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Bagnasco: «Tenete acceso fuoco della speranza e della fede»

Di Gaetano Liardo il . Liguria

La Cattedrale è stupefacente nella sua bellezza, testimone della grandezza della repubblica genovese, la città padrona dei mari. Oggi, l’aura che l’avvolge è differente. Davanti al cardinale Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, c’è una platea particolare. I familiari delle vittime innocenti delle mafie, più di cinquecento, giunti in città per celebrare la Giornata della memoria e dell’impegno promossa da Libera. Dal leggio sono scanditi i nomi dei caduti di una guerra non dichiarata. Una lunga lista accolta dal silenzio della cattedrale. Tanta la gente presente, tanta anche la commozione. Un’alternanza di nomi, storie e accenti, figli della geografia di un paese che le mafie, nelle sue diverse accezioni, le trova in ogni sua latitudine. Alla fine, un lungo applauso liberatorio si alza dalla gente presente tra le navate. La fine di un incubo, declinato in più di settecento nomi, a cui Libera aggiunge anche le vittime delle alluvioni che hanno flagellato Genova e la Liguria lo scorso autunno.
Con Bagnasco, sull’altare a celebrare questa cerimonia di espiazione laica, ci sono i sacerdoti di Libera. Storie e impegni differenti confluiti nell’impegno per la legalità e contro le mafie. «Davanti a te – dice don Luigi Ciotti riferendosi al presidente della Cei – ci sono centinaia e centinaia di familiari di vittime di mafia. Oggi hanno trasformato il loro dolore in impegno». «Il lungo elenco di nomi che avete letto – gli fa eco Bagnasco – è forse un popolo di morti? No, è un popolo di viventi». «Occorre continuare a sperare e lottare con speranza – sottolinea il cardinale – per una società migliore e più vivibile, dove i rapporti sono improntanti sulla legalità». «Vi chiedo di continuare a tenere acceso e alimentare il fuoco della speranza e della fede in Dio e nei valori delle bontà e della giustizia». Un impegno, sottolinea Bagnasco apprezzando il lavoro di Libera, che ha valore quando la formazione delle coscienze, in famiglia così come a scuola, rafforza l’operato di contrasto delle forze dell’ordine e della magistratura.
L’intervento del Cardinale segue quello di una testimone della violenza dei boss, la triestina Silvia Cosina, nipote di Walter Eddie Cosina, agente della scorta di Borsellino morto nella strage di via D’Amelio. «Il 21 marzo – racconta con la voce che tradisce la commozione, ma ancor di più la dignità di una famiglia provata da violenza e menzogne – è per me una giornata importantissima. La considero il mio natale, il giorno in cui si riunisce la mia famiglia, perché vi riconosco come la mia famiglia. A me la mafia non tapperà la bocca, e non dobbiamo permettere che sia l’ignoranza, l’arma formidabile in mano ai boss, a tapparcela». Il silenzio uccide. L’indifferenza pure. L’applauso finale, dopo che Silvia ha raccontato la sua storia e le sue sofferenze, è accolto come una liberazione. Il senso di un impegno che continua nella memoria delle troppe vittime innocenti della violenza mafiosa.  
 

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