Supermulta da 6 milioni di euro alla mafia foggiana
Gli artefici dell’omicidio dell’imprenditore foggiano Giovanni Panunzio saranno costretti a risarcire lo Stato per la “ferita” causata al capoluogo dauno e soprattutto per i costi scaturiti dall’impiego di uomini, mezzi e ogni altra risorsa spesa per arginare il dilagare del fenomeno criminoso negli anni novanta. A sancire la condanna una sentenza del Tribunale Civile di Bari (giudice monocratico, dott.ssa Carmela Romano) che ha accolto un ricorso promosso dall’Avvocatura dello Stato di Bari. Sono stati liquidati così 6 milioni di euro di danni: 5 destinati alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed uno al ministero dell’Interno.
Il verdetto si basa sulla sentenza irrevocabile che ha portato alla condanna in via definitiva di 36 persone accusate di associazione di stampo mafioso, droga e omicidi di cui sono stati ritenuti capi Giosuè Rizzi e Rocco Moretti. Tra questi troviamo anche Donato Delli Carri, l’assassino dell’imprenditore Giovanni Panunzio che, insieme a Nicola Ciuffreda (entrambi barbaramente ammazzati tra settembre e novembre del 1992) sono diventati i martiri e gli eroi dell’opposizione dell’imprenditoria al racket delle estorsioni. Grazie a questi soldi si potrebbe far fronte al taglio di 10 milioni (sui 12 previsti), contenuto nella legge sul bilancio che, a partire dal prossimo anno, dovrebbe ridurre notevolmente i due fondi destinati alle vittime di mafia ed usura.
La battaglia legale contro la mafia foggiana, che ha imperversato a cavallo tra gli anni ottanta e gli anni novanta, ha segnato un primo punto importante con la sentenza della Cassazione il 16 maggio del 1996, confermata in appello il 13 ottobre del 1999. In quella causa, sia Palazzo Chigi sia il Viminale si costituirono parte civile e ottennero il diritto al risarcimento in sede civile. La spiegazione della sentenza, riportata dal giudice, fu data dalla stessa Cassazione nel 1996 quando stabilì che il Governo «al pari di singoli dicasteri…che abbiano subito danni da una certa attività criminosa, è portatore di un autonomo diritto ad agire per il soddisfacimento dei propri interessi». Da qui scaturisce la quantificazione del danno, che il giudice ha formulato secondo un criterio equitativo, tenendo anche in considerazione l’ampia documentazione e la complessa e minuziosa difesa dell’Avvocatura distrettuale dello Stato (avv. Filippo Patella) che è riuscita a dimostrare i danni subiti dallo Stato.
L’Avvocatura dello Stato scrive che il clan mafioso è riuscito a sottomettere le vittime, costrette a scendere a patti con il sodalizio. E proprio questo clima creato dalla mafia dauna, proprio questo silenzio imposto con la violenza costrinse lo Stato a investire risorse e mezzi per riappropriarsi del territorio e soprattutto per proteggere alcuni testimoni risultati fondamentali per demolire il clan. Basti pensare ai costi sostenuti per tenere al sicuro Salvatore Chiarabella (“le cui rivelazioni hanno consentito di venire a capo della questione relativa all’esistenza del sodalizio criminale”), oppure ai fondi impiegati per garantire l’incolumità del teste chiave Mario Nero, le cui dichiarazioni hanno consentito di identificare in Delli Carri l’esecutore materiale dell’omicidio Panunzio. Da qui le spese per il mantenimento mensile del testimone e dei suoi familiari e per il cambio di identità.
L’aggressività della piovra foggiana ha provocato nuove azioni dello Stato (che hanno inciso sui bilanci) per garantire chi decideva e decide di non sottomettersi al racket creando appositi strumenti. Il più importante di questi è il Fondo di solidarietà per le vittime del racket (successivamente unificato a quello per le vittime dell’usura), sancito all’indomani degli inquietanti avvenimenti foggiani. Lo stesso fondo che, insieme a quello delle vittime di mafia, subirà, l’anno prossimo, pesanti tagli in seguito al disegno di legge sulla stabilità di bilancio. Dopo questa importante sentenza del Tribunale Civile di Bari sarà interessante vedere cosa decideranno di fare i politici.
Trackback dal tuo sito.