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Il Guatemala nella morsa dei narcos

Di Gaetano Liardo il . Internazionale

Che sia per la geografia, o per la debolezza delle sue istituzioni, il Guatemala è diventato il crocevia dei traffici di droga verso gli Usa. Il paese centroamericano, infatti, si trova a metà strada tra la Colombia e gli Usa. Ha delle istituzioni deboli, presenti ma non del tutto radicate nel territorio, e una lunga storia di violenze e scontri armati. Il Guatemala ha un tasso di crescita elevato, invidiabile da parte di molti paesi europei. Nell’ultimo decennio, a parte una fase di recessione, il Pil si è attestato al 3,3%, ma è presente un elevato tasso di disuguaglianza sociale. Più della metà della popolazione vive al di sotto del tasso di povertà. Tutti elementi, questi, che hanno reso la repubblica centroamericana, la chiave di volta del narcotraffico.

 A scriverlo è l’International Crisis Group (Icg) in uno studio pubblicato lo scorso 11 ottobre. Un’analisi dettagliata e allarmante, che fotografa l’evoluzione della geografia del narcotraffico in America Latina. Dal report dell’Icg, dati alla mano, viene fuori che il 95% della cocaina diretta negli Stati Uniti transita dall’America Centrale, prima di arrivare in Messico. Un’evoluzione dovuta alle pressioni internazionali per chiudere le “tradizionali” vie della droga dirette negli Usa. Il Guatemala, così come l’Honduras e El Salvador si sono trasformate in importanti vie di transito della cocaina verso il gigante nord-americano. Non solo la collocazione geografica, ma anche “favorevoli” condizioni polito-sociali hanno spinto le organizzazioni di narcotrafficanti a insediarsi in America Centrale.

La povertà, come nel caso guatemalteco, consente una straordinaria facilità di reclutamento, e l’impunità generalizzata rende sicuro il business. «In America Centrale – scrive l’Icg – le organizzazioni internazionali di droga hanno trovato l’ambiente perfetto per le proprie attività illecite: impunità rampante, abbondanza di armi e una costante fonte di reclute tra i giovani che hanno poche speranze di migliorare le proprie vite attraverso educazione e lavoro». L’humus favorevole trovato in Guatemala, così come anche in Honduras e El Salvador, ha attirato l’attenzione dei Los Zetas messicani, una tra le più violente consorterie criminali del vicino Messico. Chiamati per risolvere dispute tra le locali organizzazioni di trafficanti, i Los Zetas hanno piantato solide radici nel paese. Dando vita a esecuzioni e scontri sanguinari contro la criminalità locale. Lo scorso 15 maggio, ad esempio, sono stati giustiziati, dopo essere stati torturati, 27 contadini nella cittadina di Los Cocos. La maggior parte delle vittime sono state decapitate. Un chiaro messaggio lanciato alle autorità guatemalteche, con tanto di firma: Z-200. La reazione del governo è stata abbastanza veloce, è stato inviato l’esercito che ha arresto un trafficante guatemalteco con l’accusa di aver organizzato la mattanza. Alvaro Gomez Vasquez, ex militare dei corpi speciali guatemaltechi, i Kaibiles, passato in forze con i messicani. Un elemento inquietante, si legge nel rapporto, che evidenzia gli stretti legami tra i Los Zetas, ex-militari delle forze speciali messicane, con la controparte guatemalteca. Nel settembre del 2005 le autorità messicane arrestarono sei ex membri dei Kaibiles nello stato del Chiapas, confinante con il Guatemala. Una presenza che indusse i messicani a pensare che i Los Zetas stessero arruolando e addestrando nuovi adepti provenienti da gruppi militari specializzati. «Reclutando i Kaibiles – scrive l’International crisis group – i Los Zetas si assicurano forze addestrate in logistica, utilizzo di armi pesanti e guerra nella giungla».

Una capacità militare che ha consentito ai messicani di   controllare la nuova via di transito della droga diretta verso nord. La presenza sempre maggiore dei Los Zetas, ma anche degli altri cartelli del narcotraffico messicano, in Guatemala è il frutto di  molteplici fattori, tra i quali la sempre maggiore pressione in Messico e Colombia, che ha reso  più rischiose le consuete tratte del traffico, e più redditizie le nuove vie del Centro America. Rotte rese sicure sia dall’impreparazione delle istituzioni nel contrastare le organizzazioni di narcotrafficanti, come dimostra il caso guatemalteco, che dall’insicurezza generalizzata determinata dall’impunità di chi commette reati. Il Guatemala, infatti, è il paese latino-americano con il più tasso alto di omicidi per abitante. Negli ultimi cinque anni si registra una media di 6.000 omicidi l’anno. Una violenza che non deriva soltanto dalla presenza dei narcos nel paese, ma che è comunque correlata all’incremento esponenziale dei traffici nel paese. Droga, certamente, ma anche tratta di esseri umani, prostituzione, riciclaggio. Una situazione allarmante che non deve essere sottovalutata, ma che necessita di una risposta diversa da quelle individuate in Messico e Colombia. L’utilizzo dell’esercito per contrastare i narcos nei due paesi non ha risolto il problema.

Ha soltanto esasperato il clima di violenze, con le forze armate responsabili di eccidi e violenze non meno che i narcotrafficanti. Una soluzione sarebbe quella del rafforzamento delle istituzioni, magistratura e forze di polizia in primis; la costruzione di politiche sociali in grado di togliere manodopera alla organizzazioni criminali. Soluzioni semplici ma che necessitano di tempo, continuità e della volontà di risolvere il problema.                          

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