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Gela, arrestato presunto capo di Cosa nostra

Di Rosario Cauchi il . Sicilia

Era ancora in libertà  il presunto capo del gruppo di Cosa Nostra a Gela. Il trentaduenne Massimo Gerbino, infatti, è stato bloccato perché ritenuto l’attuale reggente della famiglia mafiosa in città. Pluripregiudicato, venne arrestato lo scorso anno nell’ambito della maxi operazione “Tetragona” estesasi fino a travolgere i capi dei gruppi mafiosi gelesi al nord. Stando ai magistrati della Dda di Caltanissetta, coadiuvati dagli agenti della mobile di Caltanissetta e da quelli del commissariato di Gela, dopo la scarcerazione: Gerbino avrebbe preso di mira un imprenditore metalmeccanico. Avrebbe preteso il pagamento di 3 mila euro.

La resistenza della sua vittima lo avrebbe condotto a recapitargli alcuni, inequivocabili, messaggi. Nel settembre di due anni fa, la porta d’ingresso degli uffici dell’impresa gestita dall’obiettivo di Gerbino venne cosparsa di benzina: a pochi metri di distanza, inoltre, vennero ritrovati una bottiglia colma di benzina e una confezione di fiammiferi. Ma non era finita: qualche giorno dopo, venne presa di mira l’auto della cognata dell’imprenditore.

Il vetro di uno degli sportelli venne spaccato e, su uno dei sedili, venne lasciata un’ascia. Gli investigatori ritengono che entrambi gli episodi siano stati commessi proprio da quello che viene descritto come il nuovo capo di Cosa Nostra gelese. La sua scalata al vertice, stando alle indagini, sarebbe stata agevolata dai vuoti creatisi nell’organigramma locale dell’organizzazione.

Attualmente, Massimo Gerbino era in libertà e, in questo modo, avrebbe avuto maggiore facilità  nel gestire i suoi affari e quelli della famiglia. Ma le indagini si sono spinte oltre. Gli inquirenti, infatti, ritengono di aver dato un volto agli stiddari che avrebbero decretato la morte del ventiseienne Daniele Martines: scomparso da Gela nell’aprile del 1998. Il giovane sarebbe stato ucciso da un commando del quale avrebbe fatto parte il trentatreenne Giuseppe Maniscalco. Martines, già all’epoca, gravitava negli ambienti della malavita gelese. Era molto vicino ai fratelli Massimiliano e Francesco Trubia, assassinati da un gruppo di sicari.

Sulla testa del ragazzo gravava una condanna a morte anticipata. Quando si avvicinò alle famiglie di Cosa Nostra, sarebbe stato preso di mira dal boss Emanuele Argenti che lo considerava l’autore, insieme ai due fratelli Trubia, del furto dell’auto della moglie. Scampò alla vendetta solo perchè, intanto, si era avvicinato al gruppo della Stidda: Argenti avrebbe bloccato l’ordine di ucciderlo per evitare un altro conflitto con i  rivali.

Ma, stando agli investigatori, la morte lo avrebbe ugualmente raggiunto, deliberata, questa volta, proprio dagli stiddari. La sua condotta fin troppo indipendente ne avrebbe decretato la fine. Ad ordinarne l’uccisione, emerge dalle indagini, sarebbero stati Salvatore Nicastro e Gaetano Azzolina, ai vertici della Stidda gelese. Un ordine d’arresto li ha raggiunti in carcere. Ad accompagnarlo verso la morte, la sera dell’8 aprile di quattordici anni fa, sarebbe stato Giuseppe Maniscalco.

Indicazioni fondamentali, in questo senso, sono state fornite agli inquirenti dai collaboratori di giustizia Salvatore e Rosario Trubia. Proprio quest’ultimo, ha raccontato ai magistrati di aver visto, quella sera, Daniele Martines allontanarsi a bordo di un motorino guidato da Giuseppe Maniscalco che, poco prima, aveva fatto scendere Gaetano Azzolina davanti alla stazione dei carabinieri di Gela. La responsabilità dei tre stiddari nell’uccisione di Martines è stata ribadita da altri collaboratori di giustizia fuoriusciti dai gruppi mafiosi gelesi. Gli inquirenti, però, ritengono che strategica, in questo senso, sia la figura del trentatreenne Giuseppe Maniscalco. Stando alle analisi da loro condotte, infatti, non si esclude che proprio l’uomo, già detenuto, sia stato l’autore di un altro omicidio: quello del giovane Angelo Legname, scomparso da Gela qualche tempo dopo che si persero le notizie di Daniele Martines.

Secondo i collaboratori di giustizia, all’interno della famiglia stiddara era in atto una fase di pulizia tesa ad eliminare gli affiliati che ne avrebbero danneggiato gli affari. Dai verbali d’indagine, emerge che Angelo Legname sarebbe stato ucciso per alcuni sgarri nel mercato locale della droga. Alla luce delle scoperte effettuate dagli investigatori sulle sorti di Daniele Martines, ad ottobre sono stati ordinati alcuni scavi nell’area rurale di contrada Bulala a Gela. Si riteneva che proprio in quella zona fossero stati seppelliti i resti del giovane: nulla, però, è stato trovato. L’indagine “Monitus”, così, ha contribuito a fare maggiore chiarezza sul presente e sul passato della mafia gelese

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