Non è tutto oro quello che luccica
Chi di noi non ha un negozio di “compro oro” vicino a casa? Sono pochi quelli che possono rispondere in modo negativo a questa domanda, soprattutto se si vive nelle grandi città. Infatti, che questo tipo di attività sia molto diffusa su tutto il territorio nazionale è una certezza. Si stima che i negozi di “compro oro” in Italia siano 6 mila e che le licenze quest’anno siano cresciute del 23,5 per cento a livello nazionale rispetto al 2010 e del 30 per cento a Roma e a Napoli, del 60 per cento negli ultimi tre anni nel Lazio e in Sicilia, del 30 per cento in Piemonte e Veneto. Con un giro d’affari complessivo per tutto il settore di circa 2,1 miliardi di euro (dati Movimprese-InfoCamere).
Il motivo di quest’aumento deriva anche dalla semplicità di aprire un “compro oro”, è sufficiente l’autorizzazione del Questore, che la concede dopo aver controllato la fedina penale del soggetto ed aver consegnato una bilancia omologata dalla Camera di Commercio e un registro di pubblica sicurezza vidimato dall’autorità su cui vanno trascritti gli estremi degli oggetti comprati e l’identità del venditore. In realtà dovrebbero essere rispettati tutti i dettami della legge n. 7 del 2000 (“Nuova disciplina del mercato dell’oro, anche in attuazione della direttiva 98/80/CE del Consiglio, del 12 ottobre 1998“) che prevede l’attribuzione di operatore professionale solo a coloro abilitati e che si sono costituiti in società per azioni, o in società in accomandita per azioni, o in società a responsabilità limitata oppure in società cooperativa.
La facilità nell’aprire questo tipo di attività ci permette di capire le cifre riportare su un’inchiesta di Repubblica del settembre 2011 che metteva in evidenza il numero elevato di licenze rilasciato in diverse città italiane. A Palermo nei primi sette mesi del 2011 sono state attribuite 40 licenze, mentre nel 2010 furono 42 in tutto l’anno. La situazione è simile a Roma, dove nei primi sette mesi del 2011 le licenze attribuite sono 211 contro le 165 dell’intero 2010. Questi numeri come quelli di Roma fanno intuire come l’incremento sia continuo nelle città a più alta penetrazione malavitosa. E’ indubbio che il mercato dell’oro sia alimentato dalla crisi e dalla corsa al rialzo dello stesso, basti considerare che il suo valore è passato dai 9 euro al grammo del 2001 ai 42/44 euro al grammo del 2011. I negozi di “compro oro” sono andati a sostituire il banco dei pegni, l’esigenza di avere denaro liquido in tempi brevi e senza troppe domande spinge, specialmente in tempi di crisi, a rivolgersi a questo tipo di negozi che svolgono una funzione, quella tipica dei monti di pietà, vietata per legge ai privati.
Purtroppo, questo fenomeno commerciale, che è popolato in larga maggioranza da operatori onesti, è a forte rischio d’infiltrazione mafiosa grazie ad una legislazione lacunosa e a qualche stratagemma fiscale è facilissimo trasformarli in lavanderie a cielo aperto. E’ molto facile che questi negozi diventino luoghi dove lavare il denaro sporco, proveniente da attività illecite. Una tecnica frequente, probabilmente la più utilizzata, è quella di utilizzare il documento di una persona che in buona fede ha venduto un oggetto per decine di operazioni fittizie, trascritte sul registro del negozio: gioielli e oggetti d’oro che non sono mai stati comprati né venduti, ma che permettono di dare una giustificazione al denaro presente in cassa.
Sono tutti soldi che arrivano da reati e che vengono ripuliti perché viene fatto passare come guadagno lecito dell’oro rivenduto dopo la fusione. Inoltre, come spiegato in diverse interviste dal Dott. Ranieri Razzante (Presidente dell’AIRA – Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio), nei compro oro si ricicla denaro andando contro l’articolo 49 del decreto legislativo 231/2007 (Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione). In questo articolo si vieta il passaggio di denaro in contanti superiore ai 2500 €, oltre questa cifra, bisogna usare assegni o carte di credito, ovvero tutti strumenti tracciabili. Spesso accade che nei compro oro questa cosa non accada e che quindi i gestori paghino i gioielli in contanti per cifre superiori al limite imposto dalla legge.
Molto probabilmente i clienti non sanno che sono penalmente perseguibili, infatti, è prevista una sanzione amministrativa che nel suo valore massimo è pari al 40 per cento della cifra che si è ricevuta in cambio dell’oggetto in oro venduto. Inoltre si rischia di ottenere una svalutazione del gioiello portato, concorrendo così al reato di usura, oppure, nella peggiore delle ipotesi, ci si può trovare implicati in un’indagine di ricettazione. Forse è meglio continuare a rivolgersi al vecchio e più affidabile Banco dei Pegni. Ad oggi in Parlamento si stanno discutendo due progetti di legge, uno della maggioranza e l’altro dell’opposizione, che se approvati dovrebbero garantire una regolamentazione più efficace di un settore ancora troppo oscuro.
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