Le mani della criminalità sulle imprese
La crisi, si sa, colpisce tutti. O quasi. L’unica azienda italiana in crescita è Mafia Spa. Una multinazionale con un fatturato stimato in 140 miliardi di euro l’anno, e un utile di 100 miliardi di euro, al netto degli investimenti e degli accantonamenti. La grande holding mafiosa ha a disposizione 65 miliardi di euro di liquidità e si presenta come l’unica azienda al momento capace di fare investimenti. Nel solo comparto commerciale, quello che incide sul mondo delle piccole e medie imprese, il fatturato mafioso si aggira attorno ai 100 miliardi di euro. Una cifra astronomica pari al 7% del Pil italiano.
Tantissimi soldi in grado di infettare l’economia legale del nostro paese. Drogando le regole del libero mercato dal nord al sud della Penisola. Questi i dati, allarmanti, presenti nel XIII rapporto di Sos Impresa, la rete nata da Confsercenti per analizzare le dinamiche mafiose che colpiscono le piccole e medie imprese, aiutando e sostenendo commercianti e imprenditori. «Le imprese – si legge nel rapporto – subiscono 1300 reati al giorno, praticamente 50 l’ora, quasi un reato ogni minuto». Inoltre: «Sono oltre un milione gli imprenditori vittime di un qualche reato, ovvero un quinto degli attivi». Duecentomila nell’ultimo anno sono stati gli imprenditori e commercianti vittime dell’usura, 160.000 del racket, 90.000 hanno subito furti e rapine, 500.000 truffe e 15.000 sono stati colpiti dal contrabbando. Tutti reati che arricchiscono le mafie e impoveriscono chi lavora onestamente.
Dal rapporto, tuttavia, emergono altri dati allarmanti. Primo fra tutti, la grande disponibilità di denaro liquido dei boss fa gola a molti. Alcuni settori dell’imprenditoria e della finanza preferiscono scendere a patti con le cosche, trasformandosi in complici e collusi, per intercettare parte della loro ricchezza. Un trend negativo facilmente riscontrabile nelle realtà dell’Italia settentrionale. In Emilia Romagna, così come in Lombardia, si registra la tendenza a quella che Sos Impresa chiama “collusione partecipata”. Questa garantisce opportunità per entrambe le parti coinvolte. Il boss ottiene consulenza tecnica per riciclare e reinvestire i capitali sporchi. L’imprenditore, dal canto suo, la conquista di fette di mercato dove opera in condizioni di monopolio, con maggiore competitività (sic!) e minore conflittualità sindacale nei posti di lavoro. Una dinamica che mette seriamente in discussione la libertà del mercato, la libera concorrenza tra attori diversi, che influisce sulla riduzione dei prezzi finali, e il rispetto delle regole in ambito lavorativo.
Sos Impresa calcola che il mancato rispetto di queste condizioni provochi l’aumento del 30% sul costo del prodotto finito. Un’ulteriore tassa che ogni cittadino è costretto a pagare.
Se il riciclaggio è da sempre il modo in cui i boss si impadroniscono di fette consistenti di mercato, un fenomeno nuovo si è innescato a causa della crisi: l’usura mafiosa. Le organizzazioni criminali hanno sempre disprezzato la pratica usuraia, lasciandola storicamente gestire dai cravattari di quartiere. Negli ultimi anni, invece, l’usura è diventata uno strumento utile per moltiplicare i capitali e per impadronirsi di imprese e attività commerciali. I boss sono entrati in questo nuovo “business” perchè la crisi ha costretto le vittime a chiedere prestiti molto elevati per far fronte alle scadenze. Tanti soldi, che solo le cosche dispongono a quantità illimitata, e la capacità di riscuotere con certezza quanto dovuto.
Inoltre, sottolinea Sos Impresa, il boss non impone tassi usurai particolarmente elevati. Le mafie, soprattutto i clan camorristi, hanno l’interesse a: «Offrire un servizio funzionale, per accrescere il consenso sociale, per continuare ad affermare un criterio di sovranità nei luoghi in cui si agisce». Inoltre, si legge nel rapporto, l’usura: «Svolge una funzione alternativa al riciclaggio».
Dati allarmanti questi, che rischiano di acuirsi ulteriormente nel 2012, l’anno della prevista recessione europea.
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