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La comunicazione antimafia, questa sconosciuta

Di Norma Ferrara il . L'analisi, Lazio

Non siamo all’anno zero della comunicazione antimafia. Certo. Tanto è stato fatto in questi anni di antimafie sociali e istituzionali ma c’è ancora da fare. E la politica (in parte) ha scelto di occuparsene. Su proposta della senatrice Mariangela Bastico, con la collaborazione del senatore Luigi De Sena, del portavoce del Comitato unitario professioni di Modena, Stefano Zanardi e del giornalista, Giovanni Tizian, si è tenuto oggi il primo appuntamento di un percorso di lavoro sul tema della Comunicazione antimafia. Chi la fa, come migliorarla, cosa significa e com’è possibile creare un circuito virtuoso di “buona informazione” fra mondo dell’antimafia sociale e istituzionale e i giornalisti. In sala molti giovani studenti delle scuole superiori di Roma che hanno “interrogato” (per una volta l’hanno fatto loro) politica e giornalismo sul tema delle informazioni su mafie e antimafia, sulla loro percezione del fenomeno e di come i mass media lo raccontano. E la testimonianza, di giornalisti, politici, giovani studenti e insegnati: l’Italia che costruisce dove le mafie tentano di distruggere. Facce e voci di una Italia che è maggioranza nel Paese, la stessa che ha scelto la legalità come bene comune da difendere e promuovere.  
Etica delle professioni, formazione alla legalità e informazione libera, i tre ambiti di lavoro in cui è stato suddiviso l’appuntamento che si è tenuto oggi nell’aula “ex hotel Bologna” al Senato con l’obiettivo  di raccogliere istanze da trasformare in proposte di legge utili e significative su questo tema. La senatrice Mariangela Bastico, sottolinea subito la natura “laboratoriale” dell’incontro e la volontà di ascoltare le storie e le proposte che arriveranno dalle testimonianze e da il via all’incontro sottolineando soprattutto la funzione fondamentale svolta dagli operatori dell’informazione, che dice: «sanno informare, fanno emergere quello che si insinua in maniera silente nei territori, come la mafia al nord. Molti di loro vivono sotto scorta proprio perché fanno informazione antimafia». 
La senatrice, però, mette anche in guardia dai tanti punti di criticità che l’informazione ha prodotto in questi anni e aggiunge  «non tutta l’informazione è corretta, sono stati veicolati tanti falsi messaggi: ad esempio, l’esistenza di un presunto codice d’onore della mafia, per cui le donne non verrebbero coinvolte in violenze, mai toccate; in realta’ sono più di 150 le donne ammazzate o “suicidate” dalla mafia. E’ inoltre sbagliato descrivere con stereotipi il mafioso, che, soprattutto al nord, mostra la faccia per bene e cerca di mimetizzarsi nella società».
Fra i relatori, al fianco della Bastico, il cronista della Gazzetta di Modena e oggi del Gruppo L’Espresso, collaboratore di numerose testate on line, Giovanni Tizian. «L’informazione  – ha detto –  ha il ruolo di comunicare ai cittadini l’intreccio tra le varie illegalità. Solo cogliendone le sfumature e’ possibile affrontare il fenomeno. Io credo in un meccanismo in cui ciascuno svolga un proprio ruolo: il giornalista scrive, il cittadino si informa e poi dovrebbe intervenire la politica. Quando questo meccanismo si inceppa, assistiamo alla mafiosizzazione del paese. Quando un professionista o un imprenditore si rivolge a un mafioso per aggirare gli ostacoli, rappresenta l’estrema sintesi di una mentalità diffusa». Giovanni, minacciato dalla ‘ndrangheta per il suo lavoro di giornalista fatto a Modena e portatore di una storia dolorosa come familiare di vittima della ‘ndrangheta, non vuole essere un simbolo ma solo una persona che, come molte altre in Italia, fa il proprio dovere. Fugge dalle semplificazioni, Tizian e va dritto al punto senza troppi giri di parole: «le mafie usano la corruzione come strumento per infiltrarsi nel Centro – Nord, per questo si muovono silenti. Quando ci si oppone alle loro “regole” allora ritornano ad usare le armi, come hanno sempre fatto. Per questo è necessario porre l’attenzione sul tema della corruzione ma anche della trasparenza all’interno dei vari segmenti della società da imprenditori, a professionisti ai politici».
E fra i promotori del dibattito, Luigi De Sena, vice presidente della Commissione Antimafia, quota Pd. «La lotta alla mafia fatta dalla magistratura e dalle forze di polizia e’ eccezionale – ha spiegato il senatore – ma e’ necessario sostenere l’attività di repressione attraverso quella di prevenzione. I docenti, la politica ad esempio devono accrescere il loro impegno. La dimensione internazionale dei fenomeni criminali richiede strumenti adeguati di contrasto: per questo e’ nato lo spazio europeo antimafia». «La comunicazione antimafia – prosegue De Sena – molto spesso non e’ corretta. Si distribuiscono dati che possono essere destabilizzanti e per difetto. Specialmente il dato finanziario. Esempio il fatturato delle mafie. Dobbiamo essere in grado di spiegare il perché di questo dato, in modo da prevenire e combattere questo fenomeno. Troppi convegni si fanno sulla cultura della legalità; ora bisogna praticarla non predicarla. Ad esempio, attraverso il sostegno agli imprenditori che denunciano, con una corsia privilegiata negli appalti pubblici e agli amministratori minacciati dalle mafie con interventi specifici».
Atti concreti come quelli messi in campo dal Centro Unitario Professionisti di Modena. «In certi territori – spiega Stefano Zanardi, il portavoce del Cup di Modena – si fa fatica ad affrontare tematiche di questo tipo. Un paio di anni fa siamo stati sollecitati su questo tema a Modena e abbiamo costituito una commissione di contrasto alla mafia, alla quale hanno aderito 18 ordini professionali. E poi e’ stata redatta la Carta etica che fra le altre cose, prevede per gli ordini professionali l’obbligo di radiare il proprio iscritto, che e’ stato condannato, e di costituirsi parte civile nei processi dove sono imputati iscritti». Per rendere più’ efficace l’intervento degli ordini Stefano Zanardi propone una modifica della ormai vecchissima legge 892 del 1938.
11 interventi gli interventi che hanno arricchito il dibattito:  associazioni, giornalisti, professionisti, dirigenti scolastici, insegnanti. Questi ultimi particolarmente coinvolti sui diversi territori in cui operano hanno testimoniato l’entusiasmo ma anche la fatica della pratica antimafia sui grandi numeri: scuole, gruppi interclasse, singoli studenti. Ma nelle loro parole nessuna incertezza sulla necessità di moltiplicare gli interventi su questi argomenti e di entrare in comunicazione sempre più stretta con il mondo della comunicazione e dell’informazione. Anzi, proposte e progetti per il futuro. Da Libera a daSud, in tanti i professionisti del mondo del giornalismo che hanno dato il proprio contributo al dibattito. 
La comunicazione antimafia, dunque, comincia ad essere (in questi termini  – cioè mettere in comune attraverso le parole) oggetto di gruppi di lavoro, di ricerche e di potenziali proposte di legge: quelle per evitare le concentrazioni monopolistiche sui territori (tv, radio, giornali, spesso in mano a imprenditori che hanno interessi in altri settori dell’economia o della politica) quelle per lasciare libero il web, fra l’altro luogo in cui sempre più l’informazione antimafia trova spazio. Perché non si debba più continuare a vedere la comunicazione antimafia come un problema ma  come una risorsa, che non può fornire risposte che invece spettano alla politica ma che ha il dovere etico di mettere in comune le informazioni e farle circolare all’interno della società civile, interrogando la politica. 

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