Evasione e debito da record
”L’Italia e’ il secondo Paese al mondo, dopo la Grecia, per evasione fiscale”: lo ha sottolineato il 4 ottobre a Bari il presidente del consiglio nazionale dei commercialisti, Claudio Siciliotti. A questo dato possiamo aggiungere il fatto che la Grecia è il Paese europeo con la percentuale più alta (si stima al 160% nel 2011) tra debito pubblico e PIL. A seguire c’è l’Italia con una percentuale vicina al 120%. Non è certamente un caso che le due classifiche coincidano: chi in Europa ha il primato dell’evasione ha anche quello del debito. Per questa ragione, se la Grecia è sull’orlo del fallimento, non deve sorprendere che l’Italia stia scivolando sullo stesso piano inclinato. Tutto ciò non è catastrofismo, ma si tratta di processi basati su numeri reali. Nonostante al 31 agosto 2011 il debito sia sceso di 12 miliardi di euro rispetto al mese precedente, basta osservare i grafici dell’andamento del debito pubblico negli ultimi anni per ipotizzare con quasi certezza che purtroppo il debito ritornerà a salire nei mesi successivi e raggiungerà un nuovo record alla fine di questo mese di ottobre. Eppure, ci sono ancora molti che fanno finta di non sapere e di stupirsi poi per i risultati negativi che alla fine puntualmente arrivano. Recentemente l’agenzia Sir, promossa dalla CEI, ha dichiarato: “ci vuole una volontà politica chiara e decisa che consideri la lotta all’evasione non una generica voce da inserire nei programmi elettorali, ma il punto numero uno di politiche che permettano all’Italia di non fare la fine dell’Argentina nel 2001 e della Grecia nel 2010, due nazioni arrivate al fallimento anche a causa di spaventose evasioni fiscali”. Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, intervenendo in un convegno l’11 ottobre ha parlato della necessità di “ridurre drasticamente il debito pubblico”. Ed ha aggiunto: “È importante che tutti ci convinciamo che la salvezza e il rilancio dell’economia italiana possono venire solo dagli italiani”.
Di recente sono state avanzate proposte anche autorevoli – come quella del Centro Nuovo Modello di Sviluppo – di “congelamento del debito ossia la sospensione del pagamento degli interessi e della restituzione del capitale”, perché “a Roma stanno demolendo servizi, sicurezza sociale e beni comuni in nome del debito pubblico”, mentre “la sovranità non appartiene ai mercati, ma al popolo”. Peccato che sia stato proprio il popolo sovrano ad eleggere (in particolare negli ultimi 30 anni) la classe politica che ha consentito (quando non addirittura incentivato e promosso) l’evasione fiscale e il debito pubblico. Troppo facile oggi lavarsene le mani addossando ad altri la responsabilità. E soprattutto rischia di essere una scelta suicida, poiché se prevalesse l’idea che i debiti si possono anche non pagare, la già scarsa affidabilità del nostro Paese verrebbe azzerata di colpo, con la certezza del fallimento. Al contrario, bisogna scegliere la strada di assumerci una maggior responsabilità nei confronti del debito: lo dobbiamo alle prossime generazioni, che altrimenti erediteranno questo pesante fardello. Cludio Siciliotti, nell’incontro di Bari aveva indicato una via d’uscita: ”se solo noi riproducessimo i livelli di evasione dei Paesi civili, recupereremmo risorse per lo sviluppo”. Per Sicilioti ”l’evasione non e’ soltanto una piaga sociale: l’evasione altera la concorrenza fra le imprese. Noi riteniamo che l’evasione fiscale sia una palla al piede di questo Paese”. Per questo “va combattuta senza se e senza ma, riducendo la soglia di tracciabilità del contante, incrociando dati reddituali e patrimoniali, combattendo i paradisi fiscali”.
A distanza di 5 anni (era il 3 ottobre 2006) risuonano ancora le parole dell’allora Ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa che, presentando in Parlamento una manovra da 35 miliardi di euro, disse: “Tutta la società italiana è chiamata a dare prova di buona volontà e di riscatto”. “E fatico a comprendere – aggiunse il ministro dell’Economia – le lamentele di chi ha redditi dell’ordine di alcune centinaia di milioni di vecchie lire”. Non solo: è “concettualmente disonesto” scambiare la lotta all’ evasione con un aumento delle tasse. “A chi dice che mettiamo le mani nelle tasche dei cittadini rispondo che sono gli evasori ad aver messo le mani nelle tasche dello Stato, di altri cittadini onesti. Violando così non solo il settimo comandamento, ma anche un principio base della convivenza civile”.
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