“Caso Messina”, condanne e assoluzioni
“Caso Messina” alla sbarra. A quattro anni dalla sentenza di primo grado, la Corte d’appello di Catania, presieduta da Ignazio Santangelo, ha confermato la condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa dell’ex Gip di Messina, Marcello Mondello mentre ha ritenuto prescritto il reato per l’ex sostituto procuratore della Dda di Messina, già sostituto procuratore nazionale antimafia, Giovanni Lembo e assolto il maresciallo dei carabinieri Antonio Princi, suo principale collaboratore. I fatti risalgono a quindici anni fa, e partirono dall’esposto dell’avvocato Ugo Colonna, sulla strana collaborazione dell’ex pentito, Luigi Sparacio. Si trattava di rapporti fra pezzi delle istituzioni e mafia messinese. In mezzo, una strana collaborazione ad intermittenza di quello che a lungo venne considerato il “Buscetta” del messinese: Sparacio.
Era il 2008 e passò sotto traccia la sentenza che in primo grado condannava per favoreggiamento alla mafia l’ex sostituto procuratore della direzione nazionale antimafia,Giovanni Lembo, Marcello Mondello ex Gip di Messina a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e Luigi Sparacio, finto collaboratore di giustizia, a 6 anni e 4 mesi di reclusione. Niente di nuovo per i Tg che poco o niente hanno scelto di raccontare (salvo alcune lodevoli eccezioni) di questa provincia, per molti versi, scatola nera di Cosa nostra. E per molti anni luogo in cui della mafia tradizionalmente intesa, non c’era traccia. Oggi arriva la sentenza che conferma la condanna per il giudice Mondello mentre prescrive il reato di cui era accusato il magistrato della Dda di Messina, Giovanni Lembo, poichè i giudici di Catania hanno ritenuto non applicabile l’aggravante mafiosa al reato di favoreggiamento contestato all’ex sostituto procuratore Lembo e per il reato semplice’ era scattata la prescrizione (assolto anche dal reato di calunnia che gli era stato contestato). Confermata per il resto la sentenza di primo grado, e quindi anche la condanna a sei anni e quattro mesi proprio per l’ex collaboratore Luigi Sparacio, che non aveva presentato ricorso. Nel fascicolo giudiziario che accusava di rapporti l’ex boss e pezzi dello Stato, figurava anche l’imprenditore Michelangelo Alfano, uomo chiave per i palermitani di Cosa nostra a Messina, suicidatosi nel novembre del 2005.
Quella che oggi si chiude in appello è una vecchia storia che nasce a cavallo degli anni ’80 – ’90 in Sicilia. Il falso pentito Sparacio, durante le indagini aveva ritrattato e fatto il doppio gioco con i magistrati e – nonostante il programma di protezione cui era stato sottoposto – continuava a gestire gli affari della “famiglia”. I suoi racconti, secondo l’accusa nel processo di primo grado, furono concordati, pilotati, aggiustati, per salvaguardare lo status quo della mafia messinese. All’epoca le accuse, alcune delle quali non sono state sufficienti a provare l’aggravante mafiosa del favoreggiamento per il magistrato Giovanni Lembo, erano state corroborate da intercettazioni ambientali, telefoniche e testimonianze di pentiti. Il vice del procuratore Vigna, dal 1987 sino al 1994 è stato un Pm di punta della Dna, a capo di indagini decisive anche contro la criminalità organizzata, in particolare di Barcellona Pozzo di Gotto, dalla città del Longano partirà il detonatore per la strage di Capaci e qui che verrà decisa ed eseguita la condanna a morte del giornalista Beppe Alfano. Fatti di rilevanza strategica prima e dopo la fase stragista sull’asse di numerosi delitti di mafia della provincia, come quello di Graziella Campagna. Proprio il gip Marcello Mondello, ora condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, aveva sancito l’archiviazione del caso. Il processo in seguito è stato riaperto. Entro novanta giorni, invece, saranno depositate le motivazioni della sentenza sul “Caso Messina”.
In quello che la Commissione antimafia guidata da Luciano Violante, all’epoca, chiamò “il verminaio messinese” a distanza di tanti anni si svolgono anche altri processi sul sistema giudiziario e sulle mafie della provincia. Gli ultimi due procedimenti che hanno destato “clamore” ma fatto poco notizia, a causa del “cono d’ombra” informativo che avvolge la provincia, sono quelli relativi al procuratore di Messina, Franco Cassata e al magistrato, Olindo Canali. Alcuni giornalisti, free lance, come Antonino Mazzeo, hanno raccontato, passo dopo passo, le vicende giudiziarie che – soprattutto dopo il suicidio del professore, Adolfo Parmaliana, a Terme Vigliatore (Me) hanno riportato alla luce vecchie indagini e nuovi scenari da chiarire, in merito alla storia dei sistemi criminali che hanno governato la provincia ma anche all’attività di contrasto che è stata fatta negli ultimi decenni. Poche testate giornalistiche e blog (e noi, dopo il 2009, non siamo stati fra questi) hanno raccontato queste vicende, che partono dall’omicidio di Beppe Alfano, attraversano il maxi processo alle cosche messinesi “Mare Nostrum” e arrivano all’inchiesta “Tsunami”, di cui tanto si parlò dopo il suicidio del professore Parmaliana, avvenuto nell’ottobre del 2008.
E’ possibile leggere le cronache degli ultimi sviluppi delle inchieste nella provincia di Messina nei portali segnalati a seguire, che fanno rete con l’Osservatorio. Nelle prossime settimane un approfondimento, storico e giudiziario, anche su Libera Informazione.
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