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A Genova per testimoniare Memoria e Impegno

Di redazione il . Liguria

Mentre il Consiglio dei Ministri dava il suo “si” ai funerali di Stato per il sindacalista Placido Rizzotto, ucciso 64 anni fa da Cosa nostra, 500 familiari di vittime delle mafie si incontravano a Genova da tutta Italia (e dall’estero) per la diciassettesima Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie.  Con  loro anche il nipote del sindacalista ucciso a Corleone, Placido, i cui resti sono stati identificati solo dopo tanti anni grazie ad una nuova inchiesta giudiziaria e una perizia scientifica. Domani attraverseranno la città che li ospita, stretti nell’abbraccio di migliaia di persone che sono in viaggio verso questa “porta d’Europa” per il 21 marzo (anticipato al 17 per favorire la partecipazione). Al teatro Carlo Felice insieme a Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, Nando dalla Chiesa, presidente onorario di Libera, Stefania Grasso responsabile del settore Memoria di Libera e Enza Rando, avvocatessa instancabile dell’associazione, i familiari si sono riuniti come ogni anno. Per la prima volta insieme a loro,  anche i familiari delle vittime dell’illegalità come Lucia Uva la sorella di Giuseppe, morto il 14 giugno del 2008 dopo un fermo in caserma e Pietro Orlandi il fratello di Emanuela, giovane rapita 28 anni fa nello Stato del Vaticano. 

Funerali di Stato per Placido Rizzotto, il “si” del Governo
“Il mio pensiero va  a tutti i 42 sindacalisti uccisi dalle mafie e tutti i vostri cari”. Così Placido Rizzotto, il nipote sindacalista ucciso da Cosa nostra 64 anni fa commenta la notizia sui funerali di Stato, giunta  dal Consiglio dei Ministri qualche minuto prima. Dopo tanti anni finalmente il corpo ritrovato da poco e identificato troverà sepoltura. “Spero che questo atto – continua Rizzotto – faccia riflettere sull’assurda questione del mancato riconoscimento delle vittime di mafia precedenti al 1961 e si trasformi in un messaggio per il Paese per ricordare il valore del lavoro e della legalità in questo periodo storico”.  “Oggi qui – ha dichiarato Luigi Ciotti in apertura – ci sono le vostre storie, il vostro dolore ma anche la vostra forza, la responsabilità della memoria”. “E’ necessario che tutti sentano sulla pelle quei colpi di pistola che hanno ucciso i vostri cari, perché venga mantenuta alta la memoria e perché la lotta alla mafia non si fermi”. Alla politica Ciotti rivolge un duro monito che riguarda la proposta di Legge sulla Giornata nazionale della Memoria e dell’Impegno che giace da qualche anno alla Commissione Affari costituzionali e che incontra numerosi rallentamenti e veti. “Fatevi sentire – dice rivolgendosi ai familiari delle vittime – spiegate loro perché che questa giornata è la vostra, l’avete scelta da 17 anni per camminare insieme nel nome dei vostri cari uccisi dalle mafie”. Ciotti continua ricordando  due  persone care al popolo di Libera e ai familiari  che da quest’anno non ci sono più. “Questo è il primo anno senza Ninetta Burgio – “madre coraggio” che non ha mai smesso di cercare verità e giustizia per suo figlio Pierantonio, ucciso dalla mafia a Niscemi. E noi vogliamo ricordali insieme. Ma questo è anche il nostro primo anno senza un grande giornalista – conclude Ciotti – fondatore di Rainews24 e Libera Informazione, venuto a mancare nel maggio scorso e che non dimenticheremo per quel suo impegno sempre dalla parte della libertà d’informazione, della legalità e della democrazia: Roberto Morrione”.
Storie di mafie e di ingiustizie
In tanti si fanno avanti, alcuni timidamente, altri con forza sul palco del Teatro Felice per condividere le loro storie. Un filo conduttore le lega: la faticosa ricerca di verità e giustizia. Fra loro, il padre del giovane Domenico “Dodò” Gabriele, morto su un campetto di calcio, vittima della ‘ndrangheta a Crotone. Vito Marchitelli, padre di Gaetano, studente ucciso a Bari mentre lavorava, consegnando pizze a domicilio. E poi, Irene Lamberti, sorella di Simonetta, bimba di 12 anni uccisa nel 1982 ancora un caso senza giustizia né verità. Giovanni Tizian, giornalista sotto scorta, che qui a Genova ha raccontato della morte del padre,  funzionario di banca che non s’era piegato alle ‘ndrine a Bovalino, anche questo un delitto senza alcun processo, come il “mascariato” suicidio, come lo chiama il fratello Gianluca Manca, che avvolge la morte di Attilio Manca, urologo morto a Viterbo. Insieme a loro la storia di Benny Calasanzio Borsellino, nipote di due imprenditori che non si sono piegati al racket, la sorella di  Salvatore Ottone, giovane ventun anni ucciso in un bar in Calabria, Susy la sorella di Gianluca Cimminiello, ucciso dalla camorra su mandato di un collega invidioso del suo successo di “tatuatore”.  E con loro tanti altri che con generosità e impegno condividono 365 giorni l’anno queste storie con giovani e cittadini per rinnovare nel loro nome l’attività antimafia. 
Vittime dell’illegalità e delle mafie internazionali

L’appuntamento di oggi a Genova è stato, per molti versi, storico. Insieme ai familiari delle vittime delle mafie sono giunti a testimoniare il loro dolore e la loro richiesta di verità e giustizia, anche alcuni familiari di vittime dell’illegalità, a volte compiuta in quelle stanze delle istituzioni che per prime sono chiamate a garantirla. A garantirci. Fra loro, la sorella di Giuseppe Uva, morto il 14 giugno del 2008, dopo tre ore di detenzione in una caserma e un trattamento sanitario obbligatorio. “Quando ci hanno fatto vedere il suo corpo – dichiara Lucia Uva – ci siamo subito accorti che Giuseppe era morto a seguito di traumi subiti in quelle ore di detenzione”. Dopo alcuni anni si potrà dare inizio ad un processo – ma come racconta Lucia –  non ci arrenderemo finché non avremo la verità e non ci sarà giustizia per quello che è accaduto a Giuseppe”. Come Lucia, anche la figlia di Domenico Ferrelli, ucciso nel giugno del 2011, si rivolge alla platea con parole di speranza. E poi un giallo ancora irrisolto: il rapimento di Emanuela Orlandi, rimasto nascosto sotto una montagna di silenzi, come racconta il fratello Pietro Orlandi, alcuni giunti proprio dalle stanze del Vaticano. Alle loro parole si associano, con precisione e partecipazione, quelle di Carlos Cruz, attivista per la pace in Messico e Claudia, che ha perso nel marzo scorso il fratello e il marito  e che è impegnata in un’associazione che si occupa dei ragazzi di strada. Carlos e Claudia sono stati anche loro da piccoli vittime della prepotenza mafiosa che gestiva le loro vite. Oggi, con le associazioni in cui operano e la rete “Alas” che sta nascendo promossa da Libera nel sud America – come ha detto Cruz –“siamo impegnati a costruire pace”. Carlos spiega in poche parole la lotta alle mafie internazionali attraverso “l’effetto farfalla”  – affermando: “ se qualcosa accade in Italia le conseguenze di sentono sino in Messico, se qualcosa accade in Messico le conseguenze sono anche in Italia. Non dobbiamo smettere di costruire pace perché costruire pace in Messico è costruirla in Italia” . Alle sue parole si aggiungono quelle di una “donna – coraggio” Claudia che spiega come senta vicina questa platea e si senta meno sola nel suo dolore. Queste storie si saldano con le altre come fossero tutte un’unica storia – sottolinea in chiusura il presidente onorario di Libera, Nando dalla Chiesa, commosso ma con voce ferma ricorda che quelle raccontate nel pomeriggio sono un pezzo di Storia di questo Paese. “Una storia che fa maledettamente male, che costa fatica” ma è la nostra storia. Un patrimonio (di storie) da rispettare.

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