Il boss è povero e lo Stato gli paga (forse) l’avvocato
Il “solito” Vincenzo Virga. Il capo mafia di Trapani che non fa mai una smorfia. Anzi una smorfia di sorpresa la fece la notte del 21 febbraio di 10 anni addietro, quando i poliziotti della Squadra Mobile di Trapani, il pool dell’allora capo della Mobile, Giuseppe Linares, lo snidarono nelle campagne del suo “regno” quello di Fulgatore, appena sotto la montagna di Erice. Era nascosto a casa di un operaio, una sorta di fattoria, in contrada Baglio Nuovo. Era servito e riverito, lui contraccambiava, anche in denaro, o ancora oggetti preziosi (che arrivavano dalla sua gioielleria), regali in particolar modo la moglie del padrone di casa (che dopo la scarcerazione, avendo letto alcuni verbali chiese la separazione dalla consorte), quando vide entrare i poliziotti nella sua stanza accomodatosi dalla poltrona dov’era alla sedia del tavolo della cucina si rivolse a loro con un “mah”, quasi che lui non era quello che cercavano. Interrogato per la prima volta disse che non sapeva cos’era la mafia e quasi che non gli importava nulla se nel frattempo, durante la sua latitanza, che durava dal 1994, i suoi figli, Francesco e Pietro, di fatto erano diventati i suoi alter ego.
Il “solito” Vincenzo Virga. Oggi risulta nullatenente e imputato nel processo per il delitto di Mauro Rostagno, accusato di essere stato il mandante, ha chiesto alla Corte di Assise di usufruire del gratuito patrocinio, insomma deve essere lo Stato a pagargli i difensori che lui ha incaricato, Giuseppe Ingrassia di Trapani e Stefano Vezzadini di Parma: il boss condannato già a una serie di ergastoli in via definitiva, detenuto a Parma, sottoposto al 41 bis segue le udienze del processo in video conferenza, sempre seduto su una sedia vicino alle cabine da dove può colloquiare riservatamente con il suo avvocato a Trapani, puntualmente braccia conserte, mai una dichiarazione, mai un movimento.
Risulta nullatenente come negli anni in cui era latitante. Le forze dell’ordine lo cercavano e lui tranquillamente riscuoteva la sua pensione da coltivatore diretto. L’Inps pagava un latitante ma non è una novità. Solo che quando Polizia e Guardia di Finanza cominciarono a fare accertamenti trovarono un portafoglio per 7miliardi di vecchie lire, denaro liquido e quote societarie, le mani negli affari più importanti della città, dal cemento alla grande distribuzione, dai rifiuti ai servizi di trasporto, partecipazione societarie ovunque, e Virga così da latitante continuava a vivere ossequiato da tutti. Sedeva ai tavolini con imprese e politici e spartiva voti e appalti.
Tutto questo accadeva mentre magistratura e forze dell’ordine credevano che il capo mafia si chiamasse ancora Totò Minore, cercavano lui e non a Vincenzo Virga che sino al 1994 non si sapeva nemmeno chi fosse. O almeno tanti sapevano ma si guardavano bene dal rompere il “segreto”. Totò Minore veniva cercato quando già nel novembre del 1982 era stato ucciso a Partanna Mondello, durante un summit di morte deciso da Totò Riina. Virga per volontà di Riina e Provenzano ne prese subito il posto. Tutti sapevano che a comandare era ancora Minore. Alcuni pentiti sentiti già nel processo Rostagno hanno spiegato che il delitto avvenne a Trapani anche perché le colpe sarebbero state ricondotte a Minore (che non c’era più), ma forse tra i pochi che sospettavano che Minore fosse morto e che Virga gli era succeduto poteva esserci proprio Mauro Rostagno: c’è un foglio trovato tra i suoi appunti, un elenco di nomi, anche quello di Totò Minore, però sbarrato. Erano gli anni in cui la mafia cambiava pelle. Riina si preoccupava di togliere di mezzo le “spine” (i nemici, ovunque fossero), Provenzano cominciava ad occuparsi di grandi appalti e Virga è quello che lo affianca subito. A Trapani sono gli anni in cui si costruisce l’impianto di riciclaggio di contrada Belvedere e il dissalatore di contrada Nubia. A Belvedere ci saranno i mezzi di Virga e gli operai del boss.
A Nubia scattano le estorsioni delle quali si occupa direttamente il figlio di Virga, Francesco. La consegna del “pizzo” avviene solitamente all’interno della Calcestruzzi Ericina, l’azienda che resterà in mano a Vincenzo Virga anche mentre lui è latitante e anche nel primo periodo in cui viene sequestrata. Poi quando il gioco fu scoperto e arrivarono altri amministratori, le commesse di colpo sparirono e gli imprenditori, anche quelli più “puliti” del circondario sapevano che lì il cemento per le loro palazzine in costruzione non dovevano più andare a comprarlo. Non era più “cosa” del boss. Oggi, come dicevamo, il padrino si dichiara ‘nullatenente’ e lo Stato gli paga l’avvocato. “Sono senza parole” scrive Maddalena Rostagno, la figlia del giornalista-sociologo assassinato nel 1988, che proprio per ragioni economiche spesso non puo’ assistere al dibattimento nel quale si e’ costituita parte civile.
SCANDALOSO – “E’ scandaloso”, commenta il senatore del Pd Beppe Lumia, componente della Commissione antimafia, il quale ricorda che ‘spesso le istituzioni non riconoscono, per mancanza di risorse o a causa di inefficienze burocratiche, rimborsi e risarcimenti alle vittime di mafia’. Virga, gia’ condannato a vari ergastoli, ha chiesto il gratuito patrocinio perche’ sostiene di essere quasi ridotto in uno stato di indigenza in seguito alla confisca del patrimonio.
LA LEGGE – La legge prevede che sia l’erario a pagare la difesa quando l’imputato dimostra di avere un reddito inferiore a 9 mila euro l’anno. Il gratuito patrocinio viene concesso dal giudice titolare del procedimento e solo al momento in cui il legale chiede la liquidazione della parcella scattano i controlli dell’Agenzia delle entrate. E’ gia’ accaduto altre volte con personaggi mafiosi di rilievo. E con esiti differenti. Il boss Giuseppe Graviano, condannato per l’uccisione di padre Pino Puglisi e ora accusato nel processo di revisione di avere organizzato l’attentato al giudice Paolo Borsellino, e’ stato condannato a un anno e 8 mesi per essersi finto ‘povero’ ottenendo il gratuito patrocinio per due processi.
IL CONDANNATO – Per un boss condannato ce n’e’ uno assolto. E anche lui non e’ una figura secondaria di Cosa nostra trattandosi di Leoluca Bagarella, cognato di Toto’ Riina. Nel 2004 aveva chiesto allo Stato di pagare il suo avvocato perche’, sosteneva, non aveva ne’ redditi ne’ beni. ‘Tutto – ha sostenuto il suo legale, Giovanni Anania – gli e’ stato confiscato, anche alcuni regali di nozze’. A Nino Madonia l’assistenza gratuita venne revocata quando si accerto’ che in carcere indossava abiti ‘griffati’. Nel caso di Virga e’ stata la Corte d’assise di Trapani, davanti alla quale si celebra il processo Rostagno, ad ammetterlo al gratuito patrocinio mentre l’Agenzia delle entrate deve ancora dare il suo giudizio definitivo.
Il 41 bis tolto. Le sorprese nel processo per il delitto Rostagno non si fermano al solo imputato Virga. Ce ne è una che è relativa all’altro imputato, anche lui, come Vincenzo Virga, mafioso conclamato, condannato all’ergastolo per una serie di delitti. L’ultimo che ha commesso, quello del 23 dicembre 1995, quando ammazzò sotto gli occhi della moglie, Liliana Riccobene, e della figlia di appena pochi mesi, l’agente penitenziario Giuseppe Montalto. Sparò senza sbagliare bersaglio, colpì il solo Montalto, vittima predestinata. La morte di Montalto era il regalo di Natale dei boss liberi per quelli detenuti al 41 bis, i mafiosi furono intercettati a sentire dire che con quella morte dietro le sbarre si erano potuti fare un Natale diverso. Vito Mazzara restò poco al 41 bis dopo l’arresto, mentre lui era al ca
rcere duro, i suoi com0lici liberi andavano dicendo di essere preoccupati.
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Si adoperavano perché a Vito e alla sua famiglia non mancasse mai nulla, così da evitare un eventuale pentimento: “Se Vito si pente è un pericolo perché lui è un pezzo di storia”. Addirittura pensavano ad organizzare una sua evasione dal carcere. Poi Vito Mazzara è uscito dal 41 bis, non è più da anni al carcere duro, segue nell’aula del Tribunale il processo che lo riguarda, presunto esecutore del delitto Rostagno, ha così ottenuto il trasferimento dal carcere di Biella a quello di Trapani. A Valderice la moglie da anni gestisce una gioielleria (tradizione dei mafiosi conclamati a quanto pare, anche Virga, la moglie, ne aveva una), la sua inaugurazione avvenne il 19 luglio del 1992.
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