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Processo Garofalo, tutti gli alibi per Giuseppe Cosco

Di Marika Demaria il . Lombardia

Il suo nome è stato pronunciato per diverse volte in questi ultimi mesi. L’udienza di ieri ha dato un volto a quelle generalità: Renata Plado, convivente da 23 anni di Giuseppe Cosco, al quale ha dato due figli di 21 e 16 anni. La donna si dice «agitata, perché dal 14 settembre sono in custodia cautelare e non vedo più tante persone…» rivolgendosi ai parenti in fondo all’aula e preparandosi a deporre. Sarà un lungo interrogatorio – quattro ore – ricco di dovizia di particolari, a cui la descrizione dei rapporti famigliari che intercorrono tra i Cosco ha dato la stura: «Il mio convivente Giuseppe parla solo con suo padre e sua sorella Serafina, non va d’accordo con Mirella, non parla da sempre con Vito, mentre con Massimo ha aperto un negozio di calzolaio. Con Carlo si parla tra alti e bassi, ma sono io che non parlo con lui da anni. Lea per me era come una sorella – ha assistito alla nascita del mio secondo figlio – e Denise l’ho vista la prima volta che aveva pochi mesi…ha la stessa età del mio primogenito…».

Renata Plado racconta di una vita di coppia – quella di Carlo Cosco e Lea Garofalo –  fatta di alti e bassi che alcune volte sono sfociati anche in botte. E la voglia della donna, concretizzatasi nel 1996, di andare via, di cambiare vita. «Quel giorno un signore con una station wagon venne a prendere mia nipote e mia cognata, che prima di partire baciò per terra dicendo “Io qui non verrò mai più”. Sapevo che si sarebbero trasferite da Milano a Bergamo, presso delle suore, ma non sapevo altro. Questo succedeva ad ottobre; il mese prima Lea era andata a Roma per sottoporsi ad una visita psichiatrica: partì il venerdì e doveva ritornare il sabato per parlare con Carlo che l’avrebbe chiamata dal carcere di san Vittore, ma di fatto rientrò il giorno dopo, nonostante avesse affidato Denise a me». Un episodio che si ripeté nel 1999 quando «mia nipote trascorse con noi un fine settimana, Lea venne a riprenderla la domenica sera. L’anno dopo la sorpresi a casa di una mia vicina di casa: lei era in compagnia di una sua amica che presentò come sua cognata, mentre io fui presentata come ex cognata. Non sapevo che fosse tornata».

L’attenzione si concentra sul 2009, novembre per l’esattezza. Renata Plado riferisce di aver visto Denise sabato 21, e che la ragazza le ha raccontato di essersi fatta accompagnare in stazione dalla zia Marisa (sorella di Lea) spiegando che sarebbe andata a Crotone. «Ero molto contenta di rivederla. Le avevo chiesto di fermarsi a cena, però ad un certo punto sono andata da mia cognata Giuseppina (Scalise, moglie di Vito Cosco, n.d.a.) per portarle del riso e quando sono rientrata Denise era andata via. Giuseppe mi disse che aveva ricevuto una telefonata. Già prima il cellulare di Denise aveva squillato: lei non aveva potuto rispondere, ho visto che compariva “Mamma wind” e così ho aperto la comunicazione, pensando che fosse Lea. In realtà era sua sorella Marisa, che mi diceva che era preoccupata per lei, che la vedeva depressa. La domenica Carlo ha chiamato Giuseppe dal cortile chiedendogli perché non avesse fatto mangiare Denise a casa sua e Giuseppe gli ha fatto notare che era stato lui a chiamarla. Almeno così pensavamo. Invece sarà stata sua mamma, ma noi non potevamo immaginare, perché Denise ci ha detto che era venuta a Milano con la madre solo la sera del 24 novembre, quando, dopo che ha mangiato con noi, è andata via con suo padre per prendere il treno per poi tornare a casa nostra a tarda sera. Non mi ha detto perché mi aveva nascosto la verità».

Secondo la ricostruzione dei fatti della teste, quel  24 novembre la ragazza nel tardo pomeriggio la contattò telefonicamente per chiederle dove fosse, e si incontrarono presso la farmacia di piazzale Baiamonti. Insieme sono andate al bar “Barbara” per verificare che Giuseppe Cosco fosse effettivamente lì (un particolare confermato anche dalla teste Silvana Albertazzi) e poi si sono recate al supermercato “Punto Sma”. «Siamo andate a fare la spesa e ricordo che Denise mi chiese il sushi e le patatine fritte; alla cassa voleva pagare con i cento euro che le aveva appena regalato il mio convivente, ma io ovviamente mi sono opposta. Siamo rincasate verso le 19.30 e io ho iniziato a preparare la cena, mentre Denise ha mangiato perché poi sarebbe dovuta partire». L’avvocato Cacucci ha prodotto dei fotogrammi che riprendono due passanti lungo quel tragitto: sono da poco passate le 19, fianco a fianco camminano due donne, una con un giubbotto nero l’altra con il giubbotto bianco. Renata Plado ha asserito di essere la donna con il giubbotto scuro, indicando quello che aveva appeso alla sedia: «Vede? È questo». L’immagine ricorda molto quella estrapolata dalle telecamere poste in corso Sempione, che hanno registrato il passaggio, poco dopo le 18, di Denise e sua mamma, come spiegato anche dal maresciallo Persuich nel corso della sua deposizione.

Il racconto di quanto avvenuto dopo sarà dettagliato. La donna racconta che suo marito Giuseppe arrivò a casa verso le 20.30 dopo aver giocato alle macchinette del bar per poi uscire nuovamente poco dopo le 21 per andare da dei vicini di casa, tanto che Denise partì senza salutarlo. Renata Plado rivedrà il compagno in tarda serata, quando entra in casa con Carlo Cosco e l’amico Carlo Toscano. «Mi ha detto che Denise avrebbe dormito da noi, mi ha spiegato “Non ci ho capito niente, Carlo è venuto e mi ha detto che bisogna fare così”». L’indomani mattina la teste rivede il cognato: «Gli ho chiesto di Lea e Carlo mi ha spiegato che l’aveva vista il pomeriggio del giorno prima. Lei gli aveva chiesto 400 euro ma lui ne aveva solo 200 euro e glieli ha dati. Rividi Carlo il sabato mattina quando ci chiese di prestargli l’auto per andare a Reggio Emilia, ma poi fu Vito a prestargli il Chrysler». Denise e il padre partono e rientrano l’indomani sera, per poi ripartire alla volta di Pagliarelle. Ci sarà il tempo, secondo la teste, perché la ragazza le confessi che Lea Garofalo beveva, era strana e dava confidenza a tutti. Zia e nipote si rivedranno nell’estate del 2010, «Vito mi aveva detto che dopo il colloquio avuto con il padre presso il carcere di Lanciano era stata male, così le ho parlato e lei, piangendo, mi chiese di aiutarla. Era la prima volta che la vedevo in quello stato, così partì con noi alla volta di Milano».

L’avvocato Roberto D’Ippolito, difensore della madre e della sorella della testimone di giustizia, si è invece soffermato sull’omicidio di Antonio Camberati avvenuto il 17 maggio 1995, per il quale Carlo Cosco fu accusato ma mai condannato. «Carlo non aveva mai avuto da ridire con lui – ha riferito la teste – invece Lea aveva litigato con lui. E ricordo che il giorno dopo passammo a fianco alle macchie del sangue di quest’uomo e lei, sputandoci sopra, disse “Bastardo”».

Il pm Marcello Tatangelo, considerata anche la memoria elefantiaca della teste, le ha chiesto quali numeri avesse in uso il suo convivente e se quella sera al bar lui fosse anche con Francesco Ceraudo e Carlo Toscano. Un dato numerico che però la donna non ricorda, mentre sottolinea con forza la presenza dei due uomini. Saranno loro stessi, subito dopo in aula, a confermare questa versione dei fatti. Il ventunenne Ceraudo, rispondendo alle domande dell’avvocato Steinberg, ha dipinto Lea Garofalo come «una pazza che cambiava umore ogni cinque minuti, non era normale». Un’affermazione che la Presidente Introini non ha gradito, chiedendo al teste di evitare connotazioni negative specie se non supportate da fatti e il teste ha risposto raccontando che una volta aveva visto la donna picchiare Denise perché erano andati in discoteca. Quella sera c’erano anche la nonna della ragazza e Carmine Venturino, che dalla gabbia annuiva. La dichiarazione relativa al 24 novembre tuttavia non ha convinto l’accusa, alla luce anche dei tabulati depositati agli atti, e che ha portato
il pm a chiederne l’acquisizione: si evince che Ceraudo in quei giorni era in realtà a Genova.

Michele Medico ha invece riferito di aver visto Giovanni Peci, convocato in diverse udienze e di fatto risultato “irreperibile”. Il teste ha riferito che «il 10 gennaio ero in viale Montello e ho visto un uomo che gesticolava, mani in faccia, con Giuseppina Scalise. Mi sono avvicinato e ho riconosciuto Peci; lei gli diceva di venire in Tribunale perché lo state cercando, lui ha detto che nessuno lo ha cercato. Mia moglie lo ha rivisto venerdì scorso, lui abita in un abbaino dello stabile di viale Montello 6».

Gli ultimi teste della difesa saranno ascoltati lunedì 27 febbraio. Ieri mattina c’è stato infine anche spazio per le deposizioni in video conferenza di Domenico Megna e Pasquale Nicoscia. I due detenuti erano stati nominati dal collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese durante la sua deposizione (27 ottobre 2011) come le persone alle quali lui avrebbe dovuto chiedere il permesso per uccidere Lea Garofalo su commissione di Carlo Cosco. Entrambi hanno smentito quanto dichiarato dal teste, sottolineando la stranezza, a loro giudizio, del fatto: «Perché avrebbe dovuto chiedermi l’autorizzazione? Mica siamo parenti, affiliati…in base a quali regole? Ma sono cose dell’altro mondo!».

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