Il Comune di Pagani, sciolto per mafia “patto scellerato camorra-politica”
Sono racchiuse in 103 pagine le motivazioni che hanno spinto il Consiglio dei Ministri a decretare, per la seconda volta in diciannove anni, lo scioglimento per mafia del consiglio comunale di Pagani. Pagine nelle quali la Commissione di accesso agli atti amministrativi, inviata al Comune all’indomani dell’arresto dell’ex Sindaco Alberico Gambino e di altri 10 tra amministratori, dirigenti pubblici, tecnici e imprenditori, disegna la storia criminale della città di Pagani e definisce le modalità attraverso le quali la malavita si è infiltrata in tutti questi anni nell’azione amministrativa.
L’operazione “Linea d’ombra” scatta alle prime luci dell’alba del 15 luglio 2011. Gambino viene portato via dai Carabinieri insieme ad altre 6 persone. Si tratta del consigliere comunale Giuseppe Santilli, del presidente della Paganese calcio Raffaele Trapani, dell’imprenditore Francesco Marrazzo, del capo del settore urbanistica del comune Giovanni De Palma e dei fratelli Antonio e Michele Petrosino D’Auria, figli del più noto boss Gioacchino spara spara, da tempo detenuto per reati di camorra. Gli inquirenti ipotizzano, sulla base di prove definite incontrovertibili, l’esistenza di un cartello criminale operante a Pagani e nei comuni limitrofi costituito da elementi di spicco del clan Fezza – D’Auria Petrosino, da spregiudicati imprenditori e da politici di livello regionale, i quali – scrive la Dda di Salerno – legandosi inscindibilmente a tale gruppo criminale, acquisivano il dominio incontrastato nella gestione della cosa pubblica, riuscendo ad imporre il loro pieno controllo sulle principali attività imprenditoriali ed economiche di Pagani. Le accuse per tutti sono gravissime: concussione e scambio elettorale politico mafioso. Il tutto aggravato dalla modalità mafiosa.
Al centro dell’inchiesta, supportata da intercettazioni ambientali e telefoniche, dichiarazioni delle vittime, deposizioni e acquisizioni documentali che spingono il Procuratore Franco Roberti a parlare di un quadro probatorio gravissimo, c’è il centro commerciale Pagaso, divenuto per Gambino e i suoi terra di conquista: imposizione di assunzioni, affidamento di lavori edili, versamenti in favore della Paganese, controlli punitivi. Il tutto dietro la minaccia di pesanti ritorsioni rivolte ad Amerigo Panico, titolare della struttura commerciale, che ad un certo punto decide di denunciare tutto ai Carabinieri di Pagani.
Ma è solo il primo atto. Il 26 luglio parte l’operazione “Settimo Cerchio”, con il Gip Gaetano Sgroia decide la custodia cautelare anche per l’ex assessore Massimo Quaratino, per il direttore commerciale del Pegaso Giovanni Barone, il presidente della società partecipata Multiservice Giovanni Pandolfi Elettrico, il direttore generale dell’Ente Angelandrea Falcone, il pregiudicato Antonio Fisichella. Dietro le sbarre anche Guido Cutolo, ex carabinieri ausiliario e nipote di Santilli, ritenuto la talpa del gruppo. Il provvedimento ribadisce il quadro e le accuse di Linea d’ombra. Nel registro degli indagati finisce anche il nome dell’ex presidente del consiglio comunale Massimo D’Onofrio.
Le inchieste portano alla luce una vicenda disarmante. Politica e camorra stringono, secondo Roberti, un patto scellerato, in cui i politici non sono succubi ma consapevoli contraenti e componenti a pieno titolo del sodalizio criminale. Un nodo che ha come terminale gli interessi criminali del clan Fezza – Petrosino D’Auria, che, ancora secondo le parole del Procuratore, è inserito pienamente nelle istituzioni e condiziona completamente l’attività pubblica. In tutte le competizioni elettorali che lo hanno visto protagonista, Gambino sarebbe stato sostenuto in maniera determinante dagli esponenti del clan, in un pericoloso nesso di reciprocità funzionale. Una circostanza, questa del sostegno a Gambino in cambio soprattutto di posti di lavoro, raccontata anche da diversi collaboratori di giustizia.
“Linea d’ombra” e “Settimo cerchio” scoperchiano un pentolone che, nel corso dei mesi successivi, si arricchisce quotidianamente di nuovi inquietanti particolari. Intanto, sul piano giudiziario, le posizioni di Cutolo e Falcone vengono chiarite e i due vengono rimessi in libertà. Il 6 agosto il Tribunale del Riesame di Salerno dichiara insussistente l’aggravante della modalità mafiosa, disponendo i domiciliari per gli indagati e rimettendo in libertà Marrazzo e Antonio Petrosino D’Auria. Ma le accuse restano in tutta la loro gravità. La sentenza del Riesame finisce così con il non accontentare nessuno. Fanno ricorso in Cassazione sia i difensori degli indagati, che mirano a smontare l’intero impianto accusatorio, che la Procura di Salerno, che invece non ci sta a vedersi non riconosciuto l’aggravante dell’articolo 7. La pronuncia della Suprema Corte arriva il 30 novembre ed è una nuova doccia fredda per i protagonisti di questa vicenda: respinto il ricorso dei difensori, accolto quello della Procura. Gli atti vengono rispediti al Riesame, che viene invitato a riconsiderare la vicenda. L’esito è scontato: il 18 gennaio del 2012 i nuovi giudici del Riesame, in linea con le motivazioni espresse dalla Corte di Cassazione, ripristinano l’ordinanza di custodia del 15 luglio e riportano tutti in carcere. Libertà solo per Antonio Petrosino D’Auria e Francesco Marrazzo. Tra le urla dei familiari e gli applausi di incitamento di un gruppo di cittadini, che inveiscono contro giornalisti e magistrati, Gambino e gli altri fanno ritorno a Fuorni. Domiciliari invece per Raffaele Trapani. Sul piano giudiziario, la vicenda ora si sposta nell’aula bunker del Tribunale di Nocera Inferiore, dove, alla fine di febbraio 2012, si avvia il processo che vede alla sbarra undici imputati. Lunghissimo l’elenco dei testimoni di accusa e difesa. Il teste chiave è Amerigo Panico, che si sottopone con piglio deciso alle domande che mirano a smontarne la credibilità. Dalla seconda udienza in poi, Gambino non perde un solo atto del processo.
Sul piano politico, se possibile, la vicenda è ancor più complessa. Gambino vince per la prima volta le elezioni nel 2002 con il 57,01% dei voti. È l’inizio di un’ascesa che sembra inarrestabile. Con il pieno appoggio del coordinatore regionale del PDL in Campania Nicola Cosentino, nel 2007 viene riconfermato con il 76,71%: è il sindaco più votato d’Italia. Nel maggio del 2009 viene nominato vice coordinatore regionale del partito e poi assessore al Turismo della giunta provinciale di Salerno, diventando uomo di fiducia del Presidente Edmondo Cirielli. Ma sono i mesi in cui cominciano anche i suoi guai giudiziari, con la condanna in primo grado per peculato ed uso improprio della carta di credito del Comune (uno dei cinque procedimenti in cui il sindaco è coinvolto). Si dimette da assessore provinciale ma viene immediatamente indicato da Cirielli come suo consigliere politico. Nel luglio del 2009 viene sospeso e va incontro alla condanna anche in secondo grado. Alla guida della città intanto approda il suo vice Salvatore Bottone. La sospensione non gli impedisce di ottenere la candidatura alle regionali del 2010. Benché sospeso, viene eletto con 27 mila voti in un Consiglio regionale nel quale non riesce ad entrare per la sopraggiunta sospensione, che termina il 27 febbraio 2011. Bottone e i suoi fedelissimi in consiglio comunale, estromessi dalla nuova giunta, si dichiarano distinti e distanti da Gambino, che intanto nomina suo vice Fabio Petrelli, che diventa sindaco facente funzioni. A luglio il terremoto di Linea d’ombra.
Pagani è disorientata. La classe politica di centro destra subisce gli scossoni di una vicenda gravi
ssima ma non accenna minimamente a fare un passo indietro. Petrelli e i consiglieri di maggioranza restano incollati alle poltrone. Ma il quadro politico si complica giorno per giorno, parallelamente agli sviluppi delle inchieste giudiziarie. La vicenda assurge agli onori della cronaca nazionale, fin quando Petrelli, sopraffatto dagli eventi e forse dalla difficoltà di gestire una situazione troppo delicata e complessa, decide di gettare la spugna. Siamo nel novembre 2011. Il consiglio comunale però resta in carica, mentre in città arriva il commissario prefettizio Maurizio Bruschi a svolgere il ruolo di sindaco e giunta. Intanto finisce indagata anche la segretaria generale Ivana Perongini. L’accusa è di subornazione, ovvero di presunte pressioni e minacce, con l’aggravante della finalità mafiosa, esercitate su testimoni e periti chiamati dall’accusa, e ostacolo alla giustizia. Dopo poche ore tocca anche all’ex facente funzioni Salvatore Bottone, indagato per omessa denuncia da parte di pubblico ufficiale con l’aggravante dell’articolo 7. Gli inquirenti lo accusano di non aver fatto nulla pur avendone la possibilità e, anzi, il dovere. La triade che per dieci anni ha governato incontrastata Pagani è completamente sopraffatta dalle inchieste. Nonostante questo, Bottone e D’Onofrio si danno battaglia preparando le elezioni amministrative e puntando alla candidatura a sindaco.
Ma in città, sin da luglio, si parla dell’arrivo imminente del decreto di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. Un provvedimento però che tarda ad arrivare, tenendo tutti col fiato sospeso. Ma è solo questione di tempo. La Commissione di accesso agli atti si insedia al Comune il 26 luglio del 2011 e comincia il suo lavoro. Un lavoro lungo e difficile, al termine del quale i cinque componenti nominati dalla Prefettura inoltrano al Palazzo del governo di Salerno la relazione con le risultanze della verifica dell’azione amministrativa. Nel giro di pochi giorni, il Prefetto di Salerno scrive al Ministro, allegando la relazione della Commissione. Le indiscrezioni non lasciano dubbi: il documento è durissimo e mette in luce una prassi gestionale della cosa pubblica a metà tra la superficialità e la spregiudicatezza, che merita di essere interrotta dall’intervento dello Stato. Nelle 103 pagine della relazione finiscono finanziamenti, appalti, gare e contributi elargiti dal Comune. Ma anche le società partecipate dell’Ente, gli incarichi, i bandi pubblici, le assunzioni. I commissari parlano anche dei beni immobili confiscati al boss della Nuova Famiglia Mario Pepe (due su tre risulterebbero occupati abusivamente), della tenuta Criscuolo (di proprietà pubblica ma finita in uso alla famiglia D’Auria Petrosino), della monetizzazione del parcheggio del Pegaso, dei servizi cimiteriali e della gestione del verde pubblico. Maurizio Bruschi si lascia andare con gli esponenti politici: “è difficile rintracciare un atto amministrativo regolare”. Nella seduta del 23 marzo 2012, mentre in città vengono affissi i manifesti con la convocazione dei comizi elettorali, il Consiglio dei ministri decreta lo scioglimento del consiglio comunale.
Di elezioni democratiche non si parlerà che tra un anno e mezzo. Fino ad allora, tre commissari straordinari dovranno riportare ordine e legalità tra gli uffici di palazzo di città. O almeno, dovranno provarci.
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