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Giornalisti precari: ” Vogliamo un censimento con cifre ufficiali”

Di Bruna Iacopino il . Lazio

Bisognerebbe lavorare 40 giorni per ottenere uno stipendio di mille
euro. Si è aperta così la prima conferenza stampa di Errori di stampa,
coordinamento romano di giornalisti precari. Dati alla mano, ( quelli
raccolti in circa due mesi di lavoro sul campo) sarebbero 2.000 circa e
solo su Roma ( comprendendo il bacino Rai e gli uffici stampa), per un
panorama nazionale che non promette, a questo punto, nulla di buono. Uno
screaning assolutamente in difetto sottolineano a più riprese, basato
su una sorta di censimento o per meglio dire “auto-censimento che ha
portato a “scavare” dentro le principali testate capitoline (nonostante
la scarsa collaborazione mostrata dai vari Cdr, la maggioranza). I dati,
messi nero su bianco sono si una denuncia, ma sono soprattutto una
richiesta urgente avanzata all’Ordine e alla Fnsi perchè si facciano
carico di una vertenza da troppo tempo rimasta senza voce e che adesso
avanza delle richieste precise, quelle contenute nel manifesto
fondativo, sottoscritto da un centinaio di persone: il  rispetto dei
tariffari per tutti i collaboratori, indennità di disoccupazione per
tutti i contratti atipici, l’istituzione di un bacino di precari, la
regolamentazione degli stage in redazione, il tutto a partire da: “ … un
censimento ufficiale ( realizzato da OdG e Fnsi ndr) dei precari del
giornalismo e dei tariffari in uso, azienda per azienda, e che questo
censimento diventi lo strumento da cui pianificare urgenti interventi a
tutela della dignità professionale e del lavoro dei giornalisti
precari.”

Rispetto alla questione equo compenso, esiste già del
resto, rimarcano, un ddl che giace in Parlamento e di cui il
coordinamento chiede l’approvazione entro fine legislatura. Anche se, su
quello stesso Ddl, come sostiene il presidente dell’Ordine, ci
sarebbero già state pressioni da parte del nuovo presidente della Fieg
Giulio Anselmi.
Un percorso, dunque tutto in salita che, affermano
non può prescindere da una presa di coscienza ampia e responsabile da
parte dei “tutelati della categoria”, perchè non può esistere libertà e
qualità dell’informazione laddove il giornalista è ricattabile.
Uno
dei capitoli più spinosi, è appunto quello delle tariffe estremamente
diverse da testata a testata, per cui si può partire dai 2 euro al
pezzo, fino ai 50-70 lordi, fino ad un massimo di 120, per una media
aritmetica, che, secondo il coordinamento si aggira intorno ai 30 euro
lordi, fino ai compensi mensili forfettari.

Alle tariffe si
aggiunge poi il capitolo contrattuale con le sue varie atipicità (
“…cococo, cocopro, stage gratuiti, lavoro nero, borderò, partite Iva,
Frt, cessione dei diritti d’autore, contributi di solidarietà, tempo
determinato, indeterminato con facilità di licenziamento senza tutele né
indennità e con un preavviso di appena 30 giorni. Per non parlare degli
assurdi inquadramenti per “risparmiare” sul costo del lavoratore:
consulenti, autori, programmisti, assistenti, segretari e addetti alla
redazione…”) e nel mirino finisce immediatamente la Rai, con le sue
miriadi di consulenti, le partite IVA, i “contratti truffa” fino ad
arrivare alla forma peggiore di ricatto, per una donna… quella
clausola per la quale se rimani incinta l’azienda si riserva la
possibilità di interrompere qualsiasi forma di collaborazione.
Denuncia
che fa scattare immediato l’impegno da parte del senatore Vincenzo Vita
di porre la questione in commissione vigilanza Rai.

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