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Gli appunti di Mauro Rostagno su mafia e massoneria

Di Rino Giacalone il . Sicilia

«Puoi vestirti più che chic e rimbalzare come un clown, ma il cuore è barbaro, barbaro, barbaro».  E’ l’attacco di una tra le più belle canzoni del cantautore genovese Paolo Conte, è il testo di “Anni, anni, anni”, che Mauro Rostagno aveva scelto per lanciare nel 1988 quella che doveva essere la sua nuova trasmissione ad Rtc.  Nelle immagini dello spot che lanciava “Avana”, questo il titolo della trasmissione, vediamo un Rostagno  allegro, sorridente, vestito di bianco, con il panama e un sigaro, girare tra il giardino del baglio di Lenzi dove sono al lavoro un gruppo di scenografi, c’è una palma, in cartone, e una grande poltrona in vimini, l’immagine di una donna di colore, uno sfondo cubano. Appare come se volesse apparire “scanzonato”.

 “Avana” non è mai andata in onda perché qualche giorno dopo avere girato questo filmato, Rostagno fu ucciso dai sicari mafiosi, era il 26 settembre 1988. “Avana” perché? Perché questo titolo. Una idea ce la siamo fatta, seguendo il processo in corso dinanzi alla Corte di Assise di Trapani e dove sono imputati del delitto il capo mafia Vincenzo Virga, presunto mandante, e il killer Vito Mazzara, presunto sicario, tutti e due in carcere a scontare ergastoli per altri delitti di mafia, come quello dell’agente di custodia Giuseppe Montalto, ucciso davanti alla moglie e alla figlioletta (la vedova Liliana Riccobene non sapeva ancora che in grembo portava una seconda figlia) l’antivigilia di Natale del 1995.

C’è un dato che emerge dopo anni da quei fatti. Nessuno fra i collaboratori di Rtc  ha mai saputo parlare di “Avana”. Addirittura che la sigla del programma fosse già pronta veniamo a saperlo solo dopo la morte di Mauro Rostagno. Era però una trasmissione cui Rostagno teneva. Perché aveva cominciato a raccogliere della documentazione. Agli atti del processo sono entrati due enormi faldoni di carte, fogli con appunti vergati da Mauro, fotocopie di giornali, articoli sottolineati e commentati anche in modo succinto, ma la calligrafia è quella sua, che Rostagno aveva raccolto e che dopo la sua uccisione finirono nelle mani dell’avv. Nino Marino, allora dirigente del Pci che a processo ricominciato se ne è ricordato riconsegnadole a chi le aveva date a lui, ossia Chicca Roveri, la compagna di Mauro. Sembra che quelle carte non erano altro che il menabò, la traccia della trasmissione.

Cominciamo a ragionare sul titolo che la trasmissione doveva avere. “Avana”, la capitale di Cuba. Forse nelle sue intenzioni la trasmissione doveva evocare l’isola cubana  – che a ridosso del mondo occidentale aveva mantenuto, e mantiene, una sorta di indipendenza dall’Occidente – l’isola dove si sono mischiati e soprattutto in quegli anni, politica internazionale con affari poco chiari, intrighi internazionali, traffici di droga e di armi, dove si sono stipulati patti irrivelabili, per tentare di fermare i quali nel 1962 si rischiò il terzo conflitto mondiale, con lo scontro tra le superpotenze Usa e Urss.

Cosa c’entra “Avana” con la Sicilia e con Trapani? Tante le cose in comune: proprio come la capitale del dittatore Fidel Castro la Sicilia da decine di anni è percorsa da traffici di droga, armi, rifiuti tossici, gestiti da sacre alleanze, servizi segreti (che diventano deviati quando si scoprono loro agenti con le “mani nella marmellata”) pezzi di istituzioni, criminalità organizzata che in Sicilia la si deve chiamare in un solo modo, Cosa nostra. Affari illeciti, sporchi di sangue e la politica. Mafiosi che scelgono i deputati da eleggere. Mafiosi che vengono eletti nei consessi civici. Consenso elettorale pilotato, la gente abituata a votare in massa non solo tappandosi il naso ma anche ad occhi chiusi, i candidati dei mammasantissima, come accadeva nei regimi comunisti e Cuba era un’isola dell’oramai oggi disciolto impero sovietico. E poi la storia dell’indipendenza. Non è una fandonia quella che Matteo Messina Denaro in persona, l’attuale super latitante, l’unico sfuggito alla cattura dei mafiosi della disciolta cupola, aveva dato incarico ad un potente narcotrafficante, Saro Naimo, ora arrestato e “pentito”, di contattare le famiglie mafiose americane per vedere se c’era ancora la possibilità di un colpo di stato che portasse sotto il Governo Usa la Sicilia.

E poi ci sono le “carte” con gli appunti di Rostagno entrate nel processo in corso a Trapani. In tre pagine dattiloscritte aveva la “mappa” della mafia trapanese, Minore di Trapani, Rimi di Alcamo, Evola, Agate di Mazara, i Burzotta anche loro di Mazara, uno di loro, Peppe finì arrestato e assolto, mentre era consigliere comunale, il figlio oggi siede in Consiglio provinciale. C’era ancora negli appunti il nome dell’imprenditore Paolo Lombardino, Vincenzo Sinacori che all’epoca non diceva nulla, ma che sarebbe diventato capo mafia di Mazara e poi pentito, uno dei complici più vicini a Matteo Messina Denaro, in questo elenco un altro allora sconosciuto, Vito Bigione, ufficialmente armatore, di fatto lo si troverà come ambasciatore dei narcotrafficanti in Namibia nei primi anni del 2000.

Ci sono i riferimenti ai mafiosi di Catania, in un appunto vergato a mano spunta fuori il nome dell’allora ministro Vittorino Colombo e una annotazione affianco, “Castelvetrano”. Nello stesso foglio un commento che di quelli letti verrebbe definito ad alta voce, a proposito della mafia, “violenza senza volto e senza colore”. Poi un appunto sul processo per l’omicidio avvenuto nel 1980 dell’allora sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, “un processo senza parti civili”. Una storia che a Trapani si è ripetuta ancora fino a poco tempo fa.

Tra i faldoni le copie degli atti sull’indagine relativa alla loggia Iside 2, la massoneria super segreta trapanese, dove funzionava una camera che compensava gli intressi di massoni, massoni-mafiosi, politici, colletti bianchi. Ci sono anche copie dei reportage sulla P2 di Gelli. Documenti politici, fotocopie di giornali sulla strage di Pizzolungo del 1985. Ci sono gli articoli di giornale su una morte ancora oggi rimasta misteriosa quella di un giovanissimo pacecoto Rosario Cusumano, ucciso a fine febbraio del 1988. Ci sono alcuni articoli sul sequestro e la morte di Aldo Moro e ancora articoli su politici all’epoca potenti, come il repubblicano Aristide Gunnella, su questi un articolo sottolineato, “l’onore del ministro”.

E ancora alcune copie di articoli sul nucleare. Molto materiale è sui grandi traffici di droga che attraversavano la Sicilia, spillati poi una decina di fogli, intestati con nomi di grandi mafiosi, si apprestava forse a farne delle schede, il catanese Calderone, il killer Pino Greco, “scarpuzzedda”, il “senatore” Salvatore Greco, fratello del “papa” della mafia, Michele Greco, Totò Minore, Bernardo Provenzano, Totò Riina, e infine Salvo Lima. Ci sono gli articoli sul Belice non ricostruito e sugli sprechi del dopo terremoto, ma anche sulla monnezza di Napoli che costituisce un business per la camorra. Con particolare cura e diverse sottolineature sono poi gli articoli su un faccendiere diventato famoso da quegli anni in poi, Aldo Anghessa, uno trovato socio in traffici di armi con mafiosi trapanesi e su un imprenditore palermitano blasonato, il conte Cassina e poi sulle banche e sui “soldi della mafia”. Nomi, fatti, circostanze, sospetti.

E’ difficile sostenere, e solo chi vuol essere cieco lo fa, che la mafia è distante sia distante dal delitto, e soprattutto non è facile dire che è tutta acqua passata sotto i ponti. Rileggendo editoriali e appunti di Rostagno sembra leggere la preparazione di un notiziario giornalistico di oggi, perché gli argomenti restano attuali, solo che molti dei giornalisti di oggi preferiscono girarsi dall’altra parte, come mafia comanda. E forse per vedere cambiate
le cose bisogna aspettare anni, “anni, anni, anni”. Per capirne un po’ di più e per saperne un po’ di più non basta un attimo,
attimo, attimo.

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