Quando il ministro Mannino chiamò il poliziotto Germanà
Il questore Rino Germanà che sfuggì ad un agguato mafioso da una parte, i magistrati, Ingroia e Di Matteo che indagano a Palermo, assieme a quelli di Caltanissetta, sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, dall’altro. Germanà è stato sentito come testimone nell’indagine che vede sotto inchiesta l’ex ministro Calogero Mannino “per minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario”. Un tuffo nel passato. Mazara del Vallo, 14 settembre del 1992. E’ il giorno dell’agguato mafioso che scattò sul lungomare di Tonnarella contro il vice questore Rino Germanà, nel mirino di Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano.
Germanà, dirigente del commissariato di Mazara, si salvò rispondendo al fuoco e gettandosi in acqua. Restò ferito di striscio, quel giorno stesso il ministro dell’Interno, Mancino, che aveva da poco sostituito Enzo Scotti al Viminale, lo fece portare lontano dalla Sicilia. Germanà restò vivo ma si ritrovò a dirigere il posto di Polizia dell’aeroporto di Bologna, dimenticato, e solo da qualche anno ha potuto riprendere a fare carriera diventando questore, prima a Forlì ora è a Piacenza, ma niente più indagini in Sicilia. Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e il pm Nino Di Matteo lo hanno sentito ed è saltato fuori che tra un passo avanti e uno indietro (di carriera) il questore Germanà si era ritrovato a dovere rendere conto, durante quel tragico 1992, del perchè da capo della Criminalpol siciliana si stava interessando al ministro Calogero Mannino.
Germanà da capo della Squadra Mobile di Trapani si ritrovò, dopo essere stato mandato alla Criminalpol siciliana, a fare un passo indietro, rispedito dal capo della Polizia, Parisi, a fare il commissario, a dirigere quello di Mazara mentre Paolo Borsellino lo avrebbe voluto con se a Palermo. Oggi si rilegge quella sequenza di fatti e salta fuori il nome del ministro Mannino. In quel 1992 il vice questore Germanà aveva ricevuto dalla Procura di Marsala una delega a capire chi fosse un politico (“trombato di area manniniana”) di nome Enzo che attraverso il notaio Pietro Ferraro, aveva fatto pressione sulla Corte di Assise di Palermo (presidente Scaduti) che stava processando i killer del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Si trattava del senatore Vincenzo Inzerillo (dall’anno scorso in carcere a scontare una condanna 5 anni per mafia). La Procura di Marsala gli chiese di approfondire il ruolo dell’on. Mannino e in pochi giorni Rino Germanà si vide convocato a Roma, al Viminale. E’ questo il colpo di scena in mano ai pm Ingroia e Di Matteo: Germanà incontrò il prefetto Luigi Rossi, capo della Criminalpol, vice capo della Polizia, questi gli chiese delle indagini su Mannino; poche settimane dopo è il ministro Mannino a farsi avanti, lo vuole incontrare, ma Germanà si nega; poche settimane ancora e dal Viminale arriva il trasferimento di Germanà, deve tornare a Mazara, a dirigere il commissariato, ma il fascicolo con le indagini su Inzerillo e Mannino però non lo può portare appresso.
Sono i giorni d’estate segnati dalle stragi e il 14 settembre 1992 diventa il giorno scelto dalla mafia per fare fuori Germanà. Lui sfuggito all’agguato invece di diventare un simbolo fu presto dimenticato per primo dallo Stato tanto che i pm che fecero la requisitoria nel processo per il suo tentato omicidio (condannati furono Riina, Bagarella, Messina Denaro e Giuseppe Graviano) puntarono il dito contro il piagnisteo statale di facciata. “Abbiamo uno Stato – dissero i pm De Francisci e Tarondo – che sa piangere i suoi morti ma non sa celebrare chi sconfigge Cosa nostra”. Quel giorno della loro requisitoria nell’aula bunker del carcere di Trapani nessuno degli imputati si presentò, disertarono l’udienza.
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