Locri, incendiata l’auto del giornalista Filippone di “Calabria Ora”
Un altro giornalista è entrato nel mirino delle temibili cosche della ‘ndrangheta. Ancora una volta un giornalista che vive e lavora in Calabria è stato colpito, intimidito. Ilario Filippone, 32 anni, è un mio collega, un cronista che si occupa di cronaca giudiziaria nella Locride per il quotidiano Calabria Ora. Ha continuato a fare con impegno e serietà il suo lavoro mentre qualcuno faceva i preparativi per fare saltare in aria la sua automobile. Aveva parcheggiato la Renault Modus davanti alla sua abitazione, nel cuore di Locri, per recarsi a piedi dalla fidanzata. Alle due di notte il silenzio è stao squarciato da un boato. Poi le fiamme, il panico, il terrore dei suoi familiari svegliati nel sonno.
Si è celebrato così, ancora una volta, il triste e inquietante rito della paura. Ci sono persone che agiscono di notte come spettri, come fantasmi per seminare terrore. Si definiscono “uomini d’onore”. Sono uomini del disonore. Scelgono i loro obiettivi per mandare messaggi precisi, soprattutto per imporre le logiche del silenzio e della devastazione degli animi. Nulla è più come prima per un giornalista che subisce un atto del genere. Qualcosa ti resta nella testa e nel cuore. Pensi a te stesso, ma soprattutto ai tuoi cari, a coloro che insieme a te condividono la vita. Intuisci la ragione per la quale sei stato colpito, ma non sai chi sono fisicamente i tuoi avversari. Prendi atto di essere entrato in una dimensione nuova, che prima conoscevi solo perché qualcosa di simile era accaduto ad altri. Ti senti sconvolto, ma anche più coinvolto. Nei primi giorni sei incoraggiato e sostenuto dagli attestati di solidarietà. Poi, pian piano, si fa strada il silenzio. Si torna allla fredda quotidianità. E tu ricominci, a testa bassa, con un misto di rabbia e determinazione. Sai che, se ti hanno colpito, è stato perché il tuo lavoro di giornalista da fastidio a uomini del disonore che agiscono vigliaccamente nell’ombra della notte. E diventi ancor più voglioso di raccontare, di urlare le malefatte. Dentro te stesso resta una ferita difficile da guarire.
L’intimidazione a Lello Filippone ci dice che la triste sequenza dei giornalisti intimiditi in Calabria non accenna a interrompersi: nel 2010 sono stati 20 gli episodi di minacce nella mia regione. Sono stati 8 quelli denuciati nel 2011, con 30 giornalisti coinvolti. Nei primi tre mesi del 2012 sono stati già resi noti altri 5 episodi, con altrettanti giornalisti coinvolti. E siamo solo all’inizio di aprile…
Oltre a Lello Filippone, quest’anno sono stati presi di mira Nicola Lopreiato, Filippo Maria Cutrupi, Pasquale Loiacono, Aldo Pecora. Tutti i loro casi sono stati raccontati da Ossigeno. Trentatre episodi in poco più di due anni. Sono tanti. Le storie sono distinte, una diversa dall’altra, ognuna va valutata per quel che è, ma è importante tenere presente il quadro complessivo per capire cosa accade e quale aria si respira.
Questi dati dicono che l’informazione ha un ruolo strategico in questa terra di confine scavata dalle fiumare e dalle frane, ma anche dall’incuria sociale. In Calabria i confini tra legalità e illegalità, tra collusioni e appartenenze oscure che affondano le loro radici nel tempo, sono labili e fragili. In questa terra le linee di demarcazione tra chi sta da una parte e chi sta dall’altra non sono ancora chiaramente emerse. Fare il giornalista vicino ai santuari della ‘ndrangheta significa spesso intuire e capire questi confini e descriverli. Ed allora scattano le intimidazioni a raffica, le fiamme, le pallottole inviate nelle redazioni.
In questa regione dell’estremo Sud, da troppo tempo abbandonata al suo destino, i giornalisti come Lello Filippone continuano a fare il loro dovere, quello di informare. Lo stanno facendo e continueranno a farlo, sapendo bene a quali rischi vanno incontro perché vi è la consapevolezza che in Calabria si sta giocando una partita di non secondaria importanza per il futuro dell’intero paese, per impedire il dilagare di quella che viene comunemente definita la più pericolosa tra le criminalità organizzate al mondo. In gioco vi è la libertà e non solo quella della stampa ma dell’intera società civile. Ecco perché mai come in questo momento occorre che tutti e non solo i giornalisti facciano la loro parte scegliendo bene da che parte stare. Noi siamo pronti come i contadini, quando affondano le mani nella terra per renderla feconda e fruttuosa per togliere la gramigna, per piantare i semi della libertà e della riscatto civile. Queste mani, a volte, sono tremanti, ferite dalla fatica e dalle intimidazioni. Ma con queste mani noi continueremo a fare il nostro lavoro senza abbassare lo sguardo, senza viltà, guardando dritto negli occhi gli uomini del disonore, coloro che ancora oggi rendono omaggio a questo disonore.
*Michele Albanese per www.ossigenoinformazione.it
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