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Marlane in Calabria, sotto processo i presunti veleni della fabbrica

Di Anna Foti il . Calabria

Mille notifiche da controllare in una lunga camera di consiglio e, come troppo spesso accade, una burocrazia che diluisce, a volte fino a rendere inafferrabile la Giustizia e ad annientare la concretezza dei Diritti, che rimangono solo enunciati a parole o su carta. Ma la morte e la malattia invece non subiscono alcuna diluizione e lo testimoniano i familiari ancora in attesa di una verità che ha già generato un dolore inconsolabile.  E’ il caso del processo Marlane, per l’accertamento di responsabilità per i decessi, uno nelle more del processo in corso lo scorso ottobre, e le malattie tumorali contratte dagli operai della fabbrica tessile di Praia a Mare, nell’alto tirreno cosentino, dismessa nel 2004 ed oggi sotto sottoposta a sequestro probatorio. Processo avviato dallo scorso aprile e rinviato più volte fino alla recente udienza in cui si è proceduto all’ennesimo rinvio per citazioni irregolari, e dunque da ripetere, al prossimo 30 dicembre.

Dieci anni di indagini, il pm Paola Antonella Lauri che chiede per tutti il rinvio a giudizio, tante prescrizioni, tredici rinviati a giudizio dal gup del Tribunale di Paola Salvatore Carpino nel novembre dello scorso anno, 185 parti civili, tra cui il comune di Praia a Mare.  Oltre un decennio per indagini che hanno condotto al banco degli imputati 13 persone tra responsabili e dirigenti dell’ex stabilimento tessile operativo dagli anni ’50 e dismesso nel 2004, accusati a vario titolo di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e disastro ambientale. L’accusa più grave è infatti quella di avere violato le norme sulla sicurezza e la prevenzione sul lavoro con riferimento alla lavorazione del tessuto con uso di presunte sostanze chimiche tossiche e cancerogene (ammine aromatiche, coloranti a base di azotabili, amianto dei freni dei telai e cromo).

Vi sarebbe stata omissione di adozione di accorgimenti organizzativi per attenuare e contenere l’esposizione ad ammine aromatiche e metalli pesanti quali l’adozione di misure precauzionali, il monitoraggio ambientale, l’installazione di impianti localizzati di aspirazione e dispersione fumi meccaniche, controlli sanitari adeguati, prove di contaminazione degli ambienti di lavoro e ricambio d’aria controllato. L’accusa si estende fino allo smaltimento con dei rifiuti di lavorazione  ed alla vigilanza sullo stesso. Il terreno adiacente, da qui l’accusa di disastro ambientale, sarebbe stato adibito a discarica abusiva di rifiuti pericolosi con interramento di fanghi e materiali di risulta dell’attività industriale di filatura, tessitura, tintoria, oltre che materiale (amianto e lana di vetro) proveniente dalle attività di ristrutturazione dello stesso stabilimento.

Le indagini della Procura di Paola hanno accertato altissime concentrazioni di metalli pesanti quali nichel, vanadio, cromo esavalente, cromo totale, mercurio, zinco, arsenico, piombo e Pcb. Dovrà dimostrarsi adesso il nesso di causalità tra l’attività lavorative in un contesto con simili condizioni e le neoplasie contratte e la morte degli operai.

Al banco degli imputati Carlo Lomonaco, attuale sindaco di Praia a Mare e responsabile del reparto tintoria dal 1973 al 1988; Giuseppe Ferrari, responsabile dello stabilimento dall’anno 1978 al 1980; Bruno Taricco, responsabile della stabilimento dal 1980 al 1987 (non luogo a procedere perché deceduto il 31 ottobre 2009); Lamberto Priori, amministratore delegato della società Lanerossi Spa (già Marlane Spa) dal 1980 al 1987; Vincenzo Benincasa, direttore di produzione dal 1987 al 1988 e quale responsabile dello stabilimento dal 1996 al 2002; Salvatore Cristallino, responsabile del reparto tintoria da 1989 al 2003; Ivo Comegna, responsabile del reparto tintoria dal 1981 al 1986 e del reparto finissaggio dal 1986 alla data di chiusura dello stabilimento, 4 aprile 2004; Panico (deceduto), responsabile dello stabilimento dal 1988 al 1996, Attilio Rausse, responsabile dello stabilimento dal 2003 al 2004; Lorenzo Bosetti, consigliere delegato e vice presidente Lanerossi e Marzotto dal 1988 al 1993; Ernesto Emilio Fugazzola, amministratore Marzotto dal 1993 1995; Jean De Jeagher, amministratore dal 1996 al 1997; Silvano Storer, consigliere delegato Marzotto dal 1997 al 2001; Antonio Favrin, amministratore dal 2001 al 2004; Pietro Marzotto, presidente Lanerossi.

Morti inspiegabili in costanza di operatività della fabbrica ed anche dopo. Un filo conduttore oggi oggetto di un processo per omicidio plurimo colposo e disastro ambientale. Erano tutti operai della Marlane, azienda dell’ex gruppo Marzotto, per la quale l’Eni scelse questo nome quando, dopo una piccola parentesi Imi, subentrò nella gestione. Non cambiò solo il nome ma ebbe anche il demerito di abbattere le divisioni tra gli ambienti interni della fabbrica e dunque agevolare la diffusione di fumi che adesso potrebbe essere accertati potrebbero essere stati velenosi. Nata negli anni ’50, come lanificio di Maratea R2, laddove la R2 stava per Rivetti junior rispetto alla matrice con sede appunto a Maratea nel potentino, l’azienda fu fondata dal conte Rivetti di Biella, al Sud per produrre tessuti di pregiatissime qualità, oltre che divise militari. Erano appunto gli anni ’50, quando il sistema di depurazione era inesistente e sostanze maleodoranti raggiungevano il mare in contesti che non avrebbero dovuto essere tollerati. Nel 1987 il pacchetto ‘Lanerosse’ fu acquistato dalla Marzotto di Valdegno nel vicentino, al prezzo di 173 miliardi di lire. La tintoria rimase aperto fino al 1996.

Dopo decenni di silenzio deplorevole da parte della politica, dei sindacati e dei mezzi di informazioni, oggi un processo ed anche un moto di consapevolezza di un’altra verità calabrese alla ricerca di luce. “Marlane: la fabbrica dei veleni – storia e storie avvelenate”, edito dalla casa editrice Coessenza, è il libro scritto a quattro mani dal giornalista Francesco Cirillo e dal sindacalista, ex operaio Marlane, Luigi Pacchiano. Il  volume offre uno spaccato necessario di una pagina buia della Calabria,che ha inghiottito e continua ad inghiottire vite ed a colpire famiglie. Un processo è in corso con al banco degli imputati i vertici di Lanerosse e Marzotto di Valdegno (Vicenza), leader nel settore tessile, ma che un tempo potrebbero avere avvelenato la Calabria, ancora una volta meta di investimenti del Nord pagati a carissimo prezzo.

Anni di inalazioni tossiche e nocive, presunto contatto diretto, prolungato e quotidiano con il cromo esavalente per la colorazione dei tessuti, che, dopo avere spento cento vite, continuano a strappare alla vita ex dipendenti, ed un’inchiesta della procura di Paola che costituisce la sintesi di tre diversi filoni di indagine, il primo del 1999 ed i successivi del 2006 e del 2007.

Adesso la nuova udienza il giorno prima dell’ultimo dell’anno, il 30 dicembre. Ed intanto sono tante le famiglie che chiuderanno ed inizieranno un altro anno senza un loro congiunto che credono fermamente di avere perso in tutti quei giorni, trascorsi dentro quella fabbrica calabrese a lavorare duramente.

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