Taranto, operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce
I magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, in collaborazione con i carabinieri del comando provinciale jonico che hanno condotto le indagini, hanno portato a termine una delle più importanti operazioni antidroga mai fatte nelle province salentine. Quaranta quattro persone sono state arrestate e 103 risultano indagate. Gli investigatori sono sicuri di aver colpito e smantellato un’ organizzazione guidata soprattutto da donne e specializzata nel traffico e spaccio di eroina e cocaina. Gli affiliati usufruivano di uno stipendio fisso per spacciare droga e, se finivano in galera, l’ assistenza legale veniva garantita dalla stessa organizzazione. Non solo, il clan assicurava anche la disponibilità di un fondo cassa per i bisogni extra.
I reati contestati a tutti gli indagati sarebbero stati commessi tra il 2010 e il 2011 e avrebbero avuto come teatro le province di Taranto, Bari, Brindisi e Lecce ed anche la Basilicata e la Calabria. La presunta associazione, attiva soprattutto nel quartiere Tamburi di Taranto, aveva la sua base nella cosiddetta «zona franca» delle case parcheggio di via Machiavelli. Un posto a rischio anche per le forze dell’ ordine prese di mira in diverse occasioni dai consorziati che le hanno rese oggetto di violenti proteste. Il Procuratore Capo dell’ Antimafia leccese, Cataldo Motta, ha spiegato che la struttura organizzativa del clan faceva leva su un sistema di controllo in chiave gerarchica tra il vertice e la base.
«Gli elementi acquisiti durante la fase investigativa – ha affermato l’ alto magistrato – hanno dimostrato la costante frequenza di rapporti tra i vari consociati, l’ accollo comune delle spese legali, la corresponsione di uno stipendio fisso agli affiliati, l’ assoluto rispetto del vincolo gerarchico, l’ intercambiabilità dei ruoli, l’ esistenza di una cassa comune nella quale confluiscono i proventi delle diverse attività illecite, la ripartizione territoriale, l’ assoluta osservanza di comportamenti omertosi».
A guidare l’ organizzazione, secondo gli inquirenti, c’ erano Maria Scialpi e suo fratello Cosimo che, insieme ad altri sei membri dello stesso ramo familiare, si occupavano della direzione operativa del traffico oltre che della gestione della cassa e degli investimenti. Per due anni gli investigatori hanno condotto meticolose indagini utilizzando intercettazioni ambientali e telefoniche che avrebbero consentito di ricostruire in modo attendibile il vasto e articolato traffico di sostanze stupefacenti nella città di Taranto e nel territorio barese (anche in prossimità delle scuole di entrambi i territori), gestito dalla famiglia Scialpi coadiuvata dagli altri soggetti arrestati ieri. Il clan si approvvigionava dal mercato barese e albanese tramite fornitori dell’ Est europeo residenti in Italia. Secondo l’ accusa, Maria e Cosimo Scialpi comandavano il gruppo con l’ aiuto di Sonia Dema e Pietro Caforio. Tutti gli altri, secondo gli inquirenti, spacciavano ricoprendo anche il ruolo di corrieri o di depositari dello stupefacente. Tra questi troviamo Irene Musciacchio, Antonio Solfrizzi e Donata Portacci (in tutto sono dieci le donne arrestate), che svolgevano mansioni di cassieri e custodi del denaro del clan, mentre Massimo Cestari era il prestanome dei traffici illeciti.
I presunti fornitori della droga erano Edvin Sadiku e Eglantina Arapi (albanesi), Annarita Cervelli, Michele Lisanti, Vincenzo Lella, Chiara Mancarella, Francesco Galileo di Bari. Inoltre, la magistratura ha sottoposto a sequestro preventivo molti beni mobili (autoveicoli, motocicli e ciclomotori), una villa con piscina in località Lido Azzurro a Taranto, un’ attività commerciale nel quartiere Tamburi e parecchi conti bancari, oltre al contante trovato nelle abitazioni degli indagati, per un valore complessivo che ammonta a più di 800mila euro.
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