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Chiuso per ‘ndrangheta

Di Gianluca Ursini il . Calabria

Tutti a casa, si chiude per ‘ndrina. La Interpiana Calcio è vicina al ritiro dal campionato di calcio di serie D, dopo due anni in cui la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria aveva a più riprese sequestrato e confiscato le quote societarie del club legalmente residente in Cittanova (nella piana di Gioia Tauro), ma riconducibile secondo i magistrati, alla famiglia Pesce di Rosarno; niente altro che una emanazione della Rosarnese, già giocattolo del clan di ‘ndrina rosarnese, sequestrata nella operazione ‘All Inside’ dell’aprile 2010.

L’ultimo atto di un biennio terribile nel reggino, il 2010 – 2012, in cui più società di sport professionistico sono state coinvolti in inchieste per mafia: dal volley femminile, con la Medinex che era arrivata in finale di Coppa Campioni, alla società che milita nel campionato di a2 di calcio a 5; con l’ultimo bastione di legalità dello sport calabro, il rugby, vittima delle prepotenze mafiose: gli atleti della Rugby San Giorgio, dalla sera al mattino nel giugno 2010, si videro sfrattati dal proprio campo di allenamento da un club di calcio di ‘amici degli amici’ che divelse i piloni per la palla ovale, per mettere i goal con le reti del football.

 “E trovatevi un altro posto per allenarvi, chi se ne fotte d’u rugby, noi ci giochiamo la C2”, fu la risposta degli sgherri ai dirigenti del San Giorgio, quando trovarono i lucchetti ai cancelli di quello che era stato il loro stadio. Va detto che la vicenda ebbe un finale positivo, perché l’allora sindaco reggino Scopelliti in pochi mesi fece costruire sull’argine di un torrente, contrada San Cristoforo, una struttura all’avanguardia da mille posti dove tuttora i ragazzi del San Giorgio si allenano per il campionato di B dilettanti. Il club i cui ‘’fan sfegatati’ sfrattarono i rugbysti a inizio 2010, la Interreggio, vola invece in cima al suo girone di serie D e sente odore di lega Pro, la vecchia C2.  E’ bene precisare come nessuna inchiesta di polizia colleghi quei tifosi con modi da ‘mafiusazzi’, all’attuale dirigenza dell’Interreggio. 

Ripartiamo dalla Interpiana, che domenica scorsa, sotto la custodia giudiziaria di due avvocati, non si è presentata alla trasferta di Acri (Cosenza), giustificando con un fax l’assenza dal terreno di gioco, per un guasto al pullman. Intercettato dalla Statale lungo la Salerno – Reggio, il bus si presentava vuoto. Succede che l’Interpiana di patron Condimitti, l’imprenditore di Cittanova che afferma di essere estraneo al clan Pesce, non ha più un centesimo in cassa, e da due turni trova scuse per non giocare: tutti i giocatori sono svincolati, in cerca di stipendio in un club che non chiuda per Mafia. Peccato che la vicenda si chiuda per motivi finanziari, e non si sia riusciti a fare chiarezza in sede giudiziaria, che in campo sportivo vedeva il dossier ‘Interpiana’ e Sapri’ (altra squadra di D, riconducibile ai Pesce secondo i giudici) sul tavolo del procuratore federale Stefano Palazzi, quello delle inchieste su Calciopoli. Sarebbe stata la prima radiazione sportiva per criminalità organizzata nel Paese che ha esportato nel mondo la mafia. 

Chi invece sempre nello stesso girone calabrese di D ha visto un brusco stop al proprio campionato, fu in dicembre la squadra della Valle Grecanica di Melito Porto Salvo (roccaforte del potente clan Iamonte): nella inchiesta “Alta tensione” del pm Colamonici della Dda dello Strettoo contro i clan Borghetto zindato di Reggio, oltre a vari esponenti dei clan, che avevano tentato di infiltrarsi negli appalti post terremoto all’Aquila con le loro aziende edili, finirono in manette anche l’allenatore della Valle Grecanica Natale Iannì e il direttore sportivo Eugenio Borghetto, parente dei capocosca del clan reggino. Iannì, nella richiesta di fermo firmata dai pm, venne dipinto come allenatore di comodo, in realtà organico alla cosca. A colpire della mentalità criminale del mister, fu il suo regalo per la nascita del primogenito del capocosca degli Zindato: una culla con due cuscini. Sotto i cuscini, una P38  e una Luger; perché le ‘tufe’ (così gli ‘ndranghetisti chiamano le pistole) servono più dei dribbling a liberarsi da una marcatura asfissiante, voleva dire il mister al mafioso neopapà.  Non va meglio agli altri sport reggini: nel calcetto la ‘Real tremulini’, quartiere ad alta densità mafiosa, rappresentava il colore amaranto in serie A2.

Il 21 dicembre 2011 il GIco del nucleo polizia tributaria della GdF reggina ha emesso 5 avvisi di garanzia e perquisizioni a raffica contro i vertici societari, accusati d’aver emesso fatture gonfiate per permettere il riciclaggio di denaro: di che provenienza fossero i soldi, è facile immaginare, visto che il principale fermo riguardava l’ex mister, il commercialista Roberto Emo, già in carcere da 6 mesi con l’inchiesta ‘Archi’ per aver gestito il passaggio di una municipalizzata reggina, la ‘Multiservizi spa’, dalla gestione pubblica nelle mani di una delle cosche più potenti sullo Stretto, i Tegano legati ai De Stefano.      

 E peggio è andata anche a Pasquale Rappoccio, titolare della ditta di forniture mediche ‘Medinex’, che come sponsor nel volley femminile aveva raggiunto tre finali scudetto, di cui una vinta, e una finale Coppa Campioni; la Gazzetta dello Sport nel 2002 parlava di Rappoccio come del ‘’Berlusconi del volley, uno che ha sconvolto le campagne acquisti di questo sport, spendendo fino a 600 milioni di lire a stagione nella pallavolo”. Rappoccio, che nel 2001 era uscito dalla società, è finito in manette il 6 ottobre scorso come prestanome in affari con i temibili Condello e con il clan Libri, su mandato del pm Giuseppe Lombardo; ma già nel dicembre 2010 era stato rinviato a giudizio dai pm di Locri, per i suoi appalti milionari con la asl 11 della cittadina calabrese, quella dove lavorava il politico della Margherita Franco Fortugno, ucciso dalla ‘Ndrangheta nell’ottobre 2005. In una informativa del marzo 2007 dei Carabinieri, reparto Ros reggino, veniva descritto come massone iscritto alla Gran loggia d’Italia del Gran maestro Fabio Venzi, e a sua volta il collettore di tutti gli interessi massoni in città. Le 5 logge regolarmente iscritte sullo Stretto avevano sede legale in un hotel di Rappoccio in Villa San Giovanni.    

Si potrebbe chiudere qui, senza menzionare l’attuale presidente facente funzione della Reggina, l’imprenditore Gianni Remo, settore pollame, che tiene le redini del sodalizio amaranto, con 10 anni in A di calcio, invece del presidente Foti, inibito dalla sentenza della vicenda ‘Calciopoli’; Remo, secondo la inchiesta Gebbione del 2007 della distrettuale antimafia, è parente stretto dei capocosca del clan Labate. Non è stato condannato per 416 bis; quindi, potrà  dirigere un club che aspira a rientrare con la massima serie….

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