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Le mafie nel Lazio, una storia vecchia di decenni

Di Antonio Mura il . Lazio

«I giovani devono conoscere la situazione del fenomeno della criminalità organizzata nel Lazio». Si è aperta con questa frase del Procuratore del Tribunale di Tivoli, Luigi De Ficchy, la seduta del seminario di studi organizzato da Libera, l’associazione contro le mafie di Don Luigi Ciotti, con la collaborazione della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma, al quale hanno partecipato anche altre istituzioni, tra cui l’Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato. Dopo una breve introduzione del referente di Libera nel Lazio, Antonio Turri e del Preside della Facoltà Prof. Mario Caravale, sono intervenuti, oltre De Ficchy, il Questore di Frosinone De Matteis e il Colonnello Salvatore Cagnazzo del Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma.

Il discorso di De Ficchy, incentrato nel ripercorrere la storia delle diverse criminalità organizzate nella regione dopo aver spiegato l’essenza del potere mafioso, è partito dagli anni ’60, quando sul Tevere si affaccia Cosa nostra siciliana con Pippo Calò, che instaura dei rapporti con la piccola criminalità organizzata esistente allora nella capitale, alla quale cambiano anche i connotati “non violenti” che fino ad allora aveva mantenuto. Non a caso infatti è solo nel 1975 che Roma conosce la prima vera associazione per delinquere di un certo spessore, con la costituzione nel quartiere della Magliana della nota banda. È sempre così che ha inizio il grande traffico di stupefacenti che attraverso il porto di Civitavecchia e l’aeroporto di Fiumicino soffoca la metropoli e si distribuisce sul resto del territorio. E che la criminalità avesse cambiato completamente assetto è dimostrato dal fatto che non basterà, nel 1984 l’annientamento dell’organizzazione di spicco della malavita romana da parte delle forze di polizia.

Troppo fitta ormai la cappa che si era stesa all’orizzonte del Cupolone, troppo importanti gli interessi in gioco. A portata il potere politico. Cosa nostra, Ndrangheta, Camorra, crimine in generale: tutte, in un reciproco silenzio avevano steso i loro invisibili fili e avevano avviato quella fase che Antonio Turri ha definito di “infiltrazione”, attraverso attività illecite come lo spaccio, l’usura, lo sfruttamento della prostituzione ed altre e che passerà in seguito quella della “contaminazione”, con l’annacquamento delle attività economiche locali e del “radicamento” con l’intreccio di affari legali ed illegali ed il riciclaggio dei proventi da ripulire. A questo contesto si sono affiancati gli interventi del Colonnello Cagnazzo e del Questore di frosinone De Matteis. Il primo ha dato forza alle parole di De Ficchy evidenziando attraverso i numeri quel che le forze dell’ordine con i loro sequestri di materiale illecito e le confische di beni che ne sono il frutto hanno potuto fare e, forse, quanto ancora ci sia da fare. Ma oltre all’aspetto numerico che potrebbe rendere l’idea attuale sulla consistenza del fenomeno, la discussione del seminario si è spostata anche su quello culturale, di cui difficilmente può esserne misurata, nel bene e nel male, la forza. Il Questore De Matteis, nel prendere la parola, ha ringraziato non a caso: «Quell’uomo seduto laggiù nascosto tra i tanti», ovvero Don Ciotti, uno dei pochi, se non il primo, ad avere avuto l’illuminante idea di fare della lotta alla mafia prima di tutto una questione culturale che riguarda tutti, sempre e dovunque. Rompendo cioè quella barriera mentale spazio temporale di cui la criminalità organizzata si era accortamente e da tempo liberata per compiere meglio, e con maggiore profitto, i suoi fini. Cercando quindi di spazzare via quell’idea che dove non c’è il rumore delle armi non ci sia criminalità che, invece, prolifera nel silenzio dei morti e degli omertosi.

Barriera che, come anche ha ricordato lo stesso fondatore di Libera in chiusura della prima parte del seminario e gli altri interlocutori che lo hanno preceduto, non è stata ancora percepita tale da gran parte del mondo politico, proprio come molti anni prima era stato lungo il cammino delle leggi a contrasto delle organizzazioni mafiose e delle loro attività. Le quali, dopo le devastanti conseguenze del soggiorno obbligato che avevano contribuito nel loro perverso risultato, a proiettare le diverse mafie oltre i confini tradizionali avevano finalmente prodotto degli effetti positivi con le leggi del 1982 Rognoni-La Torre e le altre che si erano susseguite, talvolta volute da coloro che molto spesso sono caduti nel contrasto alle mafie.

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