Quattro arresti per l’inchiesta su via D’Amelio
Giro di boa per l’ inchiesta su via D’Amelio. Emessi quattro mandati di arresto a carico dei presunti esecutori della strage che il 19 luglio del 1992 a Palermo costò la vita al giudice Paolo Borsellino, agli agenti di scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Un’inchiesta riaperta due anni fa, dopo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza, uomo chiave di questa indagine che – come confermano i magistrati – “riscrive il contesto della strage ” – a partire dagli esecutori materiali, da chi rubò l’auto, chi preparò l’attentato e si assicurò della riuscita. E’ stata la Dia a notificare il provvedimento di arresto al capomafia pluri ergastolano Salvatore Madonia (è accusato di aver partecipato nel dicembre 1991 alla riunione della Cupola in cui si decise l’avvio della strategia stragista) ai boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale (il primo rubò con Spatuzza la 126 per la strage; il secondo abitava nel palazzo della madre di Borsellino e sarebbe stato la “talpa”in sostegno agli stragisti). Un quarto provvedimento riguarda il pentito Calogero Pulci, sino ad oggi in libertà ed è accusato di calunnia aggravata, perché con le sue dichiarazioni avrebbe sostenuto il falso pentito Vincenzo Scarantino.
La procura aveva chiesto, anche, l’arresto del meccanico Maurizio Costa che sistemò i freni della Fiat 126 ma il giudice l’ha respinto. Costa resta, dunque, indagato a piede libero per favoreggiamento aggravato. La firma su questi provvedimenti è del magistrato Sergio Lari, degli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, dei sostituti Nicolò Marino, Gabriele Paci e Stefano Luciani che lavorano in squadra con alcuni uomini della Dia di Caltanissetta, coordinata dal vice questore aggiunto Ferdinando Buceti. Per tre degli indagati di oggi la procura ha chiesto l’aggravante per fini terroristici.
Grasso: dichiarazioni di Spatuzza hanno cambiato prospettiva inchiesta
Dopo quasi vent’anni la vicenda giudiziaria non e’ ancora conclusa e anzi si prepara un Borsellino quater che dovrebbe giudicare le persone arrestate stamani, nel caso di un loro rinvio a giudizio. Le origini di questa inchiesta che oggi riscrive le dinamiche e le carenze investigative su via D’Amelio, sono nella collaborazione del pentito di mafia Gaspare Spatuzza, l’ex killer di Brancaccio che rubo’ la Fiat poi imbottita di esplosivo. Il pentito, solo due anni fa, ha scelto di raccontare la verità’ su via D’Amelio, scagionando Vincenzo Scarantino e palesando il coinvolgimento dei Graviano in questa strage. E l’ha fatto davanti all’attuale procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso che oggi – infatti – dichiara alla stampa: «Questo è un giorno particolare per me, sia dal punto di vista personale che professionale, perché’ ho avuto il privilegio di raccogliere le dichiarazioni che hanno cambiato la prospettiva delle indagini sulla strage di via D’Amelio». Grasso, riferendosi alle dichiarazioni di Spatuzza sulla scorta di quanto apprese dal boss Graviano, ha parlato di «un palinsesto di azioni già’ tracciate: un percorso che parti’ dall’omicidio Lima fino alla fallita strage dello stadio Olimpico di Roma del ’94». Il procuratore antimafia ha indicato anche tre moventi della strage: la ventilata nomina di Borsellino alla guida della Dna; le azioni repressive che il ministero della Giustizia avrebbe adottato contro la mafia e “in questo contesto Borsellino avrebbe agito nel pieno delle sue funzioni con atti concreti’; infine l’ultima causale di tipo eversivo-terroristico che la mafia voleva attuare – ha spiegato Grasso – per evitare mutamenti politici non graditi».
“La trattativa” influenzò la strage di via D’Amelio
L’inchiesta dei magistrati di Caltanissetta, infatti, non solo individua alcuni responsabili della strage ma – si legge nel testo del provvedimento – ricostruisce anche la tempistica e le accelerazioni dell’attentato. «La tempistica – scrive il giudice – che e’ stata certamente influenzata dall’esistenza e dall’evoluzione della cosiddetta trattativa tra uomini delle Istituzioni e Cosa nostra» Per la procura dalle indagini è risultato che della trattativa era stato informato anche Borsellino il 28 giugno del 1992. Quest’ultimo elemento – osservano i Pm – aggiunge un ulteriore tassello all’ipotesi dell’esistenza di un collegamento tra la conoscenza della trattativa da parte del magistrato, la sua percezione quale ‘ostacolo’ da parte di Riina e la conseguente accelerazione della esecuzione della strage». Secondo la procura di Caltanissetta, «questa conclusione e’ legittimata, tra l’altro, dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca a proposito dell’ordine ricevuto da Salvatore Riina di sospendere, nel giugno 1992, l’esecuzione dell’attentato nei confronti dell’on. Calogero Mannino perchè c’era una vicenda più’ urgente da risolvere». E’ di pochi giorni fa il “silenzio” di Mannino, ex ministro democristiano e segretario della Dc siciliana, davanti ai magistrati palermitani, nell’ambito dell’inchiesta sulla mancata cattura di Provenzano (per tutti l’inchiesta sulla “trattativa”). Il politico era stato convocato e iscritto nel registro degli indagati dalla procura per “ipotetiche pressioni che avrebbe esercitato all’epoca delle stragi per un allentamento del regime carcerario del 41 bis” ma davanti ai magistrati si è avvalso della facoltà di non rispondere (ascolta qui il processo su Radio Radicale – qui l’udienza in cui depose il ministro Vincenzo Scotti). Il documento di oggi, inoltre, sancisce per la procura di Caltanissetta “l’inattendibilità” del dichiarante Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, Vito, cui riconoscono il merito di aver risvegliato la memoria di molti, politici e non solo, che in questi vent’anni hanno osservato “uno sconcertante silenzio”. Per il resto, la mancanza di riscontri sui documenti e sulle dichiarazioni rese da Ciancimino junior portano i magistrati nisseni a tenere sul suo operato un giudizio sostanzialmente “negativo”.
Borsellino parlò di “un traditore”
Il contesto tracciato dai magistrati, inoltre, riguarda direttamente anche le ultime settimane di vita di Paolo Borsellino. Le confidenze ai magistrati Alessandra Camassa e Massimo Russo che andarono a trovarlo nel suo ufficio. A loro, avrebbe affidato le sue preoccupazioni già a metà giugno del 1992. Ai colleghi che l’hanno interrogata, Alessandra Camassa dichiara: «la mia impressione fu che Paolo si sentisse tradito da una persona adulta autorevole, con la quale vi era un rapporto d’affetto: pensai che potesse trattarsi di un ufficiale di carabinieri». La ricostruzione e’ stata confermata da Massimo Russo che aggiunge un’altra frase di Borsellino: «qui e’ un nido di vipere». Secondo la ricostruzione del Gip e della Procura di Caltanissetta, Borsellino avrebbe individuato il traditore, ma il nome era talmente sconvolgente – si spiega nell’ordinanza – che neanche gli amici più’ cari ne sono stati messi al corrente». Negli ultimi tempi, il magistrato aveva riferito simili fatti alla moglie, Agnese Borsellino. Queste confidenze, messe a verbale dalla vedova del magistrato, confermano sia la conoscenza di “colloqui” fra mafia e parti infedeli dello Stato da parte del marito, sia i sospetti sul generale Antonio Subranni, già
indagato per le indagini sull’inchiesta dell’omicidio di Peppino Impastato. «Confermo – fa mettere a verbale la vedova del giudice – che mi disse che il generale Subranni era ‘punciutu ».
* a cura di Norma Ferrara
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