I Giudici della i corte d’Assise di Milano hanno condannato all’ergastolo i 6 imputati del processo con al centro il sequestro e l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia sciolta nell’acido. I giudici hanno inflitto l’ergastolo, con isolamento diurno di due anni, a Vito e Carlo Cosco, quest’ultimo l’ex compagno della vittima. La pena dell’ergastolo, con l’isolamento diurno di un anno, e’ stata inflitta a Giuseppe Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabotino. Per la figlia di Lea Garofalo, Denise, che si e’ costituita parte civile contro il padre, Carlo Cosco, e’ stato disposto un risarcimento di 200.000 euro. Risarciti per 250 mila euro la madre e la sorella di Lea. Gli imputati dovranno anche pagare le spese processuali delle parti civili.
La sentenza è stata letta nell’aula di tribunale di Milano affollata da cittadini. Tante le associazioni, presenti i ragazzi del presidio dedicato proprio a Lea Garofalo, il presidente di Libera, Luigi Ciotti, il presidente onorario, Nando dalla Chiesa, l’attore Giulio Cavalli. Presenti molti giornalisti inviati di testate nazionali. E chiaramente, la figlia di Lea, Denise Cosco. Luigi Ciotti, presidente di Libera, visibilmente emozionato e scosso, ha dichiarato “Giustizia è stata fatta, dobbiamo tutti inchinarci davanti a Denise che è riuscita a rompere gli schemi mafiosi“. Gli imputati hanno ascoltato impassibili le parole dei giudici. “Il fatto più’ importante oggi e’ che una giovane ragazza a cui hanno ucciso la mamma ha avuto il coraggio di essere testimone di giustizia. Ha rotto la paura e l’omertà’ e ha portato il suo contributo a scrivere una pagina di giustizia e verità”. E’ questo il pensiero che Denise esprime attraverso il suo legale Vincenza Rando. La ragazza ventenne ha atteso ‘nascosta’ per motivi di sicurezza, la sentenza di condanna per l’omicidio della madre Lea Garofalo. Il legale, emozionato, ha sottolineato l’intelligenza e il coraggio di Denise, che si e’ costituita parte civile ‘contro’ il padre imputato nel processo e sottolineato che il Paese deve essere orgoglioso di una ragazza come lei. Il legale di parte civile della famiglia di Lea Garofalo, Roberto D’Ippolito, ha sottolineato che la Corte ”ha dimostrato di aver capito la gravità di questo crimine”, perché probabilmente per Milano questo è stato “il primo caso di lupara bianca”.
Chi era Lea Garofalo. Lea è una donna, ex collaboratrice di giustizia, scomparsa a Milano il 24 novembre del 2009, a 35 anni. Ha una figlia, Denise e un marito, Carlo Cosco, dal quale tenta di separarsi, negli anni. Da quando è piccola respira aria di mafia. E’ originaria di Petilia Policastro, un paesino in provincia di Crotone. Floriano Garofalo, fratello di Lea dopo vari arresti e sentenze per mafia, viene ammazzato in un agguato nella frazione Pagliarelle di Petilia. Qualche anno dopo Lea decide di collaborare con la giustizia ma le sue dichiarazioni non confluiranno in alcun processo. Lea, dunque, esce dal programma di protezione previsto per collaboratori di giustizia e prova ad allontanarsi dal marito e dalla Calabria. Per un periodo vive in Basilicata dove subisce già un tentativo di sequestro. Vive anni difficili e con lei la figlia, Denise. Scappare dalla ‘ndrangheta in solitudine è una missione quasi impossibile. Carlo Cosco insiste per vedere la figlia e teme – come dimostrato dalla sentenza – la donna, sia per le informazioni che ha già dato agli inquirenti come collaboratrice, sia per le cose che ancora conosce sui traffici di droga dei Cosco e sulle attività illecite, molte a Milano, in via Montello, lo stabile che secondo l’accusa è nelle mani della “famiglia” e che gestisce anche lo spaccio di sostanze stupefacenti nel quartiere. I Cosco non si rassegnano. Pedinano la donna, e nel novembre del 2009, Lea decide di incontrare il marito a Milano. Da quel giorno, il 24 novembre del 2009 di Lea si perdono le tracce. Lea è stata rapita, uccisa e il suo corpo sciolto nell’acido.
***
Libera Informazione e
Narcomafie grazie alla giornalista Marika Demaria hanno seguito tutte le udienze di questo processo che si conclude oggi in primo grado con la condanna dei sei imputati. A seguire l’ultima cronaca giunta nel pomeriggio dal tribunale di Milano, poche ore prima della sentenza.
In allegato lo speciale “Lea Garofalo. Il processo”. Nei prossimi giorni ulteriori approfondimenti sul caso giudiziario e sulla storia di Lea Garofalo, una donna che ha dovuto combattere da sola contro suo marito e contro la ‘ndrangheta.
****
L’attesa per la sentenza
Sono da poco passate le 16 quando Anna Introini dichiara «La Corte si ritira». Tra poche ore sarà dunque proclamata la sentenza di primo grado per il processo che si è celebrato dal 6 luglio ad oggi, 30 marzo – con uno stop forzato e una ripresa dal 23 novembre alla prima settimana di dicembre per il cambio del Presidente della Corte – per la scomparsa di Lea Garofalo. Il pubblico ministero Marcello Tatangelo ha chiesto sei ergastoli per i sei imputati Carlo, Giuseppe e Vito Cosco, Massimo Sabatino, Rosario Curcio e Carmine Venturino. Diversi i capi d’imputazione: gli ultimi tre sono accusati di aver sequestrato Lea Garofalo la sera del 24 novembre 2009 dopo che era stata consegnata loro da Carlo Cosco; a loro volta, i tre imputati avrebbero consegnato la donna nelle mani di Vito e Giuseppe Cosco che l’avrebbero interrogata, torturata e uccisa con un colpo di pistola alla nuca. Infine, tutti sono accusati di aver distrutto il cadavere mediante dissolvimento in cinquanta litri di acido, operazione avvenuta su un terreno a San Fruttuso, Monza Brianza. La requisitoria del pm ha occupato l’intera giornata di lunedì 26 e buona parte dell’udienza di martedì 27, seguita dalle conclusioni delle parti civili e delle difese. Queste ultime hanno abbracciato le giornate di ieri e di oggi (ne daremo contezza nei successivi articoli, ndr): compatte chiedono l’assoluzione dei rispettivi assistiti poiché «il fatto non sussiste, o, in subordine, per non aver commesso il reato». Sono stati proprio due degli imputati – Carlo Cosco e Carmine Venturino – ad anticipare, con le rispettive dichiarazioni spontanee, il ritiro in Camera di Consiglio della Prima Corte d’Assise.
Carlo Cosco, ex convivente di Lea Garofalo e padre della loro unica figlia Denise, ha esordito assumendosi «tutte le responsabilità per il fatto di Campobasso. Io là ci sono andato il 28 aprile, è vero, ma perché dovevamo portare un’auto a mio fratello. Poi siamo scesi in Calabria e la mia ex mi ha chiamato dicendomi che aveva fatto un casino, che aveva litigato con mia madre e che adesso lei era in ospedale. Io mi sono arrabbiato e ho detto a Sabatino di salire su a
Campobasso il 5 maggio per picchiarla, per farle paura, perché aveva trattato male mia mamma. Il pubblico ministero invece ha alzato un polverone…ha fatto un casino…ma quale omicidio? Ma quale tentativo di sequestro?». Si ferma, prende una bottiglietta d’acqua – «Tanto c’è tempo, no?» bofonchia rivolgendosi alla Corte – ed estrae un foglietto dalla tasca della tuta: «E poi volevo dire – prosegue – che il pm ci ha chiamato vigliacchi, e a noi questo non va bene. Lui sarà dottore, sarà laureato, penso, non so, io ho solo la terza media, ma vigliacco non lo sono. Però ha ragione che sono stati dei vigliacchi quelli che hanno ucciso la mia ex, però non l’abbiamo fatto noi. Noi siamo innocenti. Signori della Corte, signori giudici popolari, vi ringrazio per l’attenzione e vi auguro una buona Pasqua anticipata».
Subito dopo è Carmine Venturino che chiede di prendere la parola. «Il pubblico ministero ha messo in dubbio il rapporto mio e di Denise, non è giusto. Ci sono i tabulati, le intercettazioni, si vede che ci volevamo bene, che lei non voleva andarsene da Pagliarelle perché voleva stare con me. Floreale ha mentito, eravamo come fratelli, ha negato tutto… e adesso sono qui…non lo so nemmeno io perché mi trovo in questa Corte d’Assise, se me l’avessero raccontato non ci avrei creduto…Perché mi trovo qui? Boh!» Si ferma un attimo e prosegue: «Però il mio pensiero ce l’ho, penso che mi abbiano arrestato perché avevano paura che altrimenti Denise non avrebbe parlato qui al processo. Presidente io la ringrazio, ci affidiamo a lei e ai giudici popolari».