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Calabria, le mani della ‘ndrangheta sulla 106

Di Gianluca Ursini il . Calabria

“E come vi siete permessi di incignare (cominciare, ndr) i lavori senza fare le presentazioni di dovere? E’ modo di comportarsi? Adesso dovete pagarci il disturbo”… firmato clan Ficara Latella di Pellaro, periferia jonica di Reggio Calabria. Per i mafiosi, soprattutto nelle ‘ndrine, esiste una etichetta molto rigida; e soprattutto una spartizione illegale del territorio, parallela a quella dello Stato, e altrettanto rigorosa. 

E’ quanto scrive nella sua richiesta di arresti, che ha portato in Calabria a 5 fermi nei confronti di altrettanti affiliati, il pm della distrettuale antimafia dello Stretto Marco Colamonici, sulle intimidazioni dei clan di ‘ndrangheta Ficara Latella, con i Iamonte di Melito porto Salvo (Rc), in capo alle imprese che tentavano di aggiudicarsi gli appalti per l’ammodernamento della ss 106 jonica Reggio – Taranto negli ultimi 33 chilometri; 33 su una arteria da 483 km,  con il triste record di maggior numero di incidenti mortali per chilometro al Sud e in perenne riammodernamento, con cantieri sempre nuovi e appalti da spolpare per i clan calabresi, come già accaduto sulla Salerno -Reggio.

Esisteva una rigida spartizione del territorio, delimitato con precisione fino al metro, e per ogni appalto che ricadeva nel territorio degli Iamonte, bisognava andare a fare riferimento al clan che dai ‘70 colonizza anche Brianza e hinterland milanese, tanto da far sciogliere il primo Consiglio comunale in Lombardia per mafia. Per gli Iamonte quel che ricade nel loro territorio, è “robba nostra”, tanto che gli attivisti di “MilanoMafia” avevano definito la colonia lombarda, Desio, la “Melito del Nord”. 

L’indagine del pm Colamonici sulla ss 106, scaturisce da alcune intercettazioni già presenti nella maxi indagine “Crimine” del luglio 2010; allora due degli indagati, i fratelli Gigi e Mico Musolino del consorzio Latella e Ficara, avvicinarono il capocantiere della ditta colpevole di non essersi “presentata” ai clan del posto, intimandogli di presenziare un incontro in Melito “per risolvere le nostre pendenze”. Salvatore Minniti e Gianni Gullì, due degli affiliati Iamonte, erano già andati a trovare nel maggio 2010 il cantiere della Cogip di Catania. I due strappano gli attrezzi agli operai e sbarrano il cantiere; se ne vanno con una intimazione: “La prossima volta, prima di prendere un lavoro, chiedete chi comanda in zona”.

Soprusi che porteranno alla ribellione civile: la nota positiva della indagine “Affari di Famiglia” portata a termine dai Carabinieri del comandante Angelosanto, è che i titolari della Cogip, vista l’impossibilità di lavorare, sono subito andati a denunciare; e da lì, arresti scaturiti da questa inchiesta. Una eredità dell’uscente procuratore Pignatone che nel 2009 ammonì gli imprenditori calabresi: “denunciate chi vi minaccia”. Sulla superstrada jonica invece, Iamonte e Ficara volevano avere voce in capitolo su chi designare anche per i subappalti; “la ditta a cui avete chiesto i preventivi a Bovalino non va bene!”, intimavano. Bovalino, la “san Luca” a mare dove i boss non potevano perdere la faccia. E se il capocantiere provava ad obiettare ai mafiosi come i lavori non fossero iniziati, nelle intercettazioni si sentono gli sgherri intimare: “e prima di cominciare, vedete di mettervi a posto”  “allora, dal chilometro 6+700, fino al chilometro di Pellaro, quella è zona mia – spiegava l’emissario dei Ficara Musolino allo sbigottito capocantiere nell’incontro chiarificatore – dal semaforo di Pellaro fino al kilometro 22, la competenza è metà alla mia famiglia, metà ad altri; dal chilometro 22 fino al 31, il territorio è delle persone che avete già incontrato, e che adesso visitiamo”, ossia, i temutissimi Iamonte.

Questi, e i Ficara Latella erano già nel mirino dei pm Lombardo e Colamonici dalla operazione Reggio Sud (maggio ’11) in cui si capiva come sul territorio tra Reggio e l’area grecanica (Melito) i tre clan avessero spartito la stecca: ai Latella i subappalti per infissi e legname, ai Ficara i trasporti, tanto da aver assoggettato anche il titolare della ‘Bartolini’ in provincia; agli Iamonte (oltre alla coca) lo storico business della macellazione clandestina.    

Non a caso il capoluogo dello Stretto è l’unico in Italia a non avere un macello comunale. E l’emissario Iamonte disse al responsabile Cogip: “noi siamo i vostri referenti di zona. Per il vostro quieto vivere, Dovete lasciarci gli appalti sul rifacimento del manto e la posa delle barriere, per un importo pari al 4% dell’appalto.. per una ditta come la vostra, mò, non è che vi perdete per 60 mila euro in meno”      

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