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Dal 2006 Lea Garofalo e la figlia senza i documenti di copertura

Di Marika Demaria il . Lombardia

Dal 9 febbraio, nell’ambito del processo Lea Garofalo si procederà all’interrogatorio dei teste chiamati dalle difese; con l’udienza di venerdì si concluderanno infatti le deposizioni fatte dai testimoni chiamati dal pubblico ministero Marcello Tatangelo. Il primo teste della giornata di venerdì 3 sarà il maresciallo capo Giulio Buttarelli della caserma di via Moscova a Milano, che ha già iniziato a deporre ieri, martedì 31 gennaio. Il teste ha – su impulso del pm – avviato una puntuale spiegazione atta a meglio comprendere i dati dei tabulati telefonici che avrebbe successivamente enunciato. «Quando parliamo di tabulati, intendiamo le registrazioni del traffico in entrata e in uscita della telefonia mobile e fissa.
 Le chiamate hanno un codice identificativo rispetto agli sms, ma dai tabulati non si evince il contenuto né degli uni né degli altri. Bisogna inoltre distinguere – ha precisato il maresciallo capo Buttarelli – tra messaggio di segreteria telefonica e messaggio di cortesia. La prima si attiva solo se è l’utilizzatore del telefonino a richiederlo, e compare sui tabulati solo nel caso in cui la persona che chiama lascia un messaggio in segreteria o quantomeno ascolta il messaggio introduttivo del servizio: questo perché si attiva un costo che deve essere contabilizzato dal gestore del chiamante. Il secondo invece è il messaggio che viene inviato dai vari operatori per avvisare il cliente che qualcuno lo ha cercato: questo report sui tabulati compare solo quando il telefonino viene riacceso, ma nel 2009 era un servizio fornito esclusivamente dalla Tim, così come nello stesso anno era solo la Wind che specificava – utilizzando due codici diversi – se si trattava di una telefonata o di un messaggio lasciato in segreteria». Infine, le cosiddette stazioni radio base, installate dai diversi gestori. 
«Le aree densamente popolate hanno celle ogni 300-400 metri per garantire la massima copertura, mentre quelle meno popolate hanno un numero minore di celle che copre anche fino ai 35 chilometri. Ogni gestore possiede le proprie, ma in alcuni territori (per esempio una piazza) può verificarsi una sovrapposizione di celle. In caso di particolari condizioni meteo avverse, può succedere che sia agganciata una cella limitrofa rispetto al reale posizionamento, ma si tratta di casi molto rari (non verificatosi, come ha riferito il maresciallo capo, nei giorni 24 e 25 novembre 2009 a Milano e in Lombardia più in generale, n.d.a.
Nelle prime ore dell’interrogatorio, si è provveduto ad analizzare gli specchietti relativi al cosiddetto “evento Campobasso”, tracciato dai tabulati riguardanti tutte le telefonate fatte e ricevute da Carlo Cosco, Massimo Sabatino e Vito “Sergio” Cosco dal 23 aprile al 6 maggio 2009. Questo perché sui tre pende anche il capo d’imputazione di tentato sequestro ed omicidio ai danni di Lea Garofalo, avvenuto a Campobasso il 5 maggio 2009. Dai tabulati sono emersi tantissimi contatti telefonici avvenuti tra Vito Cosco e Jessica Cristofori, convivente di Massimo Sabatino fino al momento del suo arresto (17 dicembre 2009) e che depose il 19 dicembre scorso, rispondendo in maniera vaga a molte domande dell’accusa, asserendo anche di non aver avuto contatti, nemmeno telefonici, con i Cosco. Un altro passaggio rilevante è quello relativo al 28 aprile, quando Sabatino e Carlo Cosco si sentono e successivamente si vedono, come dimostra la posizione dei rispettivi telefonini: entrambi avevano agganciato la cella della stessa zona di Termoli. Dal 29 aprile al 4 maggio il cellulare del primo risulterà sempre irraggiungibile; lo riaccenderà solo alle 17.29 del 5 maggio (l’aggressione, secondo la ricostruzione di Denise Cosco, avvenne intorno alle 9 del mattino), per poi spegnerlo e riaccenderlo nuovamente alle 20.35 della stessa giornata. Quello stesso giorno anche il cellulare di Carlo Cosco risulta essere spento, ma dai tabulati dei giorni precedenti si evince che l’imputato è ritornato a Petilia Policastro, dove risultava essere fino al 4 maggio, mentre il 6 sarà nuovamente a Campobasso.
Nel corso della prossima udienza si procederà ad analizzare “l’evento Milano” esaminando tutte le telefonate effettuate e ricevute dai sei imputati, da Denise Cosco e dalla madre Lea Garofalo. Ieri si è  invece conclusa la deposizione del maresciallo Christian Fabio Persuich, in servizio presso la caserma dei Carabinieri di via Moscova a Milano. Il militare, la sera del 25 novembre 2009, raccolse la denuncia di scomparsa di Lea Garofalo presentata dalla figlia Denise Cosco. Ieri in aula ha precisato alcuni aspetti delle sue dichiarazioni, così come era stato richiesto dalle difese nel corso dei due precedenti dibattimenti. In merito alla domanda posta dall’avvocato Daniele Sussman Steinberg, che chiedeva contezza circa i documenti di copertura di Lea Garofalo e della figlia, il maresciallo ha spiegato che «a Lea Garofalo fu, come prassi vuole, attribuita un’identità di copertura nel 2002, quando entrò nel programma di protezione. Si chiamava Alessandra De Rossi, la data di nascita – 4 aprile 1974 – corrispondeva invece a quella reale, ma a luglio del 2006, quando la giovane donna usci definitivamente dal programma, questi documenti furono bruciati. Al momento della scomparsa la donna non aveva dunque un nome fittizio, così come la figlia Denise Cosco». Il maresciallo Persuich ha inoltre spiegato che i fotogrammi delle telecamere utilizzati per i primi accertamenti sono relativi solo alle riprese effettuate dal sistema attivato dal Comune e non dalle telecamere dei negozianti della zona di corso Sempione, poiché le registrazioni di queste ultime rimangono in memoria massimo 72 ore (poi si incide nuovamente sullo stesso nastro), e «noi abbiamo impiegato circa 4 giorni per esaminare tutto il materiale ed individuare le immagini dalle quali partire».
Il fotogramma iniziale al quale fa riferimento il carabiniere è quello in cui si vedono due donne camminare fianco a fianco, diffuso dai media: Denise indossa un giubbotto bianco, Lea un altro uguale ma nero. Sono le 18.22 del 24 novembre 2009, alle 18.25 e 23 secondi arriva un Chrisler Voyager (in uso a Carlo Cosco) e dopo un minuto si vede che la ragazza non c’è più. Passano poco meno di due minuti: la telecamera restituisce l’immagine di Lea Garofalo che, alle 18.28 e 35 secondi passeggia lungo la via, fino a fermarsi davanti ad una vetrina fumando una sigaretta. Alle 18.37 e 39 secondi «ritorna lo stesso fuoristrada che si ferma nello stesso punto di prima; purtroppo le telecamere sono basculanti per cui non abbiamo l’immagine che ha fermato il momento in cui Lea Garofalo è salita sull’auto, ma dall’immagine successiva risulta che la donna non è più in corso Sempione. Abbiamo anche accertato – ha concluso il maresciallo Persuich – la distanza di percorrenza tra quel punto del corso e via Montello: 1 km e 300 metri, in auto si coprono in cinque minuti».
Controversa invece la deposizione del fioraio ambulante Pasquale Amodio, amico di Vito Cosco al punto da chiedergli di fare da padrino di cresima a suo figlio (e da intrattenersi amabilmente all’uscita dall’aula insieme ai parenti di alcuni imputati). La cerimonia avvenne il 24 aprile 2009: in quell’occasione l’imputato chiese al teste se conoscesse qualcuno che avesse la disponibilità di una casa nei pressi della località in cui si trovavano, a Polignano a Mare. Ecco la discordanza: ieri Amodio ha raccontato che «Cosco mi chiese una casa per le vacanze estive», ma durante il secondo interrogatorio reso presso la caserma dei Carabinieri rettificò quanto dichiarato la prima volta (e coincidente con la versione di ieri), spiegando che «Vito Cosco mi chiese una casa, non importa se mare o campagna, per l’immediato futuro». Per un’intera settimana, dal 27 aprile al
4 maggio 2009, i due si sentiranno telefonicamente ogni giorno, a dispetto delle 3-4 volte al mese registrate nei periodi precedenti: Amodio non ha però saputo fornire una spiegazione in merito a quest’anomalia. Così come il teste ha risposto in maniera evasiva alla domanda dell’accusa: «Ricorda se alla cerimonia fosse presente anche la moglie di Vito Cosco, Giuseppina Scalise? Ricorda se anche lei le fece la stessa richiesta per la casa».
 Il “non so” di risposta ha suscitato l’ilarità dei parenti degli imputati presenti in aula per seguire il dibattimento (con i quali il teste a fine deposizione si è amabilmente intrattenuto all’uscita dall’aula), e poco dopo Amodio si è corretto rispondendo: «Alla cresima c’era tutta la famiglia, ci sarà stata anche la moglie. Sì, perché anche lei mi ha chiesto della casa». 

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