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Strage via D’Amelio, si riparte?

Di Lorenzo Frigerio il . Sicilia

Non è  ancora arrivato il momento per la revisione del processo per la strage di via D’Amelio; serve prima una sentenza di condanna per i veri sicari del giudice Paolo Borsellino per avviare l’iter previsto dalla legge in questi casi. Tuttavia è sempre più chiaro che altri elementi sembrano portare verso questa direzione, lungo un percorso obbligato che deve fare i conti con il trascorrere inesorabile del tempo e che vede nell’avvenuto deposito della memoria del pool della DDA di Caltanissetta presso la Corte d’Appello di Catania un vero e proprio punto di non ritorno.  Innanzitutto va letto in questa direzione l’accoglimento della richiesta di sospensione della pena avanzata dalla Procura generale di Caltanissetta e accolta dalla Corte d’Appello di Catania; a beneficiarne sono Natale Gambino, Giuseppe Urso, Gaetano Scotto, Salvatore Profeta, Gaetano Murana, Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina.

Tutti erano stati condannati in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta. Ulteriori beneficiari Vincenzo Scarantino, Giuseppe Orofino, Salvatore Candura e Salvatore Tomaselli, condannati a pene inferiori e per i quali è stata chiesta la revisione.  Il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari ha dichiarato che “la Corte d’Appello di Catania ha ritenuta valida la nostra impostazione per la richiesta di revisione per il processo della strage di via D’Amelio, e lo dimostra la sospensione della pena. Non ci sorprende invece l’inammissibilità della revisione perché i giudici hanno aderito ad un orientamento giurisprudenziale della Cassazione”.  L’altro elemento di novità, invece, è stato rilanciato dal quotidiano “La Repubblica” che, nei giorni scorsi, ha riportato la notizia di sette nuove iscrizioni nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Caltanissetta. Uno di questi sarebbe Vittorio Tutino già in carcere: sarebbe stato lui a rubare insieme a Gaspare Spatuzza, l’ex boss di Brancaccio, l’auto 126 che venne imbottita di esplosivo e piazzata sotto la casa della madre di Paolo Borsellino. 

Da quanto è  dato sapere, in queste settimane, i magistrati nisseni starebbero puntando le loro attenzioni sulle modalità di esecuzione dell’attentato. Una prima acquisizione, ormai data per certa, sarebbe l’esclusione della sede del Cerisdi sul Monte Pellegrino come luogo dal quale il commando degli attentatori avrebbe premuto il telecomando. In realtà, nell’ipotesi al vaglio sulla base della ricostruzione offerta dal collaboratore di giustizia Fabio Tranchina, il telecomando sarebbe stato nelle mani di Giuseppe Graviano, nascostosi in un giardino a ridosso della via designata per la strage, per azionare la detonazione mortale.  L’ipotesi investigativa di un utilizzo della sede del Cerisdi da parte di esponenti dei servizi segreti viene sostanzialmente ritenuta in grado di ingenerare soltanto confusione, alla luce degli elementi acquisiti finora, anche per quanto emerso nel corso dei processi che si sono svolti fin qui. Eppure resta aperto uno spiraglio in tal senso, verrebbe da dire, se sul ruolo giocato dai servizi i magistrati non sembrano pronunciarsi in modo tale da escludere qualsiasi tipo di coinvolgimento. Si pensi, per esempio, alla presenza di un uomo, estraneo ai clan, individuato da Spatuzza all’interno del garage nel quale veniva caricato l’esplosivo sulla 126 destinata alla strage.

Chi era costui e quali interessi rappresentava e di quale rilevanza per essere ammesso al cospetto del commando stragista nel momento in cui l’autobomba veniva confezionata?  Altro elemento di rilievo, secondo le rivelazioni del quotidiano, l’individuazione di un uomo d’onore deputato a segnalare i movimenti di Borsellino ogni volta che si recava in visita all’anziana madre: costui sarebbe Salvatore Vitale, già condannato a dieci anni nel Borsellino bis e all’ergastolo al termine del processo per l’omicidio di Giuseppe Di Matteo. Di professione gestore di maneggio, in realtà il Vitale era un esponente del clan di Roccella, che agiva su mandato dei fratelli Graviano. Ulteriore certezza è quindi la riconducibilità in capo ai boss di Brancaccio della responsabilità nella fase esecutiva della strage del luglio 1992.  Non dimentichiamo poi che sono ancora in corso gli accertamenti relativi alla scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino dal luogo dell’attentato. 

E resta poi da definire il capitolo dei depistaggi nelle indagini, con il ruolo del questore Arnaldo La Barbera e del nucleo ai suoi ordini che contribuì alla versione fornita dal collaboratore Enzo Scarantino, una versione oggi fortemente minata dalle rivelazioni di Gaspare Spatuzza.  Insomma, la strada verso la verità è ancora lunga, ma indietro non si torna.

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