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Salemi, la città dove la verità non è di casa

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Masseria Vecchia è una zona di campagna, territorio a vocazione agricola, vigneti, qualche uliveto, molto seminativo, grano. Si trova a “cavallo” tra l’agro di Trapani, Montagna Grande, e quello di Salemi, appena sotto le contrade Ulmi e San Ciro. Da Trapani la si raggiunge percorrendo la provinciale 29 che d’inverno spesso diventa un pantano. Il paesaggio è quello caratteristico, tipico della campagna siciliana. In contrada Masseria Vecchia sono diversi i bagli presenti, segnano il ricordo della vitalità lavorativa che qui c’era un tempo, ma che adesso è sparita, inghiottita dalla modernità dei tempi che hanno portato un futuro carico però di molta crisi. La modernità almeno qui, in questa parte di Sicilia non è stata foriera di molte belle cose. Da qui si continua ad emigrare. Da qui soprattutto è difficile estirpare quella mala pianta della mafia, la cui presenza non è certo convinzione di tutti. E il “tutti” è rivolto essenzialmente a chi ha pubbliche responsabilità, come possono essere, per esempio, i sindaci. Uno fra tutti il critico d’arte Vittorio Sgarbi, sindaco di Salemi, che per il fatto di essere uno “famoso”, magari capace di inventare sempre nuovi modi per la sua presenza mediatica, è fra quelli che meglio fa sentire la propria voce in proposito. Sgarbi a Salemi è giunto grazie alla “chiamata” di un ex deputato regionale, tale Pino Giammarinaro, assolto da accuse di mafia, ma che è finito presto sorvegliato speciale e adesso una nuova indagine ha rivelato che proprio nel periodo in cui era un sorvegliato speciale, ha avuto modo e maniera di accrescere il suo potere, e le sue proprietà, si tantissimo occupato di sanità, e di come controllare la macchina burocratica, e frattanto di scegliere i sindaci per il suo paese, Salemi, per l’appunto, e Sgarbi è l’ultimo tra quelli che ha ricevuto la “chiamata”. Una nuova richiesta di applicazione della sorveglianza speciale, stavolta con sequestro di un patrimonio valutato nell’ordine dei 35 milioni di euro.

Cosa c’entra Masseria Vecchia di Salemi con Sgarbi e Giammarinaro? E con la mafia? In contrada Masseria Vecchia c’è un terreno, 70 ettari, appartenuti ad un narcotraficcante mafioso Salvatore Miceli, nipote di un vecchio capo mafia e per eredità diventato anche lui tale. Miceli era così importante da potersi permettere di parlare senza tanti vincoli del capo della cupola siciliana, Bernardo Provenzano, e fargli avere i suoi “consigli” attraverso il geometra palermitano Pino Lipari. Luogo d’incontro spesso San Vito Lo Capo, dove “Binnu” ogni tanto sarebbe andato a trascorrere le ferie al mare. Questo terreno, quello di Masseria Vecchia, è stato confiscato a Miceli, dopo un lungo iter cominciato negli anni ’80 e concluso con la confisca a metà degli anni 2000. Il terreno è in parte coltivato a vigneto, poi c’è seminativo di diverso genere, un laghetto, nemmeno tanto laghetto, per la raccolta delle acque ad uso irriguo, un antico baglio. Questo terreno dal gennaio 2007 è assegnato al Comune di Salemi perché doveva essere il Comune a provvedere al successivo affido in gestione, adesso è tornato nella piena disponibilità dello Stato: il Comune di Salemi non lo ha mai dato in gestione e l’agenzia nazionale per i beni confiscati ha decretato la revoca dell’assegnazione riprendendosi questo bene. Il sindaco Sgarbi bravo com’è è riuscito a rivoltare la frittata, plaudendo all’iniziativa dell’agenzia e dimenticando che lui da sindaco aveva fallito, o almeno facendo risultare una vittoria il fallimento, come se l’intervento dell’agenzia risulti positivo, in qualche modo, rispetto all’obiettivo finale, del riuso del bene. Sarà anche così, ma di quel terreno era il Comune a doversene occupare. E il sindaco Sgarbi lo sapeva molto bene, tanto che fresco di insediamento andò a fare un sopralluogo, tanto che in una telefonata finita intercettata (nel periodo in cui la Polizia era tornata  indagare sull’on. Gioammarinaro)  riuscito  a trovare Sgarbi è stato sentito parlare con piglio fermo della gestione di quel terreno, e in un giorno in cui ne parlava con un assessore a chi doveva andare, una cosa il sindaco Sgarbi la disse con certezza, “a quelli di don Ciotti no”, come dire, a quelli dell’associazione Libera non doveva andare, e questo perchè l’associazione Slow Food contattata dal Comune per assumere la gestione di quel terreno, aveva detto che sarebbe stata disposta a farlo se ci fosse stata anche Libera. In quella telefonata e chiacchierata intercettata si sente anche dire di quel’era l’indirizzio dell’on. Giammarinaro, che era quello di dare il terreno ad una associazione che si occupa di disabili, l’Aias, ma questo perché, si è scoperto,. Giammarinato e il presidente dell’Aias, un certo Lo Trovato, sono buoni, ottimi amici.

Non si fece nulla nemmeno di questa assegnazione e il terreno è rimasto inutilizzato certamente con la piena soddisfazione di don Totò Miceli che nel frattempo si trova nelle patrie galere, ha concluso la sua latitanza “dorata”, catturato dai carabinieri all’uscita di uno dei più lussuosi alberghi di Caracas, capitale del Venezuela. Lui da oltre un decennio aveva fatto del Sudamerica la sua seconda residenza, si occupava di export di cocaina dalla Colombia verso la Sicilia. E in Venezuela a dargli gli ordini sarebbe giunto addirittura il mafioso più ricercato del momento, Matteo Messina Denaro, il boss del Belice.

Perché questa lunga premessa? Per spiegare quello che succede di questi giorni, dove sembra che la verità venga spacciata per suggestione (così in un comunicato il sindaco Sgarbi definisce un nostro articolo) e la fiction, perché il prof. Sgarbi di fiction e reality bisogna dire che è un esperto, diventa realtà. Aveva lasciato stupito non solo il “plauso” da lui fatto all’agenzia nazionale dei beni confiscati nel momento in cui questa revocava l’assegnazione al Comune di Salemi di quel fondo agricolo, perché la revoca significava semmai un rimprovero al Comune rimasto incapace, ma anche la circostanza che lo stesso sindaco Sgarbi diceva a chi assegnare, o meglio, a chi non assegnare il terreno: chiedeva di non ripetere  «l’esperienza di affidamenti di comodo ad associazioni religiose che accumulano senza alcun esito attivo e produttivo». E questo a poche ore da un evento che per la verità è rimasto dagli organi di stampa quasi non considerato (tranne per la cronaca nazionale fatta su Avvenire dall’inviato Toni Mira) e cioè la raccolta di olive in un terreno di Castelvetrano tolto ai mafiosi e dove era presente il vescovo della Diocesi di Mazara (da cui dipendono i territori di Salemi e Castelvetrano), mons. Domenico Mogavero, che pur non rivolgendosi mai direttamente a Sgarbi aveva stigmatizzato quelle parole.

Polemica e faccenda chiusa? Niente affatto. Sgarbi si è fatto sentire. E il vescovo Mogavero anche.

Sgarbi, sosteiene che la mafia come organizzazione non esiste e ci sono i mafiosi, e che l’unica organizzazione che esiste e che fa male è l’antimafia, “che – come nel caso di Masseria Vecchia – diffonde menzogne e incrimina persone la cui condotta, pur discutibile, è del tutto estranea all’azione della mafia (Giammarinaro? ndr)”. Su Masseria Vecchia Sgarbi allarga le braccia, il Comune “non è stato in grado, nonostante documentati tentativi, di affidare in gestione”. Tutto il resto fa parte “di luoghi comuni nei quali si accomodano giornalisti conformisti e diffamatori”. E tra questi ci siamo anche noi. Abbiamo l’impressione che a scrivere non sia tanto Sgarbi quanto qualche collaboratore suggeritore, ma Sgarbi non ha smentito. Nel comunicato ricorda l’appello rivolto a Slow Food, che però ha chiesto 50 mila euro (vicenda sulla quale il nostro sito ha già ospitato un replica proprio di Slow Food nei confronti del sindaco Sgarbi), ricorda anche che ad interessarsi a q
uel terreno era stata la fondazione San Vito presieduta da padre Fiorino (Curia di Mazara), “ma anche in quel caso essa era subordinata a un intervento economico da parte del Comune, come già aveva chiesto in passato.  Per questa ragione – dice Sgarbi – ho parlato di affidamenti di comodo”. Sgarbi se la prende con padre Fiorino dicendo che “nei luoghi affidati a Padre Fiorino l’attività produttiva e la riabilitazione dei siti non ha portato ad alcun esito, né ad alcun sensibile risultato, essendo ogni azione sostanzialmente subordinata ai contributi dello Stato. Questo spiega la mia determinata volontà di muovermi in altre direzioni, senza in alcun modo subire «il volere del burattinaio di Salemi» (creato da una delle tante, arbitrarie e fantasiose ricostruzioni dell’antimafia)”. Per la verità nell’intercettazione trascritta e depositata agli atti del procedimento penale relativo, si legge che Sgarbi rivolgendosi ad un assessore gli chiede di conoscere qual’era il pensiero di Giammarinaro sull’assegnazione di questo terreno!

Per il sindaco Sgarbi la soluzione è solo una, “non parlare più di mafia”. Lui sostiene: “L’unico modo di combattere la mafia è dire la verità. Non inventare situazioni di conflitto inesistenti o millantare taumaturgici interventi, e impegni corali di tutti, con la concretezza delle azioni e dei fatti che non ci sono. Continuare a parlare di mafia serve a umiliare una terra di tutti a vantaggio di pochi”. E infine contro Mogavero, il vescovo di Mazara: “Se anche al vescovo di Mazara del Vallo piace giocare a guardia e ladri, lo lascerò nella sua convinzione e lo affiancherò a quelle autorità, dal prefetto al questore, ai magistrati, al maresciallo dei Carabinieri che hanno fatto, a solo vantaggio dei professionisti dell’antimafia e  giornalisti come Giacalone che chiamerò a rispondere delle sue insinuaizioni (lasciamo l’errore così da far contento l’addetto stampa di Sgarbi che spesso vede gli errori degli altri ndr) in tribunale, un’opera di falsificazione della verità. Che io non sono disposto ad accettare. Per questo, prendendo atto del conformismo  e del compiacimento nel costruire una realtà che scarica sulla mafia errori della politica, dell’impresa e delle istituzioni, cercando alibi alla propria impotenza e ostacolando il processo di rinnovamento che avevo iniziato a Salemi, sono costretto ad andarmene presto non per le minacce e il pericolo della mafia ma per non essere travolto dalla retorica, dalla finzione, dall’atteggiamento grave e finto di chi afferma di combatterla anche quando essa è stata schiacciata. Caro Monsignore, io non amo i sepolcri imbiancati. Non perché imbiancati, ma perché contengono morti. E io coltivo la vita».

Fin qui l’intervento di Sgarbi che tanta chiosa non merita perché è sufficiente già quella stessa che il critico offre da se.  La replica del vescovo Mogavero non si è fatta attendere. «Mi meraviglia molto – scrive Mogavero a Sgarbi – che si sia buttato tutto in polemica, che non mi pare proprio il taglio del confronto su basi di verità, o per ristabilire una verità eventualmente messa in discussione. Nelle mie dichiarazioni fatte la settimana scorsa a Castelvetrano, durante la mia visita sul fondo confiscato a Gaetano Sansone, non c’era alcun atto di accusa nei suoi confronti, scrive ancora Mogavero a Sgarbi. Io così ho detto in quell’occasione: “I messaggi concreti arrivano proprio da azioni come queste. In questa terra che oggi torna alla società civile si raccolgono i frutti profumati di legalità, con un impegno sia del mondo civile che di quello ecclesiastico. E questa è la migliore risposta nei confronti di chi, nei giorni addietro, ha gettato discredito nei confronti di associazioni ecclesiastiche che avrebbero avuto affidamenti di comodo, che accumulano senza alcuni esito produttivo”. Non c’era, quindi, nessun atto di accusa nei suoi confronti ma c’è, invece, un’interpretazione scorretta e un uso improprio del testo di chi ha redatto la sua nota di ieri, estrapolando alcune parole e isolandole dal contesto». E Mogavero ha scritto altresì:  «Ciò che avviene nel fondo agricolo di contrada Fiumelungo sulla strada Salemi-Vita, oggi gestito dalla nostra “Fondazione San Vito” è sotto gli occhi di tutti: il vigneto è tornato produttivo da tre anni, c’è il turismo rurale “Al Ciliegio”, qualche mese addietro abbiamo inaugurato l’aula didattica e l’impianto fotovoltaico. Questa è la concretezza di azioni e di fatti, alla quale altre istituzioni hanno acconsentito a partecipare con proprie risorse (come nel caso della “Fondazione Vodafone”) probabilmente qualcosa vuol significare, pur nel persistente disinteresse della Sua amministrazione, a cui non si è mai chiesto nulla di diverso o di più rispetto a quanto previsto e consentito dalla legislazione sui beni confiscati».

Mogavero ha risposto a Sgarbi all’eventuale associazione del Vescovo ad altre istituzioni che «hanno fatto un’opera di falsificazione della verità» (sono parole di Sgarbi): «Quanto alla minaccia di essere associato da lei “a quelle autorità, dal prefetto al questore, ai magistrati, al maresciallo dei Carabinieri”? Mi creda, non la ritengo una eventualità disdicevole. Tutt’altro». E Mogavero conclude: «La verità non è una bandiera e il mio modello di verità, in tema di mafia e di lotta alla mafia, rimane Giovanni Paolo II e il suo audace e indimenticabile grido profetico nella Valle dei Tempi di Agrigento. Il resto sono parole vuote».

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