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Cemento, ‘ndrangheta e opere pubbliche

Di Gianluca Ursini il . Piemonte

Per una faida sanguinosa in quel di Taurianova (Rc) in Calabria, tra i cartelli mafiosi degli Asciutto – Grimaldi contro i Zagari – Viola – Grimaldi, nel 1991 l’allora governo Andreotti (ironie della storia) emise un decreto per autorizzare lo scioglimento per mafia di Comuni e altri enti locali infiltrati dai clan. E così  venerdì 23 marzo, sempre per ‘ndrangheta, il ministro Interni Cancellieri ha disposto lo scioglimento di 7 Comuni (va sommessamente ricordato, tutti a guida Pdl , o di liste civiche di centrodestra). Di queste, 3 si trovano in Calabria e una al Nord, Leinì in provincia di Torino, ma viene obliterata in quanto colonizzata dalle ‘ndrine calabre. La ‘ndrangheta famigerata, la più pericolosa tra le mafie, che era riuscita persino a infiltrare i Cantieri della T.a.v e, primo caso nella storia, anche dei Giochi Olimpici; lo si apprende, incrociando i dati, pubblici, riportati in ordine cronologico: nella relazione della Dia torinese del 2009, nella inchiesta “Minotauro” della procura antimafia sabauda del procuratore Caselli (giugno 2011, a chiusura di 5 anni di indagini), e soprattutto dall’ultimo report di Legambiente su “Cemento e mafie”, mirato alle infiltrazioni mafiose in edilizia. I clan calabresi (la Dda di Torino nel giugno 2011 ha certificato 9 ‘locali’ o cellule, di ‘ndrangheta solo nella provincia del capoluogo) erano riusciti, tenendo Torino e le solide comunità di immigrati calabri della cintura come basi militari, a piazzare le loro imprese nei subappalti del cantiere per il nuovo PalaVela, consegnato in tempo per la kermesse a 5 cerchi dei Giochi invernali 2006. Le mafie alle Olimpiadi: un record storico. Se non stupisce che questo accada in Italia, forse però il cittadino medio non si aspetterebbe che a Torino, le ditte edili della famiglia Màrando di Caulonia, abbiano messo una loro coop “Edilizia Torinese” nei cantieri del palazzetto del ghiaccio.  Fa scalpore, degli scioglimenti disposti ieri al ministero, certo sentire di Racalmuto,  provincia di Agrigento, paese natìo di Sciascia. Non desta sorpresa il caso di Bova Marina, o di Platì, nella Locride, capitale dei sequestri con San Luca nei bui anni ’70. Deve procurare parecchi mal di testa a Vittorio Sgarbi che sia sciolta per mafia l’amministrazione di Salemi, fino a 3 mesi or sono da lui diretta con la fascia tricolore. Fa parte del folklore “terrone” sentire delle amministrazioni Pdl di Pagani, stretta tra Salerno e Pompei, o di Gragnano a Napoli, più famosa per per i paccheri di grano duro che per la signora sindaco Anna Rita Patriarca, già dimissionaria una settimana fa, per l’arresto del marito (pure lui Pdl) Enrico Martinelli, sindaco di San Cipriano d’Aversa.  Ma il “caso Leinì” rimane invece, nelle carte sottoscritte dal procuratore Caselli e predisposte dal sostituto procuratore  Antonio Malagnino, l’emblema di come i cantieri e tutto il ciclo del cemento a Nord, siano oramai  in mano alle cosche partite 40 anni or sono dall’Aspromonte per colonizzare Liguria, Piemonte e Lombardia. Da giugno scorso si trovava in carcere Nevio Coral, per 12 anni amministratore di Leinì per Forza Italia e Pdl poi, che aveva ceduto la fascia tricolore al figlio Ivano. Dalle dichiarazioni del pentito Rocco Varacalli, che ha descritto “30 anni di ‘ndrangheta a Torino” e dalle intercettazioni ambientali, emerse alla Procura retta da Caselli, il rapporto strettissimo tra il politico sabaudo e don Bruno Iaria, calabro della locride e mammasantissima del ‘locale’ di Cuorgnè. Il patto emerge chiaro: i calabresi offrono voti (“noi nella politica ti diamo tutte le nostre mani”, dice Iaria) e Coral offre alle ditte dei calabresi la “guardiania”, la sicurezza, versione arcaica del pizzo, su tutti i cantieri pubblici; i calabresi scelgono tutto: manodopera da far entrare in cantiere, forniture e materiali da ordinare, “acquisendo illecitamente, in modo diretto o indiretto, gestione e controllo delle attività economiche”, scrivono i pm. Nulla di nuovo sotto le Alpi piemontesi: non è un caso se il primo comune al Nord dove venne applicata la normativa per lo scioglimento degli enti locali infiltrati dalle mafie fu, sempre per ‘ndrangheta, nel 1995, Bardonecchia, perla del turismo sulla neve dell’entourage Agnelli e della buona borghesia sabauda. Rocco Lo Presti vi era arrivato dalla Calabria nel 1963 e aveva cominciato a prosperare, tra appalti e cementificazione a go-go. Un imprenditore onesto locale che aveva provato ad opporsi ai suoi metodi intimidatori per accaparrarsi ogni urbanizzazione lucrosa, Mario Ceretto. Correva già l’anno 1975 quando questo padroncino piemontese venne rapito e ucciso; da chi? Non certo dal muratore allora 40enne di Marina di Giojosa, vicino Locri, che era venuto in Piemonte con molto cash a disposizione da investire nel mattone. Ma Lo Presti era allora legato mani e piedi ai Mazzaferro del suo paese natio, che in Torino gestivano lucrosi affari col narcotraffico. In seguito, tramite legami familiari (un matrimonio di una sua figlia), si legò agli Ursino di Giojosa, paese poco più in su verso le pendici dell’Aspromonte, anch’essi attivi sotto le Alpi fin dagli anni ’70; fino allo scioglimento del comune di Bardonecchia, per le capacità degli Ursino – Lo Presti, di corrompere ogni ganglio della macchina delle autorizzazioni urbanistiche.    

NdrangheTAV  Leinì è solo un primo mattone; dopo le inchieste della pm milanese Alessandra Dolci, che scovò la cosca Morabito-Papalia, di Platì in Aspromonte, ma egemone a Cernusco sul Naviglio e Buccinasco, sud ovest milanese, infiltrata nei cantieri bergamaschi della TAV Milano – Venezia, ora in giugno 2011 i magistrati torinesi, hanno potuto dimostrate come le ditte dei boss calabresi abbiano tentato di infiltrare i cantieri TAV di Orbassano, Rivalta e Chivasso, tramite il boss Giuseppe Catalano, del “Locale” di Torino, che ha il suo referente calabro in Giuseppe Commisso detto “U mastru” pezzo da 90 di Siderno, vicino Locri. E se Bardonecchia, citata poco sopra, sempre in Val di Susa si trova, anche altri tre paesini di sbocco valle ricadevano sotto l’ala carismatica de “U Mastru” Commisso, uno che si faceva rispettare nella Locride, a Torino e in Canada, a Toronto, dove raccoglieva soldi per gli amici e per la squadra di calcio del suo sodale nel narcotraffico, Rocco Aquino, l’ex presidente del Marina di Giojosa calcio, da un mese ai ceppi dopo un decennio di latitanza. I comuni nei quali Commisso assistette il 13 dicembre 2009, a un pranzo in cui vennero conferite le doti di “santista” a tre nuovi picciotti, sono Chiusa San Michele, Villardora e Sant’Ambrogio. I riferimenti storici hanno un copyright doc: Rocco Varacalli, il pentito che ai magistrati della Dda sabauda nell’ultimo lustro, ha raccontato i suoi 20 anni da affiliato alle ‘ndrine piemontesi.  Prima di imboccare l’ingresso in città verso la stazione di Porta Susa, uno snodo fondamentale hanno i territori di Cuorgnè, Grugliasco e Venaria, dove si trova una stupenda reggia sabauda. Di Cuorgnè è ampiamente riportato nelle vicende giudiziarie che riguardano anche l’ex sindaco di Leinì Coral; il riferimento al boss Bruno Iaria e i suoi collegamenti con la politica piemontese sono molteplici: un incontro col boss Iaria, incontrato in un hotel di proprietà di un altro figlio dell’ex sindaco Coral, Claudio, costerà alla ex assessore alla sanità della Giunta regionale di Cota, Caterina Ferrero, l’arresto nell’estate 2011 e le dimissioni. Grugliasco è invece territorio egemonizzato da due sidernesi: Ciccio Tamburi a capo del locale “Siderno a Torino” e del locale di Collegno, dove è attivo anche il “santista” Angelo Giglio; invece per Venaria, basta riportare quanto scritto dalla informativa dei Carabinieri che poi verrà ripor
tata nella operazione Minotauro. Scrivevano gli investigatori dell’Arma nell’aprile 2010: “Venaria vive un clima di violenza e intimidazione che connota questa zona dell’hinterland torinese che al pari del cuorgnatese, si caratterizza per la cospicua presenza di affiliati alla ‘ndrangheta che ha di fatto reso impossibile la partecipazione all’attività edilizia senza corrispondere costanti esborsi di denaro”. Ecco i primi 50 chilometri, soltanto, del futuro percorso della Tav, così come anche confermato da poche settimane dal report di Legambiente su cemento e ‘ndrine.  Cemento, ‘ndrangheta e opere pubbliche: sembra che al Nord ci sia oramai una connessione diretta quando si affronta uno dei tre argomenti; come se andassero in parallelo.     

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