“Silent Slavery”
L’antica città di Medma, Rosarno, in provincia di Reggio Calabria torna sotto i riflettori internazionali per lo sfruttamento nei campi di agrumi. Campi, sempre più emblema di un’economia agricola volano per la regione solo sulla carta, dal momento che tante sono le arance raccolte e poi vendute a prezzo stracciato ma anche tante quelle cadute e lasciate a marcire sul terreno. Intanto stenti, condizioni di vita e lavoro indecorose e salari bassi (“Poor conditions and low wages endured by some African migrant workers harvesting oranges in southern Italy”) per la raccolta di arance a Rosarno balzano da ieri sulle cronache inglesi. Non siamo nei cosiddetti paesi in via di sviluppo che per via della delocalizzazione delle multinazionali, guidate da sole logiche di profitto, a questo sviluppo non arriveranno mai.
Dunque non siamo in Medioriente, Asia, Africa ma in Europa, in Italia, al Sud in Calabria a Rosarno. “We’re not criminals, I am working, they [the farmers] are exploiting us. We don’t have nobody to help… [this is] Apartheid, colonisation, silent colonisation, silent slavery. There’s no future!”. Dal profondo Mediterraneo i lavoratori migranti africani nei campi della Piana di Gioia Tauro parlano di sfruttamento, di colonizzazione del ventunesimo secolo, di schiavitù invisibile e silenziosa lo fanno sul periodico europeo ‘The Ecologist’, la prima rivista ambientalista fondata nel 1970 da Edward Goldsmith (morto a Siena nel 2009) ed oggi tradotta in tutte le lingue, che denuncia l’utilizzo di queste arance di Rosarno, sulla cui filiera non ci sarebbe un adeguato controllo sugli standard internazionale dei diritti, da parte della ‘The coca cola Company’ nella composizione della nota bibita ‘Fanta’.
Il giornalista Andrew Wasley, la cui inchiesta è rimbalzata sul quotidiano britannico ‘The Independent’, è stato prontamente smentito dalla stessa multinazionale che però ha ammesso di non essere in grado di garantire il monitoraggio dell’intera filiera e dunque di non poter assicurare che ogni passaggio relativo alla materia utilizzata per il prodotto finale da immettere sul mercato poi sia rispondente agli standard internazionali economici e sociali (“Coca-Cola is facing questions about its links to orange harvesting in southern Italy, which campaigners say relies on the cheap labour of African migrants living in squalid conditions”).
La fotografia scattata è drammatica (“But these fruit products could be linked to a life of squalor and exploitation for some of those working at the bottom of the supply chain, an investigation by The Ecologist has revealed”) e racconta la storia di migliaia di cittadini africani giunti in Calabria dopo un viaggio in balia delle onde e del destino. Qui vivono in accampamenti invivibili, alla mercè dei cosiddetti ‘caporali’ (“Evidence gathered by The Ecologist shows that many migrants, some of whom are in Italy illegally, live in slum conditions in makeshift camps without power or sanitation and fall prey to gangmasters who in some cases charge a “fee” from their workers’ wages for organising their picking shifts”) e raccolgono la maggior parte delle arance esportate dalla regione, lavorando per 25 euro al giorno.
Pietro Molinaro, presidente Coldiretti Calabria, si legge sulla rivista ‘The Ecologist’, aveva rappresentato, ma senza ottenere riscontro alcuno, il problema alla Coca Cola, che solo nel 2010 aveva fatturato 11,8 miliardi di dollari. Inoltre lo stesso Molinaro ha parlato della necessità di un “giusto prezzo” di 15 centesimi invece di sette, praticato adesso, per ogni chilo di succo di arancia pagato dalla Multinazionali; ciò per correggere almeno il segmento rapporto multinazionali – agricoltori – lavoratori che raccolgono.
Sul fronte delle condizioni di vita, a Rosarno, l’amministrazione guidata da Elisabetta Tripodi sta operando tra mille difficoltà per lo sgombero del ghetto della ex Pomona da quando il campo nel comune di San Ferdinando è stato allestito. Le criticità della relativa fruizione degli alloggi, quest’ultimo come quello nuovamente allestito in zona Testa dell’Acqua ed anche teatro della recente visita del ministro per la Cooperazione Internazionale Andrea Riccardi, sembrerebbero legate alla lontananza rispetto ai campi di raccolta ed alla irregolarità della situazione di molti di essi sul territorio italiano; queste le ragioni per cui molti migranti non intendono recarvisi.
Una questione per quanto nota, ancora non si avvia ad una sistematica e definitiva risoluzione.
Da Rosarno giunge anche un invito al boicottaggio ”di tutte le multinazionali che sfruttano le situazioni di emarginazione”. A lanciarlo è il responsabile di Libera nella Piana di Gioia Tauro, don Pino Demasi. ”Non mi meraviglio – dice – che una multinazionale come la Coca Cola utilizzi le arance raccolte da lavoratori sfruttati per produrre i suoi prodotti. Queste grandi aziende pensano che tutto sia in perfetta regola ma in realtà dovrebbero sapere quanto accade nei nostri territori e le situazioni in cui lavorano queste persone”.
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