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Volevano rifondare la Cupola

Di redazione il . Sicilia

Controllano ancora affari e territorio. A Palermo questa notte, 36 fra capi e gregari di Cosa nostra sono stati fermati da polizia, carabinieri e guardia di finanza su ordine della Procura distrettuale antimafia  diretta da Francesco Messineo e coordinata dagli aggiunti, Antonio Ingroia e Ignazio De Francisci.  I capi di Cosa nostra continuano a comandare e pare che siano rientrati in città anche i cosiddetti “scappati”, coloro che fuggiro negli Usa dopo la guerra di mafia degli anni’80 oggi saldamente a comando di interi quartieri.  A Boccadifalco, comanda Giovanni Bosco, parente di Totuccio Inzerillo,  nominato con il consenso dell’allora latitante Salvatore Lo Piccolo. Accanto a lui, Alfonso Gambino, inserito nella famiglia di Uditore  e  Ignazio Antonino Mannino, uomo d’onore della famiglia di Torretta.

 Una operazione congiunta fra le diverse forze dell’ordine ha permesso di scoprire che i fratelli Graviano, quelli della strage di via D’Amelio, controllano ancora Brancaccio e Palermo nonostante il regime di 41bis, e coordinavano tre diversi mandamenti, i più autorevoli: Tommaso Natale, Brancaccio e Passo di Rigano. In molti “insospettabili”, nonostante gli arresti, i sequestri, le confische, continuavano a gestire bar della città, a fare i fattorini dentro hotel già confiscati ai Graviano, a mimetizzarsi come sempre dentro la società e continuare ad operare. Gli uomini delle forze dell’ordine li pedinavano e intercettavano.   Una operazione antimafia, quella di oggi, che racconta anche del tentativo dei boss di piazzare  ditte vicine a Cosa nostra negli spazi espositivi del nuovo centro commerciale del presidente del Palermo, Maurizio Zamparini, in corso di realizzazione. Gli uomini di Cosa nostra puntavano anche a gestire i lavori del nuovo stadio: il cantiere deve essere ancora aperto ma già i capi cercavano di assicurarsi i subappalti.

 Ma la notizia che più ha destato l’attenzione della stampa, stamani, è quella che riguarda una donna della famiglia mafiosa dei Brancaccio, i Graviano. Sorella di Giuseppe e Filippo, Nunzia Graviano risiedeva a Roma ma questo non le impediva di gestire il patrimonio, secondo gli inquirenti,  ricopriva il ruolo di “manager” della famiglia. A raccontarlo è stato il pentito Fabio Tranchina ma le sue dichiarazioni sono state riscontrate dalle intercettazioni. Numerosi i video che ritraggono i boss mentre si incontrano, parlano e organizzano “la risalita”. Il più esplicito quello che si è tenuto a Villa Pensabene, noto ristorante-maneggio allo Zen è il più importante che la cronaca abbia registrato negli ultimi anni.

«Le numerose operazioni che vengono realizzate negli ultimi tempi sono un buon segnale dell’azione dello Stato contro le mafie – dichiara Umberto Di Maggio, coordinatore di Libera in Sicilia, originario proprio di Brancaccio. Colpisce, guardando all’operazione di oggi, quanto gli interessi della mafia verso i centro commerciali siano convergenti con le politiche che in questi anni ne alimentano la realizzazione, a dismisura, nella regione». Poi un dato preoccupante:  il ritorno dei cosiddetti “scappati”. «Coloro che erano stati cacciati via dai corleonesi negli anni’80 sono tornati – secondo quanto emerge dalle indagini rese note oggi, continua Di Maggio». «Anche se fosse con il placet degli uomini di Riina e Provenzano si registra negli ultimi periodi a Palermo un clima nuovamente teso che fa pensare a nuove frizioni fra corleonesi e palermitani». Un clima, quello percepito in città, che è raccontato anche in questa ultima operazione antimafia. Emerge dall’ordinanza di custodia cautelare l’intenzione esplicita di alcuni boss di ricorrere alle armi, di fronte ad alcuni problemi in merito alla gestione degli affari. Anche la scia di omicidi, l’ultimo è quello di uno dei capi storici del mandamento di Santa Maria di Gesù, Giuseppe Calascibetta, uccso i1 19 settembre scorso,  sono un segnale inquietante. I contatti dei palermitani con uomini dei Piromalli, della ‘ndrnagheta, principali gestori del traffico di droga, anche.

Gli inquirenti

«Abbiamo colpito il nucleo storico di Cosa nostra palermitana, che continuava a gestire affari e a imporre estorsioni», afferma il questore di Palermo, Nicola Zito. Il comandante provinciale dei carabinieri, il generale Teo Luzi, commenta: «L’associazione mafiosa continua a dimostrare grande capacità di riorganizzazione, nonostante gli arresti e i processi che si susseguono, ma lo Stato non ha abbassato la guardia nella lotta alla mafia”. «Cosa nostra stava tentando di ricompattarsi e di ricostituire un organismo di vertice unitario – ha detto durante la conferenza stampa il procuratore di Palermo Francesco Messineo. Con le operazioni di oggi lo abbiamo impedito».  Il procuratore ha specificato che sono ancora le estorsioni le attivita`criminali su cui cosa nostra conta per fare cassa.  «A differenza di altre indagini – ha spiegato – questa volta alcune vittime del racket hanno avuto la forza di denunciare». Tra i commercianti che si sono rivolti alle forze dell`ordine il titolare della pasticceria Costa di Palermo che si trova a pochi metri dal luogo in cui venne assassinato dalla mafia l`imprenditore Libero Grassi. Alla conferenza stampa Interforze hanno partecipato anche i procuratori aggiunti Ignazio De Francisci e Antonio Ingroia, che hanno coordinato le indagini, il questore di Palermo. «Cosa nostra si stava ricompattando, ha confermatoa il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia – dall`indagine  viene confermata l`unicita` di Cosa nostra che ha una natura unitaria, c`e` una tendenza a ricompattarsi ed e` quello che stavano facendo diversi mandamenti». In particolare, il boss Giulio Caporrimo e` ritenuto “un elemento di cerniera” che “stava avviando un`operazione di questo genere, tramando una riorganizzazione di Cosa nostra».

Arrestati

I carabinieri, coordinati dal tenente colonnello Paolo Piccinelli e dal maggiore Antonio Coppola, assieme ai finanzieri della Valutaria, diretti dal maggiore Pietro Vinco, hanno fatto scattare le manette, per Caporrimo e Li Causi, per Calogero Di Stefano Marcello Coccellato, Ugo De Lisi, Giuseppe Enea, Fabio Gambino, Andrea Luparello, Vincenzo Di Blasi, Sandro Diele, Filippo Pagano, Amedeo Romeo, Stefano Scalici, Giuseppe Serio, Antonino Vitamia. L’operazione della squadra mobile, coordinata da Maurizio Calvino e Nino De Santis, coinvolge: Nunzia Graviano, Cesare Lupo, Antonino Sacco, Giuseppe Arduino, Antonino Caserta, Matteo Scrima, Michelangelo Bruno, Girolamo Celesia, Pietro Asaro, Natale Bruno, Giovanni Torregrossa, Filippo Tutino, Alberto Raccuglia, Antonino Lauricella, Pietro Arduino, Salvatore Conigliaro e Antonino Mistretta.  I fermi di Bosco, Mannino, Inzerillo e Gambino sono stati eseguiti dai carabinieri del Ros, diretti dal tenente colonnello Fabio Bottino.

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