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Chiesa e malaffare

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Un prete sospeso a divinis per un milione di euro speso senza tanta badare alla forma, quasi che i soldi della chiesa sfuggano alle regole del buon senso e dell’onestà. Una Chiesa che trema quella trapanese dopo che si é conosciuto il contenuto di un decreto emesso dal Vaticano che colpisce un sacerdote sospeso a divinis, padre Ninni Treppiedi, un giovanissimo “ammaliante” prete che durante la sua attività a Trapani non è passato inosservato per tante ragioni: sia per una incredibile voglia di protagonismo, pronto sempre ad apparire, presentandosi abbigliato quasi fosse un alto prelato, dimenticando, proprio lui, che però spesso non “è l’abito a fare il monaco”; sia per una serie di frequentazioni. 
Una Chiesa quella trapanese che mai come adesso è stata agitata e che cerca di riguadagnarsi la fiducia del clero e dei fedeli e che con un comunicato stampa ufficiale ha deciso di fare conoscere un provvedimento di sospensione a divinis arrivato dalla Santa Sede. Padre Treppiedi è noto a Trapani, ma anche fuori, per una certa mai nascosta frequentazione con i big della politica, tra questi c’è l’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, ma anche con i vip, come Flavio Briatore, abile e lesto nel fare sali e scendi dai palazzi della politica e delle istituzioni, e magari preferendo ai semplici fedeli quelli che se non avevano il sangue blu non erano certo personaggi di bassa lega. Roma spesso era meta dei suoi viaggi, raccontava perché insegnava in una importante scuola e università pontificia, salvo poi la smentita che gli alti prelati fecero, quando vennero a conoscenza delle sue affermazioni, definendo inesistente il dichiarato insegnamento. Quando l’anno scorso fu rimosso dalla guida di una delle più importanti ed antiche chiese trapanesi, quella di Alcamo, molto ricca di cultura, storia, ma anche di soldi, padre Treppiedi fece sapere che era stato lui a lasciare per dedicarsi 
all’insegnamento romano, ma in poco tempo venne fuori la rimozione decisa dal vescovo di Trapani, Francesco Miccichè, che lo aveva tolto da Alcamo dopo avercelo mandato. Da buon trapanese, poi, padre Treppiedi fa parte della corte dei benpensanti e che si indispettiscono se sentono parlare di mafia: anche lui è stato con quella parte di città che ha negato le interferenze mafiose, tanto che un giorno scrisse un articolo, che trovò ospitalità in un settimanale locale, contro una puntata di Anno Zero, condotta allora sulla Rai da Michele Santoro e che evidenziava tutti i mali della politica trapanese e il malaffare mafioso; in quell’articolo padre Treppiedi scriveva che “per fortuna i trapanesi avevano cambiato canale”. Qualcuno dei suoi difensori, anche nella stampa, avrà forse dimenticato quelle parole, ma quell’articolo si può ancora trovare negli archivi. 
A padre Treppiedi si sta interessando anche la Procura della Repubblica di Trapani dopo che il vescovo Miccichè, l’anno scorso lo ha denunciato per una serie di presunte malefatte saltate fuori dopo che i rapporti tra i due si sono fortemente incrinati. Il Vaticano pare non abbia molto gradito l’azione penale seguita dal vescovo Miccichè, ma le malefatte ci sarebbero davvero se anche da Roma si è convidisa la sospensione a divinis decisa dal vescovo Miccichè. Non è assata sotto silenzio la circostanza scoperta dai magistrati che hanno appurato come una delle ragioni dei viaggi romani di padre Treppiedi sarebbe stata non tanto quella di fare penitenza in Vaticano ma quella di movimentare i suoi conti personali che aveva presso lo Ior, la banca vaticana: lui, semplice sacerdote, non avrebbe potuto avere questa disponibilità, e che però chissà come mai era riuscito ad avere. Conti che si sarebbero riempiti mentre si sarbebero svuotati i conti di alcune chiese trapanesi.
Il Vaticano è arrivato prima della magistratura italiana: la Santa Sede con un decreto firmato dal cardinale Piacenza, ha colpito il sacerdote che adesso, sospeso da ogni funzione, è una sorta di sorvegliato speciale in tonaca, bollato come “contumace” dalla Santa Sede che gli ha intimato di rendicontare una serie di spese, nell’ordine, per l’appunto del milione di euro. Il Vaticano ha osservato che a fronte di una serie di lavori da farsi presso proprietà della chiesa in territorio di Calatafimi, provincia di Trapani, paesino noto per la famosa battaglia dell’esercito garibaldino appena sbarcato a Marsalai contro quello dei borboni, risultano essere stati alienati 11 beni immobili per un ricavo di oltre 943 mila euro, per una spesa complessiva che supera il milione di euro, spesa che il Vaticano ha evidenziato come non rendicontata, cosa questa che già la diocesi aveva rivelato non raccogliendo da padre Treppiedi alcuna risposta e vedendo semmai alzarsi una nube di maldicenze, quasi una nuova edizione del “metodo Boffo” contro la massima espressione della Curia trapanese: era così stata alimentata la voce che un milione di euro sarebbe mancato dalle casse della diocesi ma sarebbe stato quello sparito dalla fusione di due fondazioni, procedure in mano al vescovo Miccichè e a nessun altro; il Vaticano ha osservato invece che un milione di euro è sparito, ma da quella cassa che appartiene alla chiesa di Calatafimi, quando ad occuparsene era padre Treppiedi. Una bufera sollevata per nascondere le sue di malefatte? Nella ricostruzione dei fatti che è stata svolta presso gli uffici della Santa Sede emergono comportamenti che analogamente se commessi da laici, e sfruttando denaro pubblico al cento per cento, avrebbero già fatto scattare le manette. Padre Treppiedi avrebbe giostrato molto bene le carte profittando del fatto che per un lungo periodo è stato direttore degli uffici amministrativi della Diocesi, quando aveva conquistato la fiducia del vescovo Miccichè, e che da perfetto con conoscitore delle norme e delle possidenze ecclesiastici si sarebbe mosso cercando di nascondere carte e soldi, facendo emergere tutt’altra realtà, finita dipinta su diversi organi di stampa che con il vescovo non passava giorno che non fossero severi. Vicende clamorose e rocambolesche che portarono il Vaticano anche a nominare un visitatore apostolico, una sorte di ispettore, che ha concluso la sua attività non più tardi di qualche settimana addietro.
Oggi il Vaticano ha deciso di confermare la sospensione di padre Treppiedi, di respingerne l’opposizione e semmai avanzando precise contestazioni: l’appropriazione di 16 mila euro pagati “fuori sacco” da un soggetto (che ha sottoscritto la circostanza) che aveva comprato da padre Treppiedi beni ecclesiastici per 40 mila euro, l’impossessarsi di denaro per 147 mila euro, soldi presi da conti correnti della chiesa di Calatafimi e che il sacerdote avrebbe monetizzato dopo che la somma è stata divisa su assegni circolari, il relativo utilizzo non sarebbe stato mai rendicontato. Lui si è difeso dicendo di avere pagato le imprese che hanno eseguito lavori in alcune chiese di Calatafimi ma sembra che non tutto torni al suo posto. Ma forse la cosa più sensazionale che si coglie nel decreto di sospensione a divinis del prete, è la circostanza che in tempi in cui si parla tanto di intercettazioni e di intercettazioni da eliminare, uno dei mezzi che il sacerdote avrebbe usato per difendersi è stato quella della trascrizione della registrazione di alcuni colloqui: uno di questi è quello che è avvenuto tra i suoi familiari ed il vescovo della Diocesi durante il quale secondo padre Treppiedi era stata offerta la sua disponibilità “a riparare”, avrebbe usato i familiari come suoi portavoce, ma quell’incontro forse doveva servire ad altro, se nel frattempo c’era chi, tra i suoi familiari, genitori e fratelli, si erano muniti di registratore. Al Vaticano anche questa circostanza non è piaciuta, “l’obbligo a riparare al danno arrecato è di chi l’h
a causato e non dei suoi familiari, bene ha fatto il vescovo a respingere l’offerta…è comunque una disponibilità a riparare al danno significa anche una ammissione che quel danno è stato causato”.
Il decreto che sospende padre Treppiedi, poi, arriva ad una settimana dall’annuncio clamorosamente fatto in Tribunale dal suo avvocato difensore, che fermandosi a parlare con magistrati e giudici non aveva fatto mistero di una notizia di tutt’altro genere rispetto a quella resa nota dall’ufficio stampa della Diocesi e cioè che la rimozione del vescovo Miccichè era questione di ore, ma il decreto uscito dal Vaticano si scopre non riguarda il vescovo ma il sacerdote da questi denunciato.
I colpi di scena però non sembrano finiti. Perché tra i punti da chiarire, ma di questo si sta occupando la Procura di Trapani, c’è una lettera a firma del vescovo Miccichè che indirizzata al capo della P4 Luigi Bisignani è saltata fuori nei giorni in cui la Diocesi decideva di sospendere padre Treppiedi. Mons. Miccichè ha dichiarato di non avere mai scritto quella lettera, qualcuno apposta ha cercato di farla circolare. Un clamoroso falso, come tale il dato è stato già registrato, e a quanto pare c’era davvero chi da dentro la Chiesa trapanese aveva rapporti con Bisignani, una conoscenza maturata in un salotto romano. In uno di quei salotti, guarda caso, frequentato da padre Treppiedi che avrebbe usato la tonaca per avere potere e soldi.
 

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