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Gli habitat delle mafie nel Nord Italia

Di Elena Granata il . Lombardia

liberainformazione.org/news.php?newsid=16045″>Il sesto appuntamento del ciclo di seminari interateneo sul tema delle mafie al Nord si è svolto ieri, 23 novembre, presso l’aula magna del Politecnico di Milano. Il titolo del seminario Gli habitat delle mafie. Spazi in abbandono, sottoutilizzati, aperti e residuali intendeva alludere a quelle condizioni di opportunità, fragilità di sistema, porosità, permeabilità, incertezze legislative e di procedure che facilitano comportamenti ambigui e talvolta decisamente criminali nei territori lombardi. 

Il seminario ha proposto due letture del fenomeno mafioso nel nord Italia: la fragilità del suolo e la debolezza delle amministrazioni, che comportano la formazione di un habitat particolarmente esposto a rischi. Una prima lettura si è misura con il tema degli spazi fisici, quelli che un po’ provocatoriamente sono stati chiamati gli habitat delle mafie. L’attenzione si è posata negli ultimi anni sugli spazi aperti in abbandono, sottoutilizzati, residuali. Da un lato questi spazi sono l’esito, il risultato della crisi di un sistema culturale, economico e civile che aveva nella terra e nella sua cura e coltivazione il suo centro propulsore. Oggi quel sistema come è noto si è sfrangiato, si è frammentato, indebolito, perché consumato da dentro, dalla debolezza di un sistema non più in grado di reggere agli assalti della globalizzazione, della competizione dei mercati, della fatica del lavoro. Dall’altro quegli spazi sono l’esito della frammentazione territoriale (fisica) e del paesaggio, generata da processi edilizi sempre più spinti, sempre più voraci di nuovi territori da urbanizzare.

E’ venuta meno la cura, il valore di quei terreni. E’ venuto meno quel sistema culturale che attribuiva agli spazi un valore, valore inserito in un sistema economico e sociale. E’ cresciuto l’interesse da parte di imprenditori edili affinché più spazi possibili entrino in questa spirale. Il suolo viene ridotto a piattaforma da valorizzare, da trasformare più in fretta possibile. Immaginiamo quegli stessi campi, che diventano habitat ospitali per attività illecite come lo smaltimento abusivo e illecito di sostanze tossiche e rifiuti…immaginiamo imprese di costruzione legate a famiglie mafiose che puliscono denari provenienti da illeciti nell’edilizia, immaginiamo imprese legate alle mafie dedite con impegno al business dei “movimenti di terra”, di scavo, e quindi motivati a che di terra in Lombardia se ne muova molta. “Le mafie sono agganciate ai territori: sono poteri alternativi al potere statale con una progressiva presenza in territori diversi dai loro luoghi d’origine” come ha efficacemente precisato nel suo intervento il magistrato della Procura milanese Maurizio Romanelli.

Una seconda lettura ha cercato di osservare il potere e il radicamento mafioso a partire dalla lettura dell’indebolimento del sistema amministrativo locale e delle leggi che lo sovraintendono, per cogliere in questo indebolimento un altro campo pericoloso di intersezione con le mafie. Oggi le amministrazioni locali sono sistemi esposti fortemente a pressioni di varia natura. Sempre più il loro destino è stato legato a quello delle politiche edilizie. E questo naturalmente ci interpella direttamente. Vorremmo richiamare l’attenzione oggi su tre aspetti:

1. Una certa ricattabilità delle amministrazioni locali, soprattutto dei piccoli comuni, dovuta al peculiare regime fiscale italiano – con l’abolizione dell’ICI e la possibilità di utilizzare gli oneri di urbanizzazione derivanti dalla nuova edilizia per la spesa corrente, decisioni volute dal precedente governo- fa dipendere il ciclo della spesa pubblica dalle fluttuazioni del ciclo immobiliare, incoraggia a subordinare la sostenibilità delle scelte ad esigenze di cassa e spinge la concorrenza fiscale tra comuni limitrofi.

2. I cicli di vita della politica locale basati su filiere corte. Paradossalmente oggi il minor peso dei partiti nelle piccole amministrazioni ha messo in evidenza la solitudine del nuovo ceto politico, la distanza da regole e modelli comuni, il ricorso più frequente a relazioni amicali e parentaliSe un tempo si potevano lamentare i danni di una “cannibalizzazione politica della società” oggi alcuni sociologi sottolineano la “cannibalizzazione o colonizzazione sociale della politica” (Cirulli in Tosi, Vitale, p. 216).

3. Una cultura amministrativa che si basa consuetudini e credenze radicate che confidano molto nell’edilizia come volano dell’economia comprendiamo come la partita intorno ai suoli, al loro destino, uso e trasformazione si configuri sempre di più come una tavola apparecchiata, intorno alla quale in molti vorrebbero sedersi sperando di trarne vantaggi personali per sé, per la propria famiglia, per la propria impresa.

Gli interventi di Roberto Cornelli, criminologo della Bicocca e sindaco di Cormano, di Luigi Fregoni, Dirigente dell’Ufficio Urbanistico del comune di Desio (e prima di Buccinasco) e infine di Arturo Lanzani, urbanista e docente del Politecnico, ma anche consulente al Piano di Desio, hanno portato in luce, con accenti partecipati e appassionati, le difficoltà e gli inciampi di chi si occupa di urbanistica a livello locale e ha a cuore la questione della legalità. Ne è emerso un quadro complesso e preoccupante. Un quadro nel quale illegalità e legalità, formale e formale spesso si sovrappongono in un’area grigia che favorisce i comportamenti criminali. 

Oggi la mafia al nord – come ha osservato Arturo Lanzani – costruisce nuovo paesaggio – ovvero definisce un codice spaziale in cui in cui il territorio non è più bene comune;genera nuova economia – mediante le nuove urbanizzazioni, i subappalti, i movimenti di terra, alimenta nuovi processi immobiliari – sostenendo “piani” in cui sempre più aree diventano fabbricabili.

Per questo, questo il messaggio che il seminario ha voluto lanciare, è necessario ridefinire il sistema delle responsabilità e delle regole che orientano l’azione dentro le amministrazioni soprattutto in riferimento alle trasformazioni territoriali. E’ necessario riportare al centro del dibattito pubblico la responsabilità della cultura tecnica e della cultura politica e amministrativa nel fronteggiare le insidie dell’agire mafioso.

Il breve saluto scritto dal Prorettore Sandro Balducci in occasione del seminario ha voluto sottolineare come una mera formazione tecnica di architetti, urbanisti ed ingegneri oggi non sia più sufficiente ma debba essere affiancata da una nuova assunzione di responsabilità civile nella consapevolezza “delle disuguaglianze che attraversano il mondo in cui dovranno operare e dei pericoli che sono connessi alla penetrazione della criminalità organizzata nell’economia e nello sviluppo del territorio”. 

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