A Gubbio Luigi Ciotti incontra gli studenti
Metti una sala piena di 500 ragazzi. Metti un silenzio irreale, e una voce sola che parla, chiara e forte. Gli occhi di tanti che si fanno lucidi, commossi: Luigi Ciotti li invita tutti a “salire sui tetti per gridare parole di vita”, e loro, sedicenni, studenti delle scuole superiori di Gubbio, applaudono forte, perché dietro alle parole di quel sacerdote dal maglione blu ci sono persone, volti, storie concrete.
Ci sono i 45 anni di storia del Gruppo Abele, accanto agli ultimi, sulla strada, e ci sono i percorsi di Libera, con la giornata della memoria e dell’impegno, per non dimenticare chi per la giustizia ha perso la vita, con le migliaia di ragazzi che ogni estate scelgono di “sporcarsi le mani” sui terreni confiscati alla criminalità organizzata. L’Istat dice che un giovane su tre, in Italia, oggi è senza lavoro. E i più “fortunati”, quelli che un’occupazione l’hanno trovata, quasi sempre sono precari, poco tutelati, poco retribuiti. Precariato e mancanza di opportunità rendono sempre più difficile costruirsi un domani: con i diritti e i salari, oggi, sembra si stiano tagliando anche le speranze. Luigi Ciotti lo sa, e dal palco del cinema Italia dice ai ragazzi che loro sono “il nostro presente, non il nostro futuro: ecco perché è da voi che questo Paese deve ricominciare, dalle vostre speranze, che nessuno ha il diritto di spegnere”. Racconta, Luigi Ciotti, racconta la storia di Antonino Caponnetto, il grande magistrato che coordinò il pool antimafia di Falcone e Borsellino, e che all’indomani della morte del suo collega e amico Paolo, ucciso in via D’Amelio, disse che era “finito tutto”. Chiese scusa, Caponnetto, si pentì di quella frase, e iniziò a girare tutte le scuole d’Italia e a parlare ai giovani, convinto, come ripeteva spesso, che “la mafia teme più la scuola che la giustizia”, certo che “l’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa”. Non è un prudente, don Luigi Ciotti, se per prudenza, spiega, “s’intende il silenzio, la paura di denunciare, di gridare forte, di prendere posizione”. Come don Peppe Diana, che invitava i suoi giovani a correre in alto, sui tetti, per gridare la vita, anche Luigi grida la vita alle centinaia di ragazzi e ragazze che lo stanno ad ascoltare.
“Quando i giovani vengono coinvolti, messi in grado di realizzare le loro aspirazioni, di concretizzare le loro passioni, offrono risposte straordinarie – spiega – e penso all’impegno sui beni confiscati, su quelle terre che prima appartenevano alla criminalità e oggi sono beni comuni, a disposizione di associazioni e società civile”. Non è un prete qualsiasi, don Luigi. La sua opera così “stoltamente evangelica” cattura e coinvolge anche chi dalla Chiesa è lontano. O chi è sfiduciato, o ha perso la speranza. Cinquecento giovani adolescenti, questa mattina, si sono fatti catturare dalla sua coerenza, dal suo coraggio, da suo impegno. Pronti a salire sui tetti, a gridare il loro sì, a fare la loro parte.
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