Gela, tracce di metalli tossici presenti su lavoratori della fabbrica Eni
Metalli tossici, dal vanadio al nichel, presenti non solo nel bulbo dei capelli di diversi operai della fabbrica Eni ma, ancora, negli ortaggi: così come nei camini dello stabilimento e nelle centraline di rilevamento presenti in città. Ricerche e analisi sono state realizzate da tecnici locali, spesso anche a sostegno delle indagini condotte dalla procura della repubblica di Gela.
“Abbiamo appurato – dice il dottore Paolo Scicolone – la presenza di metalli pericolosi nei campioni di bulbi dei capelli di almeno 70 operai dello stabilimento, analizzati in un laboratorio di Reggio Emilia, altamente specializzato. Le stesse tracce, però, sussistono in campioni di ortaggi e, inoltre, nei camini di scarico della raffineria e nei dati prodotti dalle centraline di rilevamento. Ovviamente, potrebbe essere un caso. Ma, di certo, questi metalli tossici esistono nell’atmosfera di Gela”.
Una correlazione fra l’attività industriale e il ritrovamento di metalli pesanti?
“Purtroppo – dice l’esperto in scienze ambientali Andrea Virdiano – non è così semplice individuare un nesso di causalità fra la presenza industriale e i dati da noi rilevati. Proprio per questo motivo, anche i processi penali non hanno avuto l’esito atteso da molti lavoratori e lo stesso dicasi per le cause civili”. Metalli pesanti e amianto che rimangono al centro dei pensieri e delle vite di tanti lavoratori della fabbrica Eni, e non solo.
“Normalmente – ammette ancora Scicolone – metalli pesanti sono presenti anche nei campioni biologici di cittadini di altri comuni, ad esempio del nord Italia. Ma, in quei casi, le percentuali sono davvero basse. Nichel e vanadio possono rintracciarsi in un caso su cento. Tra gli operai gelesi, invece, il nichel individuato dai laboratori era presente in 57 casi su 70 e il vanadio in 42 di loro”.
Altra tegola ancora non riparata è quella dell’amianto.
“Il problema per i lavoratori che non hanno ancora ottenuto il riconoscimento dei contributi per la loro esposizione all’amianto – dichiara Giovanni Failla dell’Inail – deriva dal fatto che nessuna azienda di Gela, dalla più grande alla più piccola, si è mai assicurata contro questo rischio. Quindi, nessun dirigente ha mai ritenuto opportuno pagare un premio più elevato del normale per garantire i propri dipendenti”.
I casi e le storie sono molteplici: per anni sottoposti all’amianto e, ancora oggi, privi del riconoscimento da parte dell’Inail.
“Stiamo parlando – commenta l’avvocato Ezio Bonanni che segue molti operai – di un problema enorme. I tecnici della Contarp che, per conto dell’Inail, seguono questi casi, hanno sempre dichiarato che l’amianto nello stabilimento petrolchimico di Gela è scomparso fra il 1992 ed il 1993. Le inchieste giudiziarie, invece, ci dicono ben altro. Gli operai esposti continuano a morire e in pochi se ne accorgono. Noi, adesso, non escludiamo neanche l’avvio di un’azione penale nei confronti di questi tecnici che, a mio parere, negano l’evidenza”.
Sarà, quindi, ancora molto lunga la battaglia intrapresa da quegli operai che, a differenza dei loro colleghi, hanno ancora la possibilità di combatterla.
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