Vivere e morire per servire lo Stato
«Il dolore non si attenua, non si affievolisce con il passare degli anni». Mentre pronuncia queste parole, Cosimo Basile, fratello di Emanuele, carabiniere ucciso da Cosa nostra il 4 maggio del 1980 a Monreale (Pa) si guarda intorno con aria stupita e incuriosita. E poi torna da noi con lo sguardo e dice: «Ora le spiego: siamo una famiglia numerosa e abbiamo scelto di “dividerci” questi impegni che durante l’anno ci permettono di parlare di Emanuele, di ricordarlo e di testimoniare attraverso il suo sacrificio l’importanza di questa battaglia. Io vivo a Modena e partecipo a tutti quelli del Nord Italia. E’ il nostro modo di collaborare, di essere uniti e contemporaneamente di non mancare mai al nostro dovere di testimonianza».
Cosimo durante l’anno si occupa di formare i nuovi allievi delle accademie militari, anche lui fa lo stesso lavoro del fratello, anzi ci racconta «Emanuele aveva scelto questo mestiere un po’ influenzato dalla mia scelta, avevamo pochi anni di differenza, abbiamo fatto gli studi insieme e poi anche la carriera militare». Quella di Emanuele è la storia di un giovane carabiniere che s’era formato all’Accademia militare di Modena e poi aveva avuto vari incarichi fra la Puglia e la Sicilia. Prima di morire aveva condotto alcune indagini sull’uccisione di Boris Giuliano, durante le quali aveva scoperto l’esistenza di traffici di stupefacenti. E poco prima di lasciare a soli 31 anni Monreale aveva consegnato tutti i risultati delle indagini da lui coordinate al magistrato, Paolo Borsellino. «Ogni anno – continua suo fratello Cosimo – quando vengo qui mi chiedo cosa spinge tanti di noi ad attraversare l’Italia, per raggiungere di volta in volta la città che ospiterà il 21 marzo. Qual è la molla che non ci fa mancare, che ci porta qui». E mentre ci racconta di Emanuele, di quella passione che lo spinse a seguire la sua stessa strada, a servire lo Stato e le sue leggi, Cosimo Basile sembra trovare pian piano la risposta. Scruta i volti stanchi delle persone che hanno fatto più chilometri di lui per raggiungere Genova, molti di loro sono anziani e provati da problemi di salute, altri sono giovani e con bambini a seguito. Per tutti è un viaggio che costa fatica, cui non vogliono mancare. «Vede, il nostro è un dolore che non ha fine – chiosa Cosimo prima di salutarci. Ci siamo per amore. Amore per la libertà».
La storia di Emanuele Basile e del Capitano Mario D’Aleo è stata raccontata dalla giornalista Michela Giordano nel libro “Quando rimasero soli” (Edizioni Paoline). Un libro nato dalle interviste ai familiari e dalla ricostruzione delle storie dei due carabinieri morti mentre servivano lo Stato nell’interesse dei cittadini. Alla fine della nostra chiacchierata Cosimo torna a salutare quella che è ormai una grande famiglia, riconosce Vincenzo Agostino (padre del poliziotto Nino ucciso da Cosa nostra) fa un cenno con la mano e va da lui. Anche questo è il 21 marzo, un momento per ri – conoscersi, per fare il punto con se stessi, per riavvicinarsi a chi non c’è più – come ha detto la figlia di Silvia Ruotolo vittima di camorra, Alessandra Clemente, solo alcuni giorni fa – “non a causa di una malattia ma per un fenomeno visibile che sono le mafie in questo Paese”.
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