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Processo Garofalo, si riparte da zero

Di Marika Demaria il . Lombardia

«Carlo Cosco mi fa paura, non lo so perché. Però lui conosce molte informazioni personali di me: sa dove abito, dove vivono i miei famigliari». Sguardo fisso nel vuoto, agitato, la fronte imperlata di sudore, a volte balbetta altre volte risponde in maniera concitata. È impaurito Massimiliano Floreale, l’ex cognato di Massimo Sabatino che ieri, giovedì primo dicembre, ha rilasciato la propria deposizione. Riprende dunque il processo Lea Garofalo, dopo l’interruzione legata alla nomina del Presidente della Corte Filippo Grisolia a capo di Gabinetto del ministro della Giustizia. Al suo posto siede adesso Anna Introini, che ha accolto le richieste della difesa che compatta ha sottolineato con forza l’importanza di riascoltare tutti i teste, asserendo che la sola lettura delle carte sarebbe limitante e limitativa.
Il 24 novembre 2009, Carlo Cosco, Lea Garofalo e la loro figlia Denise si recarono presso il solarium di Massimiliano Floreale. Quello stesso giorno l’imputato gli chiese le chiavi di un appartamento: «Quando avevo a che fare con Carlo Cosco preferivo non fare domande, per paura, ma comunque pensavo che in quello che mi aveva chiesto non ci fosse nulla di strano». Per cui Floreale non chiese spiegazioni e gliele consegnò. Così come, sempre quello stesso giorno, consegnò le chiavi d’accesso di un box a Carmine Venturino. Il giorno dopo, quest’ultimo e Rosario Curcio restituirono all’ex cognato di Massimo Sabatino entrambi i mazzi di chiavi. «Le due richieste, le chiavi dell’appartamento di mia nonna prima e quelle del box dopo, mi stupirono: la sera del 25 novembre Venturino e Curcio mi restituirono entrambi i mazzi di chiavi. Chiesi dove fosse Carlo Cosco ma non ottenni risposta».
Massimiliano Floreale ha raccontato di essere andato nel luglio 2009 su un terreno a San Fruttuoso a Monza (dove si trova il magazzino in cui, secondo l’accusa, gli imputati avrebbero, la sera del 24 novembre 2009, torturato, ucciso e sciolta nell’acido Lea Garofalo) insieme a Massimo Sabatino. «Quando ho letto della notizia della sparizione della Garofalo – ha concluso – mi sono spaventato, perché ho collegato la vicenda con questi episodi. Anche la mia ex compagna, Paola Sabatino, aveva paura che suo fratello avesse commesso qualche cazzata e che fosse coinvolto nel sequestro e omicidio della donna, visto che già aveva un’accusa per tentato omicidio nei suoi confronti».
Ad aggravare la posizione di Massimo Sabatino arriva anche la deposizione di Roberto Schiavone, detenuto per ricettazione di assegni e truffa e che, tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010, divise la cella con Salvatore Sorrentino, che con l’imputato aveva un rapporto di amicizia. Il teste ha raccontato di aver visto moltissime volte Sabatino e Sorrentino parlare tra loro in maniera amichevole e confidenziale, ma che si ricorda di un episodio specifico: un giorno, che si colloca agli inizi del 2010, trovò i due che parlavano attorno al tavolo della sua cella. «Mi fu chiesto di preparare il caffé e ascoltai che Massimo Sabatino raccontava di essere risentito, amareggiato nei confronti dei Cosco, che sapeva essere coinvolti nell’omicidio del fratello di Lea Garofalo. Sabatino disse che nel maggio 2009 si finse idraulico e andò a Campobasso per volere di Carlo Cosco, con l’intenzione di uccidere la sua compagna». Il teste Schiavone ha infine precisato che Sorrentino aveva pressato Sabatino per avere più informazioni possibili sulla vicenda in previsione di chiedere di diventare collaboratore di giustizia, ma di fatto Sorrentino tornò poi sui propri passi.
Sabatino, in aula nella cella insieme agli altri cinque imputati, passeggiava nervosamente, borbottava, fino a quando urlando ha inveito contro il teste e il pm Marcello Tatangelo; sono stati attimi concitati, la Presidente Anna Introini è stata costretta a intervenire redarguendo l’imputato e spiegandogli che la prossima volta sarebbe stato allontanato dall’aula.
Il primo teste della giornata – di nazionalità orientale – è il titolare di un negozio di alimentari in via Montello 6 a Milano, che abitualmente presta il proprio furgone ad amici e vicini. Lo fece anche con Vito “Sergio” Cosco e Massimo Sabatino (riconosciuti attaverso delle foto identificative fornite dall’accusa) il 4 maggio 2009: il primo chiese all’esercente di prestargli il mezzo, il secondo glielo restituì. La motivazione fu che “il furgone serviva per trasportare mobili”. Quella trasferta costò al teste due multe, una delle quali registrata alle 19.03 a Foggia. Tempi e luoghi corrispondono dunque con l’episodio del tentato omicidio ai danni di Lea Garofalo, quando, secondo alcuni teste già ascoltati (compresa la figlia della giovane donna, Denise), Massimo Sabatino si introdusse nella loro casa di Campobasso fingendosi il tecnico della lavatrice giunto per ripararla. Il teste, avvalendosi di un’interprete, ha spiegato che i prestiti del furgone erano annotati su un post-it prima e su un foglio dopo, redatto all’insaputa della persona che chiedeva in prestito il mezzo ma che di fatto consentiva al commerciante – che attraverso le foto ha riconosciuto anche Carmine Venturino, Carlo Cosco, Rosario Curcio e Giuseppe Cosco come abitanti o frequentatori dello stabile di via Montello 6, di proprietà dell’Ospedale Maggiore di Milano – di ricordarsi quando e a chi prestava il furgone.
Ieri è  stato infine fissato il calendario delle udienze – ventuno –  fino alla fine di marzo. La prossima si svolgerà il 19 dicembre, come già era stato fissato dal Presidente Grisolia.

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