso. Io avevo cominciato delle collaborazioni giornalistiche per avere il tesserino, ma poi, per vari motivi, non ho ancora concluso nulla”.
Quali sono le principali difficoltà che incontri sul campo?
“Sono tante. Ad esempio, devi chiedere il permesso. Io ormai lo so: prima di cominciare le riprese è meglio andare senza telecamera a dire cosa devo fare, a chiedere il permesso di girare le immagini. A volte potresti girare di nascosto, ma non conviene, perché la volta successiva ti faranno problemi. A volte gli stessi rappresentanti delle forze dell’ordine non vogliono che si ‘facciano immagini’, anche per motivi banali: magari c’è un poliziotto che non ha l’uniforme a posto, che non porta il cappello d’ordinanza, e potrebbe poi essere richiamato per questo. Oppure semplicemente gli agenti non vogliono farsi riprendere mentre operano. Una volta allo Zen, quartiere popolare di Palermo, ho filmato uno sgombero di occupanti abusivi. Poi alcuni poliziotti sono venuti e mi hanno fatto cancellare tutte le immagini in cui si vedeva la polizia. Io ho protestato che non era giusto, ma non c’è stato niente da fare. Però quel poliziotto quando mi ha rincontrato si è scusato”.
“Ho avuto problemi anche a documentare gli incidenti stradali mortali: mentre giro le immagini gli amici e i parenti della vittima o di altre persone coinvolte mi aggrediscono, mi invitano ad andare via. Mi accompagnano fino alla macchina e aspettano che me ne vada. Non sono gradito. Prima mi ribellavo. Da quando sono stato aggredito a Brancaccio, mi sono calmato un po’. Adesso arrivo sul luogo, vedo come è la situazione, se sono presenti le forze dell’ordine, chiedo il permesso anche alle persone coinvolte. Se mi dicono di no me ne vado. Se non sono tutelato dalle forze dell’ordine, se non sono tutelato dalla televisione per cui lavoro perché mi devo fare ammazzare? Per due lire?”.
Conosci episodi di intimidazione che hanno coinvolto tuoi colleghi?
“L’anno scorso due miei colleghi sono stati picchiati dai parenti e dagli amici di una bambina morta in un incidente stradale, durante i funerali. Uno è stato picchiato, gli è stata danneggiata la telecamera e l’automobile, e ha denunciato gli aggressori. L’altro pure ha preso le botte, ma non ha fatto la denuncia”.
Adesso prendi qualche precauzione speciale?
“No nessuna, nessuna. Ma lavoro un po’ di meno. Mi è dispiaciuto vedere che solo pochi colleghi di Palermo mi abbiano dato solidarietà. Solo gli operatori miei amici si sono fatti sentire. Molti miei colleghi non lo capiscono che siamo tutti nella stessa barca. Quello che è successo a me può succedere a chiunque, anche a loro. E’ il lavoro che è fatto così. Noi operatori cerchiamo sempre di arrivare subito sul luogo dei delitti, per non incontrare persone che possono crearci problemi. Prima arriviamo meglio è. Facciamo solo cinque minuti di riprese, ma in quei cinque minuti può succedere di tutto”.
Pensi che recentemente sia cambiato l’atteggiamento della gente verso voi operatori e verso i giornalisti? Pensi sia peggiorato? Lo dico pensando agli episodi delle scorse settimane che hanno coinvolto operatori e giornalisti durante le manifestazioni NO TAV.
“No non credo. Tutto dipende dal momento. Basta che un manifestante si lasci andare contro un giornalista ed è facile che altri gli vadano dietro. Dipende dal clima di tensione. Se io sono autorizzato a fare le riprese, è chiaro che io riprendo tutto quello che c’è da riprendere. A cancellare le immagini inutili si fa sempre in tempo. Quattro-cinque anni fa abitavo a Partinico e facevo lo stesso lavoro. Venivano tante persone a lamentarsi. Lavorare nel proprio paese non sempre è bello”.
Hai pensato di cambiare lavoro?
“No, perché a me questo lavoro piace. Lo faccio con passione. Sono un operatore. Nel mio campo dicono che sono fortunato perché trovo lavoro. Ma io lavoro perché sono disposto a tutto, anche a rischiare per quello che faccio. Infatti alcuni mi dicono che sono un pazzo, che esagero. Tanti operatori sono disoccupati da un anno. Per sopravvivere fanno altri lavori. Questo è un mestiere che va a finire. Adesso gli editori preferiscono avere un giornalista che va in giro con la telecamerina e il microfono, uno che fa tutto da solo: le immagini, le interviste, la cronaca e che alla fine va in studio, monta il servizio e lo manda in onda. Quindi gli operatori come me stanno scomparendo. Lo vedo alle conferenze stampa: ormai poche emittenti utilizzano telecamere professionali ed operatori”.
Cosa potrebbe aiutarti ad operare con maggiore facilità?
“Secondo me bisognerebbe modificare la legge sulla privacy perché chiunque oggi invoca la legge sulla privacy e non vuole essere ripreso. Poi ci vorrebbe più collaborazione delle forze dell’ordine. E infine, la gente dovrebbe capire che noi non speculiamo sulle disgrazie degli altri, facciamo solo il nostro lavoro e ci spiace a volte dover riprendere certi fatti”.
Quando sei stato aggredito, il 22 marzo, stavi seguendo per Antenna Sicilia la manifestazione dei lavoratori Gesip che protestavano per difendere il loro posto di lavoro. Come è andata?
“Ho già detto come lavoro. Anche quella volta sono andato dagli organizzatori e mi sono fatto autorizzare a riprendere il corteo. Ho seguito la manifestazione fin dall’inizio. In via Cala, la tensione era alta, perché il corteo aveva paralizzato il traffico. A un certo punto ho visto che c’era un tafferuglio. Ho visto una persona a terra presa a calci e un altro
ragazzo che ha preso dei pugni. Quando mi sono avvicinato con la telecamera, hanno cominciato a gridare ‘Ma che fai? Ci vuoi mandare in galera?’. Erano decine, erano minacciosi, davano calci, spintoni. Hanno cercato di togliermi dalle mani la telecamera, senza riuscirci, ma l’hanno danneggiata. Volevano la cassetta registrata. Poi è arrivato un sindacalista che li ha fatti desistere. Ma alcuni hanno continuato ad insistere perché consegnassi la telecamera. A un certo punto, ho cominciato a sentirmi male e mi hanno fatto sedere, ma tenevo sempre stretta la telecamera. Quando mi sono ripreso ho gridato: ‘Non ve la do’ la cassetta e piuttosto vi denuncio’. Sono andato in ospedale a farmi medicare. Il referto parla di trauma cranico, contusioni al polso destro ed escoriazioni. Ho denunciato l’episodio”.
ragazzo che ha preso dei pugni. Quando mi sono avvicinato con la telecamera, hanno cominciato a gridare ‘Ma che fai? Ci vuoi mandare in galera?’. Erano decine, erano minacciosi, davano calci, spintoni. Hanno cercato di togliermi dalle mani la telecamera, senza riuscirci, ma l’hanno danneggiata. Volevano la cassetta registrata. Poi è arrivato un sindacalista che li ha fatti desistere. Ma alcuni hanno continuato ad insistere perché consegnassi la telecamera. A un certo punto, ho cominciato a sentirmi male e mi hanno fatto sedere, ma tenevo sempre stretta la telecamera. Quando mi sono ripreso ho gridato: ‘Non ve la do’ la cassetta e piuttosto vi denuncio’. Sono andato in ospedale a farmi medicare. Il referto parla di trauma cranico, contusioni al polso destro ed escoriazioni. Ho denunciato l’episodio”.
La Digos sta ancora indagando. Ci sono novità nelle indagini?
“Al momento no. Però ho incontrato di nuovo quel sindacalista che mi ha difeso. E’ stato nel corso di un incontro del presidente della Regione Lombardo con i lavoratori Gesip. Io ero con la mia telecamera e c’erano anche alcune delle persone che mi avevano aggredito. C’era anche quella persona che il giorno dell’aggressione mi ha difeso. Mi ha detto ‘Ci dispiace, noi non siamo per la violenza… devi capire che alcuni lavoratori sono molto arrabbiati… se ti dicono qualcosa, per favore, fai finta di non sentirli’. Ma non è successo niente, nessuno mi ha detto nulla”.
Trackback dal tuo sito.