Vito Palazzolo, fermato in Thailandia dalla polizia e incastrato (anche) da Facebook
E’ un singolare caso internazionale quello che si sta consumando in questi giorni in un aereoporto thailandese. A breve la Thailandia dovrebbe decidere sull’espulsione di Vito Roberto Palazzolo, il boss mafioso arrestato venerdi’ scorso all’aeroporto di Bangkok, che deve scontare in Italia una condanna definitiva a nove anni di carcere. Ad opporsi all’espulsione e’ il Sud Africa, dove Palazzolo, che ha assunto il nome di “Roberto Von Palace” risiede da molti anni lavorando nel ramo del commercio dei diamanti. Sabato e’ arrivato a Bangkok persino l’ambasciatore del Sudafrica mentre da venerdì’ e’ in corso un intenso braccio di ferro diplomatico tra i paesi interessati. “Nel 2010, l’alta corte sudafricana si era pronunciata per l’ineseguibilita’ della sentenza di condanna emessa dall’Italia”, ha ribadito fino a ieri l’avvocato di Palazzolo Baldassare Lauria. Ormai da un mese la Procura di Palermo e l’Interpol erano sulle tracce di Palazzolo, il finanziere di origini siciliane su cui pende una condanna a nove anni per associazione mafiosa: dal Sudafrica, che ha sempre rifiutato l’estradizione del manager-boss, Palazzolo si era spostato ad Hong Kong. Gli investigatori dell’Interpol l’avevano appreso grazie a una notizia confidenziale, poi confermata da indagini sul campo e grazie all’utilizzo del social network Facebook. Il latitante, infatti, e’ stato rintracciato anche seguendo i profili virtuali suoi e di alcuni suoi familiari. Le intercettazioni telematiche hanno consentito di documentare il viaggio di Palazzolo in Thailandia.
Così, era subito partita dall’Italia una richiesta di arresto temporaneo. Dal 31 marzo quando la polizia lo ha fermato, con la scusa di un documento ritenuto falso, all’aeroporto di Bangkok è un gran via vai di personalità che cercano di sottrarre Palazzolo al proprio destino. Adesso, il manager originario di Terrasini si trova rinchiuso in una cella dell’ufficio immigrazione dello scalo tailandese. Il mafioso è stato espulso dalla Thailandia, dice il suo legale Baldassare Lauria. “Noi però – aggiunge Lauria – ci siamo opposti al decreto di espulsione e quindi la decisione ora passa al giudice che penso si esprimerà lunedì”.
Le trattative. Sono trattative complesse, Palazzolo non è ancora dunque in stato di arresto, ma di “trattenimento temporaneo”. La decisione definitiva, da parte dell’ufficio immigrazione, doveva arrivare ieri mattina. In questi giorni, all’aeroporto di Bangkok è arrivato addirittura l’ambasciatore del Sudafrica in Thailandia per consegnare alla polizia la sentenza dell’alta corte di Joannesburg. “Si è così aperto un contenzioso – prosegue il legale italiano di Vito Roberto Palazzolo – su cui dovrà pronunciarsi un giudice thailandese. Noi siamo fiduciosi”. A Palazzolo non sono mai mancati agganci e buone amicizie nei salotti che contano del Sudafrica. Ma, adesso, davanti alla cella in cui è attualmente custodito il manager di Cosa nostra restano anche i poliziotti del Servizio centrale operativo della polizia italiana e i colleghi dell’Interpol. Intanto, la nostra diplomazia sta facendo tutti i passi necessari per cercare di portare a termine, trent’anni dopo, l’indagine che Giovanni Falcone non riuscì mai a concludere.
Chi è Vito Palazzolo. Si ritiene sia un membro della mafia siciliana, cosa che lui ha sempre negato. È considerato dagli inquirenti il cassiere di Cosa Nostra, esperto riciclatore di denaro, molto vicino ai principali narcotrafficanti italo-americani nonché tesoriere di Bernardo Provenzano e Totò Riina. Per questi reati è già stato condannato in via definitiva a 9 anni di reclusione per associazione mafiosa. Sposato con una ricca ereditiera d’origine russa, in passato è stato anche ambasciatore plenipotenziario del piccolo Stato del Ciskey (poi annesso al Sud Africa). Palazzolo inizia a prendere contatti con la mafia emergente dei corleonesi già negli anni ’60. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, in quel periodo avrebbe fatto il suo ingresso nella famiglia mafiosa di Partinico.
L’inchiesta Pizza Connection. Il suo nome emerge per la prima volta nella storica indagine di Giovanni Falcone denominata “Pizza Connection”, che smantellò una rete di traffico di stupefacenti e riciclaggio di denaro attiva in tutto il mondo e accertò il ruolo centrale di Cosa nostra nella raffinazione e nel traffico di eroina, i cui proventi vennero in larga parte riciclati dallo stesso Palazzolo. Nel 1980 la polizia Svizzera riesce ad arrestarlo per riciclaggio di denaro e lo condanna in a tre anni di prigione.
Palazzolo e L’Africa. Uscito dal carcere si era trasferito in Sudafrica dove arriva con un passaporto svizzero intestato a tale Domenico Frapolli. In breve tempo il boss cambia nome in Robert Van Palace Kolbatschenko e diventa un vero e proprio magnate del paese sudafricano dove, dopo l’apartheid, stringe rapporti con l’African National Congress, il partito di maggioranza nera. Dal 1986 Palazzolo vive a Franschhoek come uomo d’affari tra i principali contribuenti del paese. Nel 1996 viene accusato di aver dato asilo a due ricercati mafiosi di Partinico: Giuseppe Gelardi e Giovanni Bonomo, che sarebbero stati segnalati proprio nelle sue proprietà tra il Sudafrica e la Namibia.
Le ultime inchieste. La procura di Palermo inizia quindi una complessa attività rogatoria e nel 2004 i pubblici ministeri Domenico Gozzo e Gaetano Paci vanno in Sudafrica per chiedere l’estradizione di Palazzolo che viene però negata: a garantire per lui ci sono anche due generali dell’esercito sudafricano. Nonostante lo scampato pericolo, la condanna inflittagli dai tribunali italiani pesa e lui cerca in diversi modi di disfarsene. Pare che tramite un ‘amica della sorella abbia provato a contattare anche il senatore Marcello Dell’Utri (come scrive il Fattoquotidiano in questo articolo) ma senza successo. Nel 2010 l’Alta corte del Sudafrica si era pronunciata a favore di Palazzolo negando l’estradizione chiesta dall’Italia, nonostante pesasse su di lui una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa del 2006, divenuta definitiva in Cassazione nel 2009.
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