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Edilizia e trasporti, così i boss hanno preso Reggio Emilia

Di Gaetano Liardo il . Emilia-Romagna

Chi sono i boss che operano a Reggio Emilia? Quali attività svolgono? Che misure sono state prese in esame per contrastarli? Per rispondere a queste domande occorre leggere la relazione che il Prefetto di Reggio Emilia, Antonella De Miro, ha consegnato alla Commissione antimafia nel settembre del 2010.

Un’analisi dettagliata sulla presenza delle organizzazioni criminali nella ricca città emiliana, nel periodo in cui sia a livello regionale che a livello nazionale le istituzioni si attivavano per un effettivo contrasto dei boss. I business e le azioni violenti, le frodi e le truffe, una presenza silenziosa ma al contempo minacciosa. L’azione della Prefettura di Reggio Emilia, bisogna sottolineare, è stata di particolare importanza nel monitorare le presenze criminali, lavorando a stretto contatto con le istituzioni locali, la Camera di commercio reggiana, le forze dell’ordine, la magistratura e le associazioni. Un metodo importante che ha consentito una ferma risposta all’avanzare delle mafie. Ma i problemi, purtroppo, continuano.

La ‘ndrangheta reggiana

A Reggio Emilia è la ‘ndrangheta a far da padrona. La città ha conosciuto nel tempo una forte migrazione dalla Calabria, in modo particolare dalla cittadina di Cutro, nel crotonese. Con i migranti, nella stragrande maggioranza persone arrivate in cerca di lavoro, sono arrivati anche i boss. E’ lo schema classico seguito dalle ‘ndrine calabresi che sfruttano i flussi migratori per allargare il raggio d’azione. La ‘ndrangheta: «si affaccia nella provincia allorché negli anni ’80 viene inviato al soggiorno obbligato nel comune di Quattro Castella il capo della ‘ndrina di Cutro, Antonio DRAGONE, persona di elevato spessore criminale, che ha determinato il successivo trasferimento in terra reggiana di un pericoloso aggregato delinquenziale che tende a riproporre i modelli criminali di tipo mafioso propri della regione di origine». Con Dragone arrivano i Grande Aracri, gli Arena, i Nicoscia, i Megna. Si stabiliscono nel reggiano e fanno affari. Le dinamiche di potere del crotonese si ripercuotono anche a Reggio Emilia, anche se con poco spargimento di sangue. Al nord conviene, per continuare gli affari, mantenere un basso profilo. Nel crotonese, invece, il sangue scorre, eccome. Nella relazione del Prefetto si legge che: «E’ una mafia attenta a non dare nell’occhio, a non manifestarsi in azioni delinquenziali che possono destare allarme sociale ed attirare così l’attenzione delle forze di polizia».

Negli anni ’90 una lunga faida contrappone i Grande Aracri e i Nicoscia, ai Dragone e agli Arena, che ne usciranno sconfitti. Nicolino Grande Aracri, detto “mano di gomma” consolida il suo potere a Crotone e, di conseguenza a Reggio Emilia. Grande Aracri e Nicoscia – scrive il Prefetto – danno ai loro sodali: «la possibilità di trovare in provincia di Reggio Emilia appoggi logistici ed economici durante la latitanza, di procurarsi armi e drenare danaro da imprese di corregionali “amiche” o comunque che conoscono o sanno ben riconoscere la forza intimidatrice dell’Organizzazione. Il collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese riferisce addirittura di ditte che hanno costituito come una sorta di “bancomat” per la ‘ndrangheta».

Business as usual

Le attività dove le ‘ndrine concentrano la loro attenzione nel reggiano sono l’edilizia e l’autotrasporto. L’obiettivo è quello di ripulire denaro sporco frutto di traffici illeciti, droga in primis, e di consolidare il proprio potere in tutto il territorio. Potere economico, ma anche sociale. Le numerose operazioni antimafia che hanno interessate la provincia di Reggio Emilia negli ultimi anni hanno offerto uno spaccato molto inquietante del potenziale criminale dei boss. Usura e estorsione, infiltrazione nei gangli vitali dell’economia reggiana. Ma anche, sorprendentemente, la richiesta di protezione da parte degli imprenditori. Non è soltanto il boss che cerca l’imprenditore per estorcergli denaro, ma è anche l’imprenditore a cercare il boss.

Favorire la ‘ndrangheta significa non avere problemi. Si legge nella relazione prefettizia che: «La cosca (Grande Aracri ndr) può contare sull’affidabilità di imprenditori vicini al sodalizio criminale e che in  passato si sono già prestati in favore della fazione dei DRAGONE, manifestando in tal modo la loro piena collaborazione con chiunque rappresenti, nel particolare momento della richiesta, l’ala vincente e ciò al fine di evitare eventuali negative ripercussioni sulle proprie attività». Inoltre, si legge ancora che: «Taluni imprenditori in particolare hanno posto in essere una consapevole condotta agevolativa di finanziamento del gruppo criminale beneficiando, a loro volta, della potenza criminale dell’Organizzazione per affermarsi nei settori economici di interesse, edilizia, movimento terra e autotrasporto».
Salvatore Cortese, boss della cosca Grande Aracri, arrestato nel 2007 e diventato collaboratore di Giustizia, spiega bene il meccanismo. Le dichiarazioni di Cortese, inserite all’interno dell’Ordinanza di custodia cautelare dell’operazione Pandora coordinata dalla Dda di Catanzaro, spiegano bene la situazione: «Come vi ho spiegato, per tutte queste cosche qua è un bancomat perché non c’è bisogno di fargli estorsione… là basta che mi presento io che sono Salvatore CORTESE, lui si mette a disposizione, e il minimo quando uno va là sono 10.000, 15.000 euro alla volta». L’imprenditore, naturalmente, ha il suo tornaconto. Nessun problema con la ‘ndrangheta, ma anche la possibilità di recuperare quanto versato tramite un giro di false fatture e di frodi sull’Iva. Un meccanismo sofisticato che mette in luce l’abilità dei boss nel muoversi con scioltezza nel mondo economico-finanziario.

La resistenza reggiana

A una minaccia così invasiva, arrivano delle importanti misure di contrasto. Le istituzioni si mobilitano e la Prefettura organizza tavoli di confronto e protocolli di legalità. L’obiettivo è di neutralizzare i due settori dove maggiore è l’influenza dei boss: edilizia e autotrasporti. Il monitoraggio costante degli appalti pubblici, con controlli estesi anche alle ditte sub-appaltatrici e a quelle operanti nell’indotto, dal movimento terra alla guardiania dei cantieri, dallo smaltimento degli inerti al trasporto dei materiali, etc. Un controllo rafforzato dall’impegno della Camera di Commercio reggiana che, grazie ai protocolli siglati con gli enti camerali di Modena, Crotone e Caltanissetta, mette a disposizione una visione dettagliata sulla composizione delle imprese che operano nel territorio. Chi sono i proprietari, dove sono le sedi legali, quali partecipazioni in altre società, etc. Lo stesso discorso vale anche sul campo dell’autotrasporto, con la creazione di uno specifico tavolo presso la Prefettura. Obiettivo, scovare le ditte dei boss, controllare chi ci lavora, se sono rispettati i diritti dei lavoratori, etc.

Risposte importante che negli ultimi due anni hanno fatto di Reggio Emilia una realtà importante nella resistenza civile ai boss, anche se la minaccia, purtroppo, è ancora difficile da debellare.

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