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Processo Garofalo: agli atti l’inchiesta giornalistica sulla ‘ndrangheta a Milano

Di Marika Demaria il . Lombardia

L’udienza di venerdì  20 del processo Lea Garofalo si è chiusa con un ampio dibattito circa l’acquisizione di materiale giornalistico prodotto dall’avvocato Maria Rosa Sala, difensore di parte civile del Comune di Milano. L’avvocato ha chiesto alla Corte, in base all’articolo 234 del codice penale, di acquisire una video inchiesta realizzata dal «Corriere.it» inerente alla presenza della ‘ndrangheta a Milano. Nello specifico, il materiale (supportato da una rassegna stampa cartacea) evidenziava gli affari della famiglia Cosco in via Montello 6, a Milano.
Le difese degli imputati si sono opposte compatte alla richiesta. L’avvocato Daniele Sussman Steinberg ha motivato questa presa di posizione asserendo che «la documentazione non è relativa a fatti oggettivi, ma si tratta di suggestioni, opinioni dei giornalisti che inficerebbero la serenità della Corte, chiamata a esprimersi su un caso così delicato che comunque sta avendo un’eco mediatica non indifferente a discapito degli imputati. Il materiale giornalistico non può quindi essere assunto per comprovare un danno di immagine del Comune, ai sensi dell’articolo 185».
Il pm Marcello Tatangelo ha specificato che, pur essendo perplesso all’inizio del processo circa la costituzione di parte civile del Comune milanese, intende «far notare che produzione analoga ma relativa al 2009 è stata messa agli atti senza che le difese si siano opposte. Faccio inoltre presente che diversi teste, nel corso delle udienze, hanno dichiarato di essere venuti a conoscenza della sparizione di Lea Garofalo proprio attraverso i giornali».
La Corte ha accolto la richiesta dell’avvocato Maria Rosa Sala poiché «la rassegna stampa attesta fatti storici, oltre ad informazioni pertinenti alla domanda risarcitoria». Nel corso di una delle precedenti udienze era stata riascoltata il comandante del nucleo operativo dei Carabinieri di Campobasso Francesca Ferrucci, la quale aveva riferito alcuni fatti raccontatele dal maresciallo Michele Caputo, in forze presso detta caserma già prima dell’insediamento del comandante Ferrucci. Alla luce di questo, le difese avevano richiesto, in base all’articolo 195 che disciplina la testimonianza indiretta, di ascoltare lo stesso Caputo. Venerdì quest’ultimo ha confermato di aver preso parte all’arresto di Carlo Cosco nel febbraio 2010. L’avvocato Sussman Steinberg ha espressamente chiesto se all’arrivo in caserma del suo assistito fosse presente anche la figlia Denise e se avesse consegnato una lettera al padre. Il militare ha risposto negativamente.
L’articolo 195 è stato nuovamente richiamato in merito alla testimonianza di Salvatore Cappa, il quale ha raccontato di essere amico di Gaetano Crivaro, proprietario di un magazzino all’interno del quale Carmine Venturino aveva parcheggiata la propria Fiat Coupé, incidentata. La difesa si era opposta all’interrogatorio portato avanti dal pm in quanto «il Crivaro, convocato la scorsa udienza, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Le domande del pubblico ministero sono mirate a conoscere la sua posizione e dunque sono inutilizzabili». Istanza rigettata.
Cappa ha dunque raccontato di aver accompagnato Crivaro in caserma per deporre davanti ai Carabinieri, in merito alla sparizione di Lea Garofalo. «Gaetano mi aveva raccontato che un giorno aveva ricevuto una telefonata di Sergio Cosco che gli chiedeva di incontrarlo per un preventivo di lavori edili. L’appuntamento era a Cormano al Mc Donald’s, ma al posto di Cosco si presentò un ragazzo che mesi prima aveva lasciato la propria auto nel magazzino di Crivaro. Il giorno dopo Marino, che ha un magazzino vicino a quello di Gaetano (e che ha deposto durante l’udienza del 16 gennaio, n.d.a.), ha consegnato le chiavi a questo ragazzo».
Lunedì 23 si tornerà  in aula. A deporre anche Marisa Garofalo, sorella di Lea.

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