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La Chiesa parli chiaro contro le mafie

A cura di Don Tonino Palmese* il . Campania

Spesso, i mafiosi ostentano e convivono con simboli religiosi e usano linguaggi propri della fede. Di fronte ad espressioni cultuali e culturali è necessario chiederci come è stato possibile nel tempo, che persone dedite alla morte e alla violenza, abbiano potuto conciliare il senso di Dio con il crimine. Quando ci si trova davanti a questa schizofrenia della fede e dell’agire, la Chiesa non solo non può tacere, ma deve rivisitare il suo impegno di evangelizzazione e di testimonianza della carità. È necessario che si consideri tale fenomeno prendendo in esame due facce della stessa medaglia: la fede (l’immagine di Dio) e la Chiesa (nel senso del suo ruolo in terra di mafia). L’immagine distorta giunta ai mafiosi di Dio consiste nel considerare l’onnipotenza di Dio come una super forza fine a se stessa, con l’esercizio di una signoria da parte dell’onnipotente sulla pelle e la libertà della creatura. L’Onnipotenza del Dio di Gesù si visibilizza invece, attraverso sembianze di “debolezza, vulnerabilità ed empatia” (J.B. Metz). Il volto di Dio è compassionevole ed esige giustizia da tutti e per tutti. Per quanto riguarda il ruolo della Chiesa, in territori martirizzati dalla criminalità, sono da ricordare le parole che i vescovi italiani hanno consegnato alla comunità attraverso il documento dedicato al Mezzogiorno (2010): “Torniamo, perciò, a condannare con forza una delle sue (il Mezzogiorno) piaghe più profonde e durature – un vero e proprio <cancro>” e riflettendo sul rapporto che intercorre tra mafiosi e religiosità, i vescovi con forza dicono “in questa prospettiva, non possono essere semplicisticamente interpretate come espressione di una religiosità distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione: le mafie sono strutture di peccato”. Affermazioni come queste devono perciò trovare una comunità ecclesiale che faccia dell’annuncio del vangelo un vero e proprio momento di promemoria dell’Amore di Dio e allo stesso tempo di denuncia di tutto ciò che ci vede anche minimamente vicini alle mafie. Dobbiamo ricordare a noi cristiani e ai mafiosi che lo stesso perdono di Dio passa attraverso la riparazione del danno commesso. Zaccheo, uomo corrotto, dopo l’incontro con Gesù, sul piano legale e della giustizia restituisce quattro volte tanto ciò che ha rubato e sul piano ascetico, dona la metà dei suoi averi ai poveri.

In queste ore ogni forma di silenzio, potrebbe risultare paura o peggio ancora collusione. Perciò, anche la Chiesa deve parlare e dire con chiarezza (parresia) la sua denuncia verso il crimine e i criminali, prima che qualcuno si possa convincere che oltre a non poter fare nulla per il riscatto della propria terra, potrebbe addirittura conciliare la fede con la “simpatia” verso le mafie. In queste ore la Chiesa di Napoli, attraverso la voce del suo Vescovo ha ricordato che la camorra è un cancro che umilia e produce morte. Nelle prossime ore la stessa chiesa che parla, aprirà le porte (e le terre) a giovani che nell’artigianato potranno riscattare la loro esistenza attraverso la nobiltà del lavoro. Insomma parlare chiaro e agire per la dignità della vita umana, questa è la lotta dei cristiani.

Spero pertanto che a Casal di Principe, Casapesenna e in tutta la zona si possano sostituire i nomi dei mafiosi che hanno affermato il terrore e la morte, con i nomi di tutti quelli che stanno riconvertendo il segno del potere delle mafie nel potere dei segni della solidarietà e della giustizia. Un nome per tutti: Don Peppe Diana.
 

* referente di Libera in Campania

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