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Processo Garofalo: «Lea si sentiva pedinata»

Di Marika Demaria il . Lombardia

«Quando ha rivisto Lea Garofalo, perché non le ha mai chiesto il motivo per il quale era sparita? Lei sapeva che suo fratello era a capo di una cosca di ‘ndrangheta dedita al traffico di droga? Suo fratello Floriano che cosa pensava del fatto che Lea aveva deciso di collaborare? Fu lui a far saltare in aria l’auto di sua sorella come bene arrabbiato perché lei aveva deciso di collaborare con le forze dell’ordine? Lei litigava con sua sorella? E Denise con lei e sua mamma, quindi sua nonna? E tra madre e figlia, quali erano i rapporti?». Queste alcune delle domande che Daniele Sussman Steinberg, difensore di Carlo Cosco, ha posto a Marisa Garofalo in sede di contro esame, nell’udienza di ieri, lunedì 23. A testimoniare dunque è stata chiamata la sorella della donna scomparsa tra il 24 e il 25 novembre 2009, la quale ha raccontato di non aver mai saputo che Lea Garofalo avesse deciso di collaborare, di non conoscere il contenuto delle dichiarazioni che ha rese ai Carabinieri, e che lei e la figlia Denise fossero entrate nel programma di protezione.

«Mia mamma (Santina Diletta, entrambe costituitesi parte civile e difese dall’avvocato Roberto D’Ippolito, n.d.a.) ed io capimmo la scelta che aveva fatto quando, nel 2006, andammo a trovarla: arrivammo a Pescara e le forze dell’ordine ci vennero a prelevare e ci condussero da Lea e da Denise. Sapevo però che era sfiduciata verso le istituzioni e le forze dell’ordine perché aveva visto che le sue dichiarazioni non avevano portato ad un processo. Mio fratello Floriano? Non so, so solo che si sapeva che non era uno stinco di santo». Marisa Garofalo ha raccontato che la sorella era triste, angosciata, sia per lei sia per la figlia, «con la quale aveva un rapporto bellissimo, come due amiche». Steinberg prosegue: «Nel 2000 sua sorella non abitava in Calabria, aveva un fidanzato e lavorava in un bar. Perché ha deciso di cambiare radicalmente la sua vita rendendo delle dichiarazioni alle forze dell’ordine che l’hanno poi inserita nel programma di protezione?».

Marisa Garofalo ha risposto di non sapere cosa avesse spinto la sorella verso questa scelta, che dopo il 2006, quando uscì dal sistema di sicurezza, le aveva chiesto dove fosse stata ma che lei non le aveva mai risposto, per una sorta di protezione nei loro confronti. Nega di aver mai ricevuto minacce da parte della famiglia Cosco e che, in sua presenza, sua sorella e sua nipote siano mai state vittime di aggressioni, intimidazioni o minacce da parte degli stessi. «Una volta incontrai Carlo Cosco al cimitero, sapevo che lui e Lea avevano litigato perché Lea non voleva che mia nipote andasse al mare con loro, Cosco era molto arrabbiato e mi disse “È sempre lei che vuole comandare”».

Nel lungo interrogatorio – iniziato alle 10 e terminato dopo quasi quattro ore, nettamente contraddistinto dalle domande delle difese – la donna ha anche ripercorso la giornata del 24 novembre 2009. «Sapevo che quella sera – ha raccontato al pm Marcello Tatangelo – sarebbe dovuta partire insieme a mia nipote da Milano, con il treno delle 23. Noi l’avevamo accompagnata il 20, quando da Petilia è partita per andare al processo a Firenze e poi a Milano. Noi eravamo preoccupati, non volevamo che partissero. Fino al 23 ci siamo sentite anche più volte al giorno: Lea mi aveva detto che domenica 22 si sarebbe incontrata con Carlo Cosco per parlare del futuro di Denise, e il giorno dopo si sarebbero rivisti tutti e tre insieme; mi aveva anche detto che lui le aveva chiesto cosa lei avesse confessato mentre era nel programma di protezione. Sapevo che alloggiavano in un albergo (si è poi scoperto che madre e figlia erano state registrate con le reali identità, n.d.a.) e che al pagamento della stanza provvedeva Carlo Cosco. Mia sorella aveva paura, si sentiva pedinata, io ero spaventata ma lei mi rassicurava dicendo che sarebbe tornata presto a casa».

Marisa Garofalo ha dichiarato che quel giorno, il 24 novembre, sua sorella provò a telefonarle verso le 18.30, «ma io mi trovavo a casa di un’amica dove il cellulare non prendeva. Subito dopo mia sorella ha chiamato anche mia figlia, ma nemmeno lei ha risposto. Sono tornata a casa e dalle 20 ho provato a chiamarla diverse volte, ma il telefono risultava irraggiungibile: era strano, mia sorella non lo spegneva mai. Non ho ricevuto degli sms e non li ho inviati, poi mi ha chiamata Denise chiedendomi se avessi sentito sua mamma, e mi ha raccontato che lei era andata a salutare gli zii, che sua mamma era andata via con Carlo Cosco e che non si trovava più». Su questo punto, le difese hanno chiesto se la testimone di giustizia abbia mai detto che, se Denise si fosse trasferita a Milano, lei se ne sarebbe andata da un’amica. «Mia sorella non si sarebbe mai separata da sua figlia, e comunque Denise doveva ancora finire le superiori. Lea l’avrebbe comunque seguita».

Il giorno dopo la scomparsa della sorella, Marisa chiamò nuovamente sua nipote. «Mi ha risposto Renée (Renata Plato, moglie di Giuseppe Cosco, n.d.a.) convinta che io fossi mia sorella, forse perché Denise aveva memorizzato il mio numero sotto “mamma”, non so….comunque ho chiesto perché mi rispondeva lei e non mia nipote e lei mi disse che Denise era lì con loro».

Dopo la scomparsa della madre, Denise tornò a Petilia, ad abitare dalla zia, «però resto fino alla primavera del 2010, poi decise di andare dal padre. Una volta mi disse “Nessuno si preoccupa di me”. Suo padre le faceva dei regali, ma lei voleva dell’affetto, pensava che suo padre fosse in un certo modo e invece è rimasta delusa. Nel frattempo, avevo scoperto della simpatia tra lei e Carmine Venturino: insieme hanno anche preso in gestione una pizzeria».

«Denise le disse perché nel 2010 andò a vivere da suo padre?». Alla domanda del presidente della Corte Anna Introini, Marisa Garofalo ha risposto: «Per stare con i suoi cugini, e forse anche perché io le avevo imposto delle regole come rientrare entro mezzanotte o dirmi con chi usciva».

Le difese hanno infine posto l’accento sullo stato di salute di Lea Garofalo e sulla sua eventuale volontà di emigrare in Australia. Da alcune intercettazioni di telefonate intercorse tra Marisa Garofalo e sua cugina Lilli, infatti, si evince che la prima era preoccupata per la sorella fuori di testa. «L’ho detto in tono scherzoso – ha precisato la teste – mia sorella non soffriva di alcuna patologia, non prendeva psicofarmaci. Non era serena, ma era comprensibile considerata la situazione». La giovane donna non ha mai saputo se Lea Garofalo volesse effettivamente espatriare.

L’udienza è poi proseguita con la deposizione (che si concluderà nel corso dell’udienza di venerdì 27) del maresciallo Christian Fabio Persuich, che ha condotto le indagini subito dopo la scomparsa di Lea Garofalo. Clicca qui per leggere la seconda parte dell’articolo (la testimonianza del maresciallo Persuich)

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