Per Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Scriveva così Pier Paolo Pisolini sul “Corriere della Sera” il 14 novembre 1974 quando distingueva il ruolo degli intellettuali, degli scrittori, come lui era, coloro che sanno perché si guardano intorno, si interrogano e immaginano cosa ci sia dietro chi tace. Lo distingueva da quello dei giornalisti e dei politici che invece sanno ma non fanno i nomi. Giornalisti come Ilaria Alpi che, invece, i nomi li ha cercati e li ha fatti, andando incontro ad una morte, ancora oggi dopo 18 anni, senza verità e senza giustizia. Ilaria amava Pier Paolo Pisolini a cui si deve in questo manifesto ancora attuale dell’Italia dei misteri e dell’impunità diffusa e tollerata. Tra i misteri anche quello di cosa accadde il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, in Somalia. “La giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e il suo operatore, del quale non si conosce ancora il nome, sono stati uccisi oggi pomeriggio a Mogadiscio nord in circostanze non ancora chiarite. Lo ha reso noto Giancarlo Marocchino, un autotrasportatore italiano che vive a Mogadiscio da dieci anni”, l’agenzia nazionale Stampa Italia, Ansa, batteva così la notizia quel 20 marzo del 1994. Il nome dell’operatore di cui nell’immediato non si conosceva il nome era Miran Hrovatin, della comunità di lingua slovena di Trieste, e quella morte ancora oggi dopo 18 anni non ha responsabili, non ha avuto giustizia, non conosce verità. Uno dei misteri italiani, ma non solo italiani, più intricati di cui una pagina potrebbe essere stata scritta anche in Calabria, a Reggio Calabria, fino ad arrivare al continente africano, alla Somalia. La morte di Ilaria Alpi, giornalista Tg3, e dell’operatore Miran Hrovatin avvenuta a Mogadiscio proprio il 20 marzo 1994 legata alle inchieste giornalistiche sul traffico di armi, rifiuti tossici e riciclaggio di denaro nell’ambito di deviati e mascherati accordi di cooperazione internazionali.
Tutto ciò nella Somalia post dittatura di Siad Barre, dilaniata dalla guerra civile con cinque milioni di somali divisi in sei etnie, cinquanta clan e oltre 200 sottoclan, le faide tribali, i signori della guerra ed i nuovi padroni. Una connessione tra i traffici di rifiuti e di armi che si rafforza nell’agenda degli Esteri del governo Monti sulla base dei contenuti della relazione della Direzione Nazionale Antimafia “La procura di Bologna e quella di Torino hanno iscritto [un] procedimento ravvisando un traffico di materiali di armamento dall’Italia alla Somalia, allo scopo di favorire e finanziare l’attività dell’organizzazione terroristica al-Shabaab, in violazione […] all’embargo – tra l’altro – di materiali di armamenti” . Ambiti che potrebbero rispolverare legami con le indagini relative al traffico di scorie radioattive, con l’affondamento di navi nel Mediterraneo condotte anche in fondo allo stivale e con gli illeciti profitti della ndrangheta calabrese. La morte di Ilaria e Miran ad oggi ha un solo responsabile, il miliziano somalo Hashi Omar Hassan condannato nel 2000 a 26 anni di reclusione, accusato da Ali Rage Hamed detto ‘Jelle’ a sua volta imputato in un processo per calunnia incardinato presso il Tribunale di Roma. Si resta in attesa di questa sentenza che, qualora fosse di condanna, potrebbe avvalorare la tesi secondo la quale Hashi Omar Hassan in realtà fu solo un capro espiatorio per nascondere un assassinio di ben altra mano. Ciò potrebbe dunque far riaprire il caso Alpi.
La morte di Ilaria e Miran è, infatti, ancora senza movente, ancora senza l’ombra di un mandante, mentre la commissione parlamentare di Inchiesta nel 2006 è giunta, non unanimemente, alla conclusione per la quale nessun altro responsabile esiste, sostenendo addirittura che incidentali potessero essere le cause dell’assassinio, poiché nessuna verità scomoda era stata scoperta da Ilaria e Miran. L’ipotesi dell’omicidio commissionato, da sempre sostenuto anche dai genitori di Ilaria, Luciana e Giorgio, quest’ultimo morto nel luglio del 2010 dopo anni di battaglia per la verità sulla morte della figlia, Verità ancora taciuta, ha più di una ragione per non essere esclusa dalla scenario. Gaetano Pecorella, presidente della Commissione Parlamentare sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, all’interno della più ampia inchiesta sulle cosiddette “navi dei veleni” e sui traffici transfrontalieri di rifiuti tossici, lo scorso anno sottolineava che: “L’audizione del maresciallo Scimone, che ha operato in collaborazione con il capitano De Grazia e con i magistrati di Reggio Calabria, ha consentito alla Commissione di acquisire una notizia di estremo interesse: nel corso di una perquisizione nei confronti di Giorgio Comerio è stata ritrovata, in un fascicolo rubricato con il nome Somalia relativo alla smaltimento dei rifiuti, la copia di un dispaccio dell’agenzia Ansa sulla morte di Ilaria Alpi quel 20 marzo del 1994”.
Ma il giallo che unisce alla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la figura dell’ingegnere Comerio, che si dichiara completamente estraneo ai fatti e sulla cui società fondata nel 1993 ODM (Oceanic Disposal Management) e sul metodo di smaltimento delle scorie attraverso dei siluri proposto a livello internazionale ha indagato la magistratura giungendo a due non luogo a procedere, consta di un’altra pagina inquietante, come riferito dal procuratore di Reggio Calabria Francesco Neri in occasione dell’audizione in commissione nel gennaio 2005. ‘Nella perquisizione ……la cosa che ci incuriosì più di ogni altra fu il ritrovamento del certificato di morte di Ilaria Alpi proprio nella carpetta della Somalia…… insieme a corrispondenze sulle autorizzazioni richieste al governo somalo e con Ali Mahdi, ad altre informazioni su siti e modalità di smaltimento illegale di rifiuti radioattivi’. Le indagini condotte dal sostituto procuratore di Reggio Calabria, Francesco Neri, riguardavano lo spiaggiamento della Motonave ex Jolly –Rosso (proveniente da Malta dopo essere partita dalla Spezia) avvenuto ad Amantea nel dicembre del 1990. Indagini archiviate nel 2000, anche a seguito della morte del capitano di corvetta Natale De Grazia, componente di spicco del pool ecomafia della procura reggina deceduto in circostanze sospette nel dicembre del 1995 mentre si dirigeva a La Spezia, il cui tribunale emise una sentenza di condanna a carico della per affondamento doloso per la ex Jolly Rosso, per svolgere alcuni interrogatori. Proprio in occasione di quell’indagine emersero legami con l’affondamento dell’imbarcazione Rigel avvenuta a largo di Capo Spartivento, nella provincia di Reggio Calabria, nel settembre del 1987 e con l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin impegnati in un’importante inchiesta riguardo traffici di rifiuti tossici e la cooperazione internazionale tra Italia e Somalia.
‘Cose grosse’ le aveva definite al telefono con il suo caporedattore Massimo Loche, Ilaria qualche giorno prima di essere uccisa. Quegli ultimi giorni, i nuovi capitoli della sua inchiesta stroncata e affogata nel sangue, quei 1400 miliardi di lire investiti in cooperazione internazionale appuntati su un bloc notes, l’intervista conquistata con il sultano di Bosaso, il sequestro della nave Farah Omar della società Shifco, forse l’incontro con l’ingegnere della Shifco Omar Mugne, la visita dei pozzi oggetto di uno scandalo connesso con la cooperazione. Lei aveva capito, cercava le prove. Lei era arrivata alla verità, scomoda e inconfessabile, raccogliendo le drammatiche testimonianze della gente del luogo che ricordava uomini con la tuta che copriva tutto il corpo, anche la te
sta, e quei fusti poi scomparsi da quella strada Garoe-Bosaso, costruita con fondi della cooperazione internazionale: una strada deserta che non serviva ad alcuno. Nel film “Il più crudele dei giorni” ( 2003) di Ferdinando Vicentino Orgnani, Ilaria, interpretata da Giovanna Mezzogiorno, denuncia al suo microfono mentre Miran, interpretato da Rade Serbedzija, la riprende e la guarda, presagendo il pericolo di quelle parole: “Per darvi un’idea di quanto sia utile spendere centinaia di miliardi della cooperazione in Somalia ecco…questa è la strada Garoe Bosaso una strada…che almeno è servita per coprire ogni sorta di porcherie tossiche e radioattive che l’occidente ha la buona abitudine di affidare a questi poveri disgraziati del terzo mondo, tutto con la complicità di politici, militari, servizi segreti, faccendieri italiani e somali….’’
Ilaria aveva capito, ed è stata fermata perché non facesse i nomi. Si sa, – scrive Mariangela Gritta Grainer, Portavoce dell’Associazione Ilaria Alpi nella postfazione tratta dal libro LO SCHIFO di Stefano Massini, Promo Music, Corvino Meda Editore – che esiste un documento (ancora segretato ma già all’attenzione del Copasir, l’organismo di controllo sull’attività dei servizi segreti) che rivelerebbe come il SISMI (attuale Aise) sarebbe “coinvolto” nella gestione del traffico e dello smaltimento dei rifiuti tossici con un esplicito riferimento anche al traffico di armi. Il documento porta la data dell’11 dicembre 1995 e rivela “che il governo di allora, guidato da Lamberto Dini, avrebbe destinato una somma ingente di denaro al nostro servizio segreto per «lo stoccaggio di rifiuti radioattivi e armi»”. Si sa ma non basta per giungere ad una verità giudiziaria. Purtroppo, nonostante le indagini, le inchieste, dopo 18 anni, non è ancora arrivato il tempo per la comprensione piena dei fatti, ricostruiti a fatica e con tasselli ancora mancanti.
Bisogna resistere e non bisogna dimenticare perché il 20 marzo 1994 non cada nell’oblio.
Trackback dal tuo sito.