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Perugia, Piero Grasso: «Serve una rivoluzione morale contro chi usa le istituzioni per fare profitto»

Di Francesca Marrucco* il . Umbria

Ci vuole una «rivoluzione morale» per sconfiggere veramente la mafia.
«Serve una rivoluzione morale contro tutte le mafie, tutte contro le
istituzioni che tolgono la libertà di pensiero,  contro tutte le classi
dirigenti che anziché servire le istituzioni, se ne servono per fare
profitto personale, per soddisfare il loro rapace appetito, contro tutti
coloro che fanno diventare la discrezionalità legge». Parola di Pietro
Grasso che martedì mattina ha presieduto un incontro organizzato dalla
università di Perugia e da Libera Umbria a cui hanno partecipato anche
il procuratore di Terni Fausto Cardella e  il professor Roberto
Segatori.

C’è bisogno di utopia Non basta la repressione che
pure è importante, spiega il magistrato. A volte non bastano solo le
leggi, che pure negli anni hanno fatto grossi passi avanti. Serve una
rivoluzione. L’applauso scrosciante dei ragazzi che hanno riempito
l’aula 5 di scienze politiche ha restituito al procuratore nazionale
antimafia quel «bisogno di utopia» di cui ha parlato anche lui nel suo
intervento. «C’è bisogno di utopie altrimenti il futuro non si cambia»,
ha detto il procuratore che non ha lesinato racconti e aneddoti sulla
sua vita in magistratura.

Racconti. Ha raccontato di aver intrapreso la
carriera in magistratura perché «sono cresciuto a Palermo ai tempi in
cui a terra c’erano le pozze di sangue delle persone ammazzate. Vidi la
foto di un magistrato sulla scena di un delitto e decisi di voler fare
il magistrato». E Grasso da magistrato, ha vissuto momenti cardine della
storia della lotta alla mafia: è lui infatti il giudice estensore delle
motivazioni della sentenza del maxiprocesso per mafia. E’ lui che in
otto mesi  ha scritto 7000 pagine di motivazioni. «Abbiamo fatto udienze
per venti mesi dal lunedì al sabato. Altrimenti scadevano i termini e
gli imputati potevano uscire di galera. Oltre a noi giudici c’erano
anche quelli ‘in panchina’, si temeva che ci ammazzassero. Poi siamo
stati in camera di consiglio per 35 giorni e ne siamo usciti con 19
ergastoli e svariate migliaia di anni di carcere». E’ quello il periodo
in cui è maturata quella che lui ha definito la sua «svolta
professionale».

L’importante è la verità. Una vita professionale in
 cui i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino  per Grasso sono
stati delle «guide, quando sono in crisi penso a loro». Lo ha raccontato
lui stesso, di come prima del maxiprocesso, i processi finissero con
«delle assoluzioni per insufficienza di prove». «Perché – ha spiegato –
oltre alla confidenza, ci vuole il riscontro». E non importa se nuove
rivelazioni portano a rivedere tutto: «Ho avuto io l’onore di
raccogliere la dichiarazioni del pentito Spatuzza», ha detto spiegando
che «dobbiamo tendere alla ricerca della verità a qualsiasi costo e,
anche se ci sono sentenze definitive, questo non ci deve impressionare.
La verità e la giustizia – ha aggiunto – la dobbiamo non solo alle
vittime della mafia, ai parenti delle vittime ma dobbiamo cercare anche
che i responsabili siano puniti perché anche questo è un ristoro per le
vittime».

Il welfare della mafia. Quelle vittime che, ha
ricordato Grasso, molto spesso al sud non possono fare a meno di finire
nella rete della mafia. Ha parlato di «welfare della mafia» il
procuratore nazionale che ha spiegato di come «la mafia è
un’organizzazione criminale diversa dalle altre perché si basa sul
consenso della popolazione». La mafia, «che fino ad un certo punto non
veniva neanche nominata nelle inaugurazioni degli anni giudiziari»,
vuole sostituirsi in tutto e per tutto allo stato. Dal dare lavoro al
trovare colpevoli. E la mafia negli anni, «con la globalizzazione e le
nuove tecnologie si è evoluta».

Le mafie si adeguano al territorio.  «Le
organizzazioni criminali mafiose – ha spiegato Grasso – si atteggiano in
modo diverso a seconda del territorio e delle persone quindi è chiaro
che discutere se la mafia esiste o non esiste in un certo territorio può
essere un atteggiamento culturale sbagliato, noi dobbiamo vedere se ci
sono comportamenti e attività che rientrano dentro il paradigma della
mafia, soprattutto di quella mafia che oggi fa più affari che violenza, e
nel posto dove fa affari sceglie anche di non far accendere i
riflettori delle indagini, della repressione, diventa un tutto
invisibile con serie difficoltà per farla venire fuori.  Per questo
servono indagini approfondite, cittadini che collaborano, istituzioni
che collaborano e soprattutto pensare che ormai non è un fenomeno solo
del sud, si è diffuso in tutta Italia, e anche al centro e al nord».

Serve legge su corruzione. Per questo per Grasso
serve «volontà politica per  trovare l’accordo per andare avanti sulla
legge sulla corruzione allo studio in parlamento».  Perché c’è «sempre
maggiore collegamento tra criminalità organizzata e corruzione. Questo è
stato già compreso in Europa – ha aggiunto Grasso – , speriamo che
venga compreso anche in Italia con una legge che possa prevenire da un
lato, ma reprimere anche con metodi efficienti. Anche perché-  ha
aggiunto- non dobbiamo dimenticare che la corruzione è un reato senza
vittime, non ci sono denunce, è un accordo tra due soggetti puniti allo
stesso modo quindi è sempre difficile che uno dei due soggetti si
autodenunci per denunciare l’altro, bisogna rompere questo accordo con
delle norme assolutamente innovative che già l’Europa e tanti paesi
d’Europa hanno adottato».

Da che parte stare . «Bisogna scegliere da che parte
stare – ha concluso il procuratore nazionale – , dire no alla mafia ma
anche a ogni collusione e compromesso. Io sono l’antimafia della
repressione ma serve anche l’antimafia della speranza». Che inizia dal
basso. Da ogni cittadino comune.

* Fonte: Umbria24.it

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