Un Atlante per conoscere guerre e conflitti
“Purtroppo” o, è il caso di dire, per fortuna, esiste... L’Atlante è arrivato alla sua terza edizione, quella presentata questa mattina a Roma, presso la sede della FNSI e, sempre “purtroppo”, il numero di pagine aumenta di anno in anno. Partecipi all’evento Roberto Natale, Flavio Lotti, Laura Boldrini, Raffaele Crocco e Fabio Bucciarelli. Il crollo del Muro è ormai un ricordo sbiadito e quando era ancora in piedi, forse, il mondo non soffriva di un numero così alto di conflitti che l’ “Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo” si è proposto di documentare. Realizzato con il supporto dell’UNHCR, il contributo di diverse istituzioni locali e il lavoro a titolo gratuito di diversi operatori dell’informazione ma non solo, l’atlante “cammina”, per usare le parole di Crocco, direttore dell’Atlante, attraversando tutti i continenti e fotografando quelli che sono i conflitti armati e le situazioni di grave tensione fra stati e all’interno di essi. Ad eccezione dell’Oceania, le altre quattro aree della terra sono circondate da mari di sangue, sovrastate da monti di carestie e percorse da fiumi di uomini, donne e bambini in fuga dalle guerre.
«Serve a far conoscere e spiegare ciò che accade intorno a noi, analizzando quelle che sono le dinamiche dei conflitti, il perché sono nati e perché hanno ripercussioni che riguardano ciascuno di noi, più direttamente di quanto si possa pensare» spiega la Boldrini, portavoce dell’Alto commissario dell’ONU per i rifugiati. È nato anche per questo, in fondo… per spiegare perché il venditore ambulante che sta sotto il nostro portone di casa, il fruttivendolo all’angolo della strada, l’operatore del call center che ci chiede un’intervista al telefono, non parlano in italiano e hanno la pelle di un colore diverso e… per cercare di cambiare, perché no, una prospettiva viziata dalla non conoscenza di certi fenomeni.
Parlando della “Primavera araba”, la Boldrini, ricorda, per esempio, come sia stata pessima la gestione delle questioni tunisina, egiziana e soprattutto libica, quando massimi esponenti delle istituzioni evocavano spauracchi migratori, illustravano cifre non vere e si affidavano all’indifferenza di parte dell’opinione pubblica e la prona ignoranza del mondo della stampa, tesi con cui concorda Roberto Natale presidente FNSI. «In pochi sanno» ha continuato la Boldrini, «che i flussi migratori provocati dalle vicende dell’Africa mediterranea si sono avuti con direzione sud/sud. Quelli sud/nord in realtà sono stati nettamente inferiori». Di quest’avviso anche Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola della Pace, che parlando nello specifico delle conseguenze avute in Italia, ci tiene a sottolineare come il solo 2 per cento del milione e trecentomila dei profughi libici che erano stati annunciati in partenza verso le nostre coste, abbia avuto come meta lo Stivale. «Il restante 98 per cento» dice, «è stato accolto dai paesi vicini, Tunisia ed Egitto su tutti, che sono in condizioni economiche non certo migliori delle nostre quanto a possibilità di accogliere dei profughi». Ma proprio come questo caso dimostra, non sono necessarie le sole condizioni economiche: servono anche quelle politiche. E connesse a queste ultime, quelle culturali. Ed è così che l’attenzione si sposta sul ruolo dell’informazione e del contributo che può (o potrebbe, qualora le venisse permesso) dare. Gli spazi destinati a tematiche di questo tipo e di politica internazionale d’attualità in effetti sono esigui e spesso, come lamenta anche il giornalista RAI Santo Della Volpe, presente tra il pubblico, non sono graditi o gli vengono preferiti altri “format” secondo logiche più politiche o di mercato che di pubblico servizio. Nei casi migliori, lavori effettuati da professionisti dell’informazione vengono mandati in onda nelle fasce tranquille della programmazione televisiva o relegati agli angoli nella carta stampata, fruibili solo ai lettori e telespettatori più attenti o con problemi di insonnia. Come i programmi, anche le notizie, talvolta, seguono logiche che nulla hanno a che fare con il racconto della realtà, sospinte ora dal sensazionalismo, ora dalla compiacenza, passando per l’indifferenza.
Lo conferma il foto reporter Bucciarelli, inviato per conto del Fatto Quotidiano a seguire il corso degli eventi della transizione a Tripoli. Il solo inviato dall’Italia, visto che nessuno tra i due maggiori quotidiani italiani aveva ritenuto necessaria la presenza di una tale figura. Eppure l’ex quarta sponda era lì, a poche miglia di mare, tanto poco quanto sarebbe bastato ancora per raccontare e smentire le affermazioni di un ministro sull’imminente “tsunami migratorio” che «stava per abbattersi su Lampedusa e dintorni». Lampedusa, CIE, informazione.
La prossima battaglia sarà questa. Così Roberto Natale, chiude la presentazione dell’Atlante: «Chiederemo al nuovo ministro dell’Interno l’abolizione della circolare che vieta ai giornalisti l’ingresso nei Centri di Identificazione ed espulsione. Lo riteniamo offensivo verso l’opinione pubblica e atto a giustificare le menzogne e le false costruzioni mediatiche che speculano sui fenomeni che toccano, mai come in questi casi, la dignità umana». Una nuova “guerra” è stata dunque dichiarata ma, a differenza delle altre, per fortuna, non finirà sull’Atlante.
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