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L’avvocato, Enza Rando: “Lea era una donna affamata di vita e voleva stare vicina alla figlia”

Di Marika Demaria il . Lombardia

È comprensibilmente provata l’avvocato Enza Rando quando prende la parola. Lei, difensore di Denise Cosco che si è costituita parte civile nel processo per la morte di sua madre Lea Garofalo, è stata una delle ultime persone ad aver visto la donna scomparsa tra il 24 e il 25 novembre 2009. L’avvocato Rando, rappresentante dell’ufficio legale dell’associazione Libera, è stata quella che ha cercato di dissuadere la giovane testimone di giustizia nella sua scelta di partire per Milano, e da allora ha seguito da vicino le sorti di Denise, che incontrò per la prima volta proprio in quel frangente, quando vide per l’ultima volta Lea Garofalo. In merito a quell’incontro Enza Rando ricorda una donna «affamata di vita, che voleva stare con la figlia.

Come potete pensare che l’avrebbe lasciata da sola? In questa requisitoria straordinaria del pm non c’è un solo nervo scoperto: Lea era una donna molto sola, chi sfiduciato non ha mai pensato di lasciare tutto e andare via, in un posto lontano, come ha fatto notare giustamente il pm Tatangelo? Ma non per questo Lea Garofalo era pazza, anzi era molto prudente. Impulsiva sì, ma con la testa sulle spalle». Enza Rando ha la voce incerta quando racconta di una madre « che si è dovuta difendere per tutta una vita, capace di trasmettere alla figlia dei valori sani, puliti, di fare delle scelte che le sarebbero state da esempio. E Denise è cresciuta bene, è una ragazza splendida, una figlia di cui andare orgogliosi. Che padre è invece un uomo che vede la propria figlia piangere per la scomparsa della madre e, invece di rassicurarla, ride e scherza con gli altri? Che padre è un uomo che, subito dopo quanto accaduto, la porta a fare un viaggio prima a Reggio Emilia e poi in Calabria? Con Denise sofferente, che aveva capito tutto. Si è tanto parlato della festa dei 18 anni di Denise Cosco (che li ha compiuti il 4 dicembre 2009, quindi a pochi giorni di distanza dalla scomparsa della madre, n.d.a.), a dimostrazione dell’affetto che Carlo Cosco provava verso la figlia. Ma a quella festa Denise non ha mai partecipato. Non c’era. Era a casa, da sola, a piangere per la scomparsa della madre. Questo non è mai emerso in mesi di dibattimento, ci fa molto male».

L’avvocato Enza Rando conclude rimettendosi alla Corte per la quantificazione del risarcimento del danno, e sottolineando come «questo processo non sia stato mediatico come molti hanno accusato. Non siamo apparse in televisione, non abbiamo rilasciato dichiarazioni. Qui invece colgo l’occasione per ringraziare un pubblico silenzioso, sempre presente in aula, fatto di semplici cittadini che hanno voluto dimostrare vicinanza e affetto a Denise. Grazie,  e grazie alla Corte che ha valorizzato la nostra presenza come parte civile».    

L’avvocato Roberto D’Ippolito ha invece esposto le richieste di risarcimento per Marisa Garofalo e Santina Miletta, rispettivamente sorella e madre di Lea Garofalo. Per ognuna di loro il legale ha chiesto 500 mila euro per danni non patrimoniali, 250 mila euro di danni morali e ulteriori 150 mila euro provvisionali, da ricevere cioè nell’immediato. D’Ippolito ha infine rimarcato il suo dissenso verso la decisione del pm di non chiedere l’aggravante mafiosa (ex articolo 7), ribadendo «il contesto mafioso nel quale si è consumato l’efferato delitto, un luogo alieno alla democrazia dove si spacciava persino a cielo aperto». Il luogo è viale Montello, Milano. Il Comune si è costituito parte civile pochi giorni prima che iniziasse il processo «su richiesta di Denise Cosco – come ricorda l’avvocato Maria Rosa Sala in rappresentanza dell’amministrazione – che a Milano è nata, ha vissuto. Ma qui in Lombardia si è consumato anche il delitto di sua madre, sciolta in un magazzino a San Fruttuoso, nella provincia di Monza Brianza.

Il comune meneghino ha attivato una serie di iniziative legate all’antimafia, quanto accaduto va ovviamente nella direzione opposta, ci addolora e ci procura un danno gravissimo. Milano non deve essere ricordata come quella dei Cosco, quella dove ci sono le ramificazioni ‘ndranghetiste, Milano è la città che si batte nel rispetto dei diritti, della legalità. Per questo chiediamo 500 mila euro come risarcimento o una cifra da stabilire in via equitativa».     Sono quasi le 17 di martedì 27 quando la parola passa alle difese. Il primo avvocato ad esternare le proprie conclusioni è il difensore di Massimo Sabatino, che confuta quanto dichiarato dal pm Tatangelo: «Non è vero che il mio assistito solo la mattina del 24 novembre 2009 uscì presto di casa per incontrarsi con Giuseppe Cosco; in quel periodo infatti egli lavorava all’Ipercoop come addetto alle pulizie e, come ci ha raccontato anche la sua convivente Jessica Cristofori, quando doveva attaccare alle 5 del mattino usciva di casa prestissimo». Massimo Sabatino per il tentato sequestro a Campobasso è stato condannato in via definitiva a sei anni. «E secondo voi – domanda il legale rivolgendosi alla Presidente della Corte Anna Introini e ai giudici popolari – perché mai, visto che Sabatino sta già scontando una pena in quanto è stato riconosciuto da Lea Garofalo e Denise Cosco, si sarebbe dovuto ripresentare davanti alla donna, rischiando di essere subito scoperto? Perché, considerato che per il primo tentato sequestro non era stato pagato, avrebbe dovuto nuovamente stare al gioco dei Cosco? Non ha senso! E lui non appartiene alla loro famiglia, e come abbiamo visto certe cose vanno risolte in famiglia. Bisogna condannare una persona al di là di ogni ragionevole dubbio: ma in questo caso manca il corpo del reato, non sono state compiute indagini approfondite sul luogo del delitto, né ulteriori sopralluoghi. Mancano insomma prove certe. Per questo motivo chiedo che Massimo Sabatino sia assolto».    

Le conclusioni delle difese proseguiranno nel corso dell’udienza di domani, giovedì 29 marzo.

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