Bologna, i clan hanno raggiunto pax mafiosa su territorio
Anche a Bologna l’anno giudiziario si apre con il più che dovuta attenzione alla presenza della criminalità organizzata sul territorio. E soprattutto, alla pace silente raggiunta dalle cosche. Il procuratore generale di Bologna, Emilio Ledonne, lo suggella una volta per tutte: “Gli esiti dell’attività investigativa condotta dalla Dda dimostrano la presenza di organizzazioni criminali di tipo mafioso su gran parte del territorio dell’Emilia Romagna”. L’inaugurazione è l’occasione per spazzare via con la chiarezza mistificazioni depistatrici o assolutorie: “l’assenza di gravi episodi di violenza è la riprova di quella raggiunta pace mafiosa tra i diversi gruppi finalizzata a un’equa e incruenta spartizione dei territori e degli affari. D’altra parte – spiega il procuratore – sintomatico della tendenza a ricercare l’accordo e non lo scontro sono le modalità utilizzate da tempo dalle organizzazioni mafiose che hanno adottato il modello dell’associazione temporanea di imprese (Ati).”
È un fenomeno mascherato e che riguarda tutti, sia ben chiaro, dice in sostanza Ledonne. E che non ha confini territoriali tra le regioni, né all’interno di esse: “Si può affermare che quasi tutte le province sono interessate dal fenomeno criminale – ha sottolineato il pg, ricordando che c’è assoluta continuità con le origini dei clan insediati e radicati e le ricche cittadine emiliano romagnole. Ravenna, Rimini, Parma, Ferrara; rispettivamente catanesi, casalesi e calabresi. Estorsione, riciclaggio e soprattutto reimpiego di capitali illeciti, sono cosa nostra: cosa d’Emilia.
L’ insediamento si arma di strutture e percorsi ben diversi dal controllo del territorio attivo nel sud dello stivale, ed è tutto improntato a stabilirsi nell’imprenditoria e nella finanza, mondi da cui poi far perdere le proprie tracce: “appaiono chiaramente dimostrative nella volontà delle organizzazioni – conferma Ledonne – di insediarsi stabilmente nelle province dell’Emilia Romagna per acquisirne le più importanti attività economiche”. Motivo per cui tutte le forze di polizia giudiziaria “segnalano l’avvenuta penetrazione delle cosche nel circuito legale dell’economia e della finanza della regione”. E lontano dal folklorismo che ancora ci si aspetta dai bravi di Cosa nostra, Camorra e ‘Ndrangheta: “Ci troviamo in sostanza innanzi a una operatività silente senza episodi cruenti delle organizzazioni mafiose il che non vuol dire meno pericolosa”.
L’obiettivo delle cosche è ormai chiaro e suffragato da indagini, ma mai sufficientemente denunciato: “Investire in questa regione i profitti illeciti che sono tanti. Pulitura del denaro di illecita provenienza e reimpiego dello stesso in attività economiche altamente remunerative”. E l’Emilia Romagna con le sue oltre 450mila aziende, è terreno ideale. Checché ne dica il presidente di Confindustria Emilia Romagna, Gaetano Maccaferri. A cui l’ex giudice istruttore si riserva di dare una stoccata: “Sorprendono dichiarazioni attribuite a rappresentanti di istituzioni economiche locali secondo le quali, le infiltrazioni mafiose e il pericolo mafia non sono all’ordine del giorno in questa regione. Più o meno – affonda – la stessa cosa dicevano alcuni rappresentanti delle istituzioni tedesche alla fine degli anni ’90 quando erano convinti che la mafia fosse un problema solo italiano. Alcuni anni dopo avveniva la strage di Duisburg”.
Dunque: privilegiare le indagini patrimoniali, oltre che gli investimenti finanziari. Il giro d’affari di Mafia s.p.a, (secondo il rapporto di Confesercenti-Sos Impresa), si aggira a circa 140 miliardi di euro con una liquidità dell’organizzazione valutata in circa 65 miliardi. L’equivalente di tre finanziarie.
Un esempio fra tutti, l’ex viceprocuratore nazionale antimafia, ricorda l’esempio documentato e ormai a conoscenza di tutti dei progetti imprenditoriali da realizzare mediante l’impegno di fondi pubblici messi a disposizione dalla regione Emilia Romagna, dal gruppo che faceva capo al boss ‘ndrino Nicola Acri (latitante dal 2007 fino al giorno della sua cattura avvenuta proprio nel capoluogo emiliano nel novembre 2010 a seguito di un’operazione congiunta tra la Dda di Bologna e Catanzaro), residente sul territorio da una decina d’anni. Per non parlare del giro di prestanomi facente riferimento a Michele Zagaria, il “re del mattone emiliano”, che univa direttamente Reggio Emilia a Napoli, e che ha condotto all’arresto, tra gli altri, del boss dei casalesi e al sequestro di immobili per un valore pari a 50 milioni di euro. E la lista sarebbe lunga.
Infiltrazioni indagate a raccontate sin dagli anni ‘80 da Enzo Ciconte prima, e culminate nel libro di Giovanni Tizian (Gotica, Round Robin edizioni), nonché testimoniate dalla stessa risposta delle cosche che “non hanno avuto alcun timore di inviare in epoca molto recente massaggi intimidatori a magistrati del pm e giudici del distretto di Bologna nonché rappresentanti della stampa a beneficio dei quali sono state adottate le misure di protezione previste dalla legge”, ricorda il procuratore.
Il messaggio di Emilio Ledonne è cristallino: “occorre fare ciascuno nel proprio ruolo fronte comune innanzi a un pericolo che potrebbe minacciare tutti. Non si commetta l’errore di ritenere che gli interessi mafiosi siano altrove”.
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